Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
14 Novembre 2024 – 21:22

Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
Massa, Palazzo Ducale – Sala della Resistenza
Il libro di Dino Grassi “Io …

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Per i diritti umani

a cura di in data 14 Dicembre 2018 – 11:18
Palestina, muro di Betlemme, Palestinese che lancia un mazzo di fiori, graffito di Banksy  (2018)  (foto Giorgio Pagano)

Palestina, muro di Betlemme, Palestinese che lancia un mazzo di fiori, graffito di Banksy
(2018) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 9 dicembre 2018 – Sono appena tornato da una missione in Palestina, la terra dove il mio impegno di cooperante mi porterà sempre più nei prossimi due anni. Cuore e testa li ho dedicati interamente alla missione, senza neppure il tempo di un’occhiata veloce ai media online per informarmi su ciò che stava accadendo nel mio Paese e nella mia città. L’ho fatto in fretta in queste ore per dedicarmi alla rubrica. La cosa che mi ha subito colpito è leggere su Città della Spezia che a Castelnuovo Magra molte associazioni hanno organizzato una fiaccolata in occasione della Giornata mondiale dei diritti umani, lunedì 10 dicembre. Vuol dire, mi sono detto, che nonostante la paura che ci attanaglia c’è chi, tra noi, continua a preoccuparsi per chi sta peggio. Il pensiero è andato subito ai diritti umani dei palestinesi sempre più calpestati. Nella prima missione ero stato molto colpito dalla crescente “ebraicizzazione forzata” di Gerusalemme Est, la parte araba. In questa missione ho girato quasi tutta la Cisgiordania, i Territori occupati: qui a impressionarmi è stato l’enorme aumento degli insediamenti dei coloni israeliani. Ormai lo Stato palestinese non esiste più nemmeno sulla carta, perché gli insediamenti sono dappertutto. Ma sono vicende su cui si preferisce, nel mondo, il silenzio. Come per quelle della vicina Siria: il mondo osserva mentre la violenza non smette mai. Decine di migliaia di morti (la cifra reale non la conosce nessuno), centinaia di bambini massacrati, centinaia di migliaia di profughi… Dove sono finiti i diritti umani?
Poi ho pensato anche al nostro Paese. Non partecipo a gazzarre politiche: per decenni i diritti umani sono stati un “optional”, da tirare fuori a seconda delle diverse ideologie e degli interessi di parte. Se a violarli sono i tuoi avversari politici vanno denunciati, altrimenti si tacciono. Dimenticando una semplice verità: che i diritti di ogni singola persona, ovunque nel mondo, non sono né di destra, né di sinistra. Sono, per l’appunto, “umani”. Oggi in Italia non vengono garantiti i diritti umani dei migranti, anche questa è una semplice verità. Basta leggere il messaggio del Segretario generale dell’Onu in occasione del 10 dicembre per capire quanto siamo lontani da questa garanzia:
“Mai dalla Seconda guerra mondiale un numero così ampio di persone è stato costretto a lasciare le proprie case. Essi fuggono guerra, violenza e ingiustizia attraversando continenti e oceani, spesso rischiando la vita. La nostra risposta non deve essere chiudere, ma al contrario aprire le porte e garantire il diritto di asilo a tutti, senza alcuna discriminazione. I migranti che cercando di fuggire dalla povertà e dalla disperazione devono anche godere dei diritti fondamentali”.

Sao Tomé e Principe, Diogo Vaz, donna all'ingresso di una baracca  (2015)  (foto Giorgio Pagano)

Sao Tomé e Principe, Diogo Vaz, donna all’ingresso di una baracca
(2015) (foto Giorgio Pagano)

IL “DECRETO SICUREZZA” E L’ITALIA DELLA PAURA
Un passo decisivo verso il tramonto dei diritti umani nel nostro Paese è stato fatto con il “Decreto Sicurezza”. Mi riferisco all’abolizione della protezione umanitaria, che esiste in tutte le democrazie; al raddoppio dei tempi di trattenimento dei richiedenti asilo nei centri di accoglienza, sempre più assimilabili a galere; allo smantellamento del sistema di integrazione diffusa nel territorio, i cosiddetti Sprar affidati ai Comuni, che l’Onu indica come modelli da seguire, e che hanno prodotto la bellissima realtà -che si vuole distruggere- di Riace. Molte persone sono già state e saranno espulse dal sistema di protezione. Si badi bene: non dall’Italia. Vengono sbattute per strada, e diventeranno irregolari. In Italia ce ne sono già 500.000, che nessuno riuscirà mai ad espellere. Ora questo esercito aumenterà ancora. Il decreto quindi non è solamente disumano, è anche autolesionista. Ma certamente è soprattutto disumano: si pensi ai bambini figli di coloro che perderanno il titolo di protezione umanitaria, che rimarranno anche loro senza casa e quindi senza scuola, e magari saranno costretti all’accattonaggio.
Va detto per onestà che il decreto del Governo, fortemente voluto dal Ministro Salvini, ha peggiorato un sistema che non era buono. Perché ha slegato l’accoglienza da visibili percorsi di integrazione e ha prodotto rancore sociale. Per fortuna ci sono molte scuole e associazioni che si impegnano in modo meraviglioso, ma c’è anche chi ha privilegiato la logica del business. Bisognava riformare il sistema dell’accoglienza, non ricacciare i migranti nel limbo di un’illegalità senza futuro o colpire quel poco che ha funzionato, come gli Sprar.
Ma il problema è che siamo diventati l’Italia della paura. In gran parte “disorientati”, intolleranti fino alla “cattiveria”, segnati da una sorta di “sovranismo psichico”: così appaiono oggi al Censis gli italiani. Con un crescente rifiuto dell’altro: l’ostilità verso i migranti raggiunge il 63%. Abbiamo costruito una figura, il migrante, in grado di assorbire tutte le inquietudini. Ricordo che, negli anni Settanta, l’Italia -e Spezia- salvarono e accolsero, con una solidarietà straordinaria, molti rifugiati politici cileni. Nel documentario “Santiago, Italia” di Nanni Moretti un rifugiato dice: “Sono arrivato in un Paese molto simile a quello che sognava Allende in quel momento. Oggi viaggio per l’Italia e vedo che l’Italia assomiglia sempre più al Cile, nelle cose peggiori del Cile”. L’accanimento contro chi la pensa diversamente è micidiale, anche con l’arma del cavillo: si pensi alla guerra al Sindaco di Riace Mimmo Lucano, ma anche a quella alle Ong, condotta dal Procuratore di Catania Carmelo Zuccaro con l’ossessione di provare che si tratta di associazioni che “fanno parte del sistema che aiuta i trafficanti”.
E a nulla, sembra, serve ricordare i dati reali, descritti di recente dalla Fondazione Moressa: nel 2017 circa l’8,8% del Pil italiano è stato prodotto da cittadini stranieri pari a 16,6 miliardi di euro di entrate fiscali, a fronte di 13,5 miliardi riconducibili alle uscite per il welfare. O ancora: l’immigrazione in Italia è costituita da una maggioranza di donne, provenienti in prevalenza dall’Est cristiano; i magrebini sono l’8,7%; gli arrivati dall’Africa subsahariana sono meno del 5%. Mentre i numeri di chi arriva diminuiscono, perché abbiamo fatto accordi con la Libia che hanno portato molti migranti a morire in mare o a marcire nei lager libici o a tentare altre strade per arrivare in Europa, soprattutto la rotta Marocco – Spagna. Un altro dato reale è che, a causa del nostro calo demografico, abbiamo bisogno di manodopera straniera. Eppure l’essere “migranti economici”, che fuggono da diseguaglianze insopportabili, è diventato da tempo un reato, prima che lo diventasse anche per tanti richiedenti asilo. Ma in questo modo perdiamo molte opportunità.

L’AFFRESCO DEI MIGRANTI A SOVIORE
Che fare in questa situazione? Gustavo Zagrebelsky ha scritto:
“A chi pretende di parlare a nome degli ‘italiani’ e della loro ‘identità’, si opponga il dissenso; a chi esalta la forza, si oppongano il rispetto e la mitezza;… alla illegalità, si reagisca senza timore con la denuncia; alla cultura della discriminazione e della violenza si contrappongano iniziative di solidarietà… Fino al limite della resistenza ai soprusi e della disobbedienza civile che, in casi estremi, come ha insegnato don Milani, sono virtù”.
Ricordiamoci sempre, inoltre, che le grandi emigrazioni italiane dall’unità nazionale al fascismo erano “economiche”, così come anche l’ondata delle migrazioni interne degli anni Cinquanta e Sessanta. Spezia ha conosciuto bene sia le “migrazioni economiche” che quelle per motivi politici, sotto il fascismo come negli anni del centrismo, dopo la Liberazione.
La chiesa spezzina a cui sono più legato, sia per motivi familiari sia perché mi consentì di conoscere un grande italiano, Enrico Berlinguer -che misi in contatto con l’allora parroco don Sandro Crippa per sostenere la causa del restauro-, è il Santuario di Soviore. Tra le opere più belle c’è un affresco a soffitto che rappresenta la partenza di migranti e naviganti da un porto che sembra Genova. Bellissimo è anche il Santuario di Montallegro, sopra Rapallo, dove tanti quadri raccontano storie simili. Le vere radici, la cultura profonda e l’”identità” di noi europei, mediterranei, italiani, liguri, spezzini è questa: il meticciato, il viaggio, il dialogo tra i popoli.

lucidellacitta2011@gmail.com

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