Pianificazione del territorio, cambiare si può
Città della Spezia – 15 Aprile 2012 – Un pericoloso “incendio grigio” sta bruciando il paesaggio italiano: sono le fiamme del cemento. Il nostro territorio rischia di venire definitivamente incenerito da un’immensa colata edificatrice che lo sta sommergendo giorno dopo giorno. Nel Rapporto 2011 di Legambiente elaborato dall’Istituto di ricerche Ambiente Italia è contenuta la stima, ritenuta attendibile, di 500 Kmq di territorio consumato ogni anno, che corrisponde a137 ettarial giorno. Il movimento “Stop al consumo di territorio” prende le mosse da questi dati estremamente preoccupanti, che rendono indispensabili una politica nazionale e un immediato intervento legislativo. La Germania, per esempio, ha stabilito la soglia di30 ettarial giorno, pari a un quarto della tendenza in atto nel 2009 (129 ettarial giorno), per poi giungere alla crescita zero entro l’anno 2050, quando ogni trasformazione di suolo da rurale o naturale a urbanizzato dovrebbe essere compensata dalla contemporanea naturalizzazione del suolo urbanizzato. La tendenza europea è chiara: l’utilizzo di suolo a fini insediativi e infrastrutturali deve essere consentito esclusivamente qualora non sussistano alternative di riuso e riqualificazione degli insediamenti esistenti.
In Italia, in attesa di un Governo nazionale che finalmente si occupi della pianificazione territoriale, è bene che intanto si muovano Regioni e Comuni. Le linee programmatiche per il Comune della Spezia della coalizione di centrosinistra sono, da questo punto di vista, nettamente innovative: “Nelle scelte urbanistiche bisogna conseguire una linea ambientalmente sostenibile che non punti all’ulteriore consumo del suolo inedificato. Va riconvertita l’attività edilizia nel senso del recupero e del riuso del patrimonio edilizio esistente, troppo spesso degradato se non abbandonato. Parti non irrilevanti della città stanno dequalificandosi, sono scarsamente abitate in un processo di ammaloramento e vetustà. Riuso degli edifici vetusti o abbandonati, risparmio energetico e cura del suolo possono innescare un processo virtuoso anche in termini di occupazione”. In questo modo la green economy comincerebbe davvero a diventare realtà. Il programma del Sindaco è più generico ma va nella stessa direzione: “La revisione del Piano Urbanistico Comunale (PUC) sarà la traduzione nella programmazione urbanistica di un nuovo rapporto tra la città e il suo territorio, il suo ambiente, il suo paesaggio”.
Atti significativi sono stati del resto già compiuti. Nei mesi scorsi è stata approvata una variante al PUC con l’obbiettivo di rafforzare l’azione di tutela del territorio della fascia collinare: la nuova edificazione in collina è ulteriormente ridotta e gli ampliamenti edilizi consentiti sono collegati al recupero agricolo del territorio. Io stesso ho sollecitato più volte misure simili. Ho sempre dato valore al PUC approvato nel 2000, perché rappresentava una svolta nella difesa delle colline, ma mi è chiaro da tempo che bisogna andare ancora più avanti. Ricordo, nel dibattito pubblico che aprii un anno fa, un intervento sul Secolo XIX di un altro ex sindaco, Aldo Giacché, che rivendicava giustamente i meriti del Piano Regolatore presentato nel 1979 dall’Amministrazione da lui presieduta, perché ridimensionava fortemente le previsioni di crescita del Piano del 1958. Io e Giacchè facciamo bene a dare valore ai Piani che ci hanno visti protagonisti, ma sbaglieremmo entrambi -sono certo che anche Aldo è di questo parere- a pensare che essi siano stati esaustivi. Perché, in ogni campo, avanzano sempre nuove sensibilità, nuove problematiche, nuove sfide progettuali, che chi amministra deve affrontare innovando e sperimentando di continuo.
L’impegno in campo urbanistico dell’Amministrazione guidata da Massimo Federici ha altri aspetti positivi. Penso al progetto “Terre incolte” per la zona di Tramonti, che si prefigge di affidare con comodato d’uso a soggetti che vogliano intraprendere attività agricole i terreni che non sono più coltivati dai loro proprietari. Di grande interesse è poi il progetto “Campagna Urbana”, presentato a marzo, che si propone, in analogia con quanto già sperimentato in altre città europee, in particolare francesi, di riattivare pratiche di uso agricolo del territorio integrate da funzioni sociali ed educative. Nella sua prima fase il progetto destina a questi fini alcune aree di proprietà comunale: aree a margine degli insediamenti di edilizia pubblica realizzati negli scorsi decenni (Pieve San Venerio e Favaro), adatte per l’insediamento, attraverso bando pubblico, di attività agricole a carattere imprenditoriale; aree di più piccola dimensione, collocate lungo i principali sentieri collinari, che bene si prestano ad essere affidate alle iniziative di associazioni e gruppi locali che operino in modo autoorganizzato; aree interne alla città, facenti parte di aree verdi esistenti, nelle quali realizzare “orti sociali urbani”; aree a margine della città e a diretto contatto con i territori extraurbani, da affidare attraverso bando a soggetti idonei sia alla cura e coltivazione, sia all’organizzazione di eventi sociali ed educativi. Il Sindaco, nel suo programma, propone di estendere il progetto “ad aree di proprietà di altri enti e di privati”. L’idea di fondo è a mio avviso molto valida. L’architetto Daniele Virgilio, responsabile dell’ufficio del PUC, la sintetizza così: “Il bene comune rappresentato dal patrimonio territoriale abbandonato e investito dalla dispersione urbana può essere rigenerato interpellando pratiche quotidiane di cura e di graduale riappropriazione”, che coinvolgano i cittadini interessati.
Sono segnali che lanciano un messaggio: cambiare si può. Mi capita spesso di discutere con persone, anche di centrosinistra, che pensano di non votare alle elezioni amministrative, con motivazioni critiche legate non solo alla politica nazionale ma anche a quella locale. In questi anni sono stato severo nei confronti della classe dirigente del centrosinistra sia nazionale che locale (ne ho scritto nel mio libro “La sinistra la capra e il violino”). A Spezia c’è stato un deficit di nuova progettualità e di partecipazione. Ma occorre saper comunque cogliere i risultati positivi, e soprattutto i segnali di cambiamento.
La mia esperienza associativa mi ha fatto capire quanto sia diffusa la spinta critica verso questo centrosinistra. Ne ho avuto conferma in un’altra postazione, quella di neoiscritto a Sel. E’ chiaro che questa spinta si è riversata soprattutto su Sel, partito nuovo e partito-movimento, un luogo che non ha la presunzione di essere autosufficiente, che è assai poco strutturato e molto permeabile alle sollecitazioni di movimenti e associazioni. Ma qualcosa di nuovo è accaduto. Dopo il “no” del Pd alle primarie, si è aperto un confronto pubblico e trasparente sui contenuti che ha portato a innovazioni significative nel programma della coalizione di centrosinistra e del Sindaco. Mi riferisco non solo al tema del consumo di suolo, ma anche -per rimanere nell’ambito della pianificazione territoriale- a quello del waterfront, per il quale si è decisa una profonda correzione di rotta: la revisione del masterplan già approvato. Sia chiaro: non certo per merito esclusivo di Sel, perché c’è stata una discussione vera, che ha visto convergere da protagonisti il Sindaco e gli altri partiti del centrosinistra. E’ la prova che nel centrosinistra ci si può e ci si deve stare, con l’ambizione di rinnovarlo, di cambiarne i programmi e di aprirlo alla società. Il centrosinistra ha bisogno del popolo, e il popolo ha bisogno di un centrosinistra nuovo. Il distacco è forte, non bastano partiti politici in crisi profonda. Bisogna aprire il cantiere della connessione tra centrosinistra e popolo, tra politica e vita. Serve la partecipazione, per ritrovare un’unità di popolo che dia respiro a credibili progetti di cambiamento della città e del Paese.
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