Presentazione di “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello – Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17 a Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
15 Dicembre 2024 – 19:29

Presentazione di
“Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”
di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello
Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17
Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
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Novembre 1972, a Spezia si apre una nuova fase politica

a cura di in data 23 Dicembre 2012 – 17:48

Alpi Apuane, il Pizzo d’Uccello dalla Foce di Cardeto (2010)(foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 23 Dicembre 2012 –A quarant’anni dalle elezioni comunali spezzine del 26 novembre 1972 è utile una riflessione, che analizzi le diverse fasi della vicenda politica e amministrativa della nostra città e colga il significativo punto di svolta rappresentato da quella data. Le elezioni del 1972 misero infatti fine al centro sinistra di allora, fondato sulla “delimitazione a sinistra”, sorto a Spezia alla fine degli anni ’50, riaprendo la prospettiva di governi locali fondati sull’unità della sinistra. Ho ripercorso queste vicende con uno dei protagonisti dell’epoca, Aldo Giacché, che fu dirigente del Pci, fino a diventarne segretario provinciale nel 1968.
Nel 1950 si chiuse quella fase della politica spezzina fondata sull’unità antifascista della guerra di Liberazione, che si era tradotta nella Giunta di CLN (Sindaco Agostino Bronzi) e aveva avuto in qualche modo prosecuzione con la prima Giunta Comunale nata dalla consultazione elettorale del novembre 1946 (Sindaco Osvaldo Prosperi). Composta esclusivamente dal Pci e dal Psi, essa giunse fino alle elezioni del 1951, in un clima di sostanziale continuità con quello caratterizzato dalla collaborazione fra le forze antifasciste nell’Amministrazione precedente. Anche la Giunta successiva, con Sindaco Varese Antoni (che subentrò a Prosperi nel novembre del 1951), poté garantire la prosecuzione dell’impegno dell’Amministrazione nella ricostruzione, in un clima politico che era andato però modificandosi con le elezioni politiche del 1948.
A Spezia il Fronte Popolare, imperniato su Pci e Psi, prevalse sul blocco capeggiato dalla Dc; ciononostante, anche la situazione locale finì per risentire del mutato clima politico nazionale, subendo colpi durissimi sul piano economico-sociale e su quello politico. Il movimento operaio e la sinistra si trovarono costretti sulla difensiva da un attacco sistematico ai lavoratori nelle fabbriche a partecipazione statale e allo stesso patrimonio industriale della città. Il 15 settembre del 1950 furono annunciati 829 licenziamenti. La lotta fu asperrima, a cominciare dall’abbandono delle fabbriche da parte delle Direzioni con la conseguente occupazione e prosecuzione della produzione da parte degli operai e dei tecnici. Lo scontro più duro avvenne all’Oto Melara: l’11 aprile 1951 un ingente schieramento di polizia fece irruzione nello stabilimento. Gli scontri in città e nelle strade furono durissimi. Furono licenziati tutti i 2300 dipendenti, l’Oto fu liquidata e soltanto nell’estate la fabbrica riaprì i battenti con una nuova ragione sociale: le riassunzioni furono attentamente vagliate e filtrate politicamente e riguardarono circa un quarto dei precedenti addetti. Comunisti e socialisti furono discriminati, così come negli stabilimenti militari, e licenziati per il mancato rinnovo del contratto di lavoro. Centinaia di operai specializzati dovettero prendere la via dell’emigrazione.
In questa situazione di attacco generalizzato alle forze popolari e alla sinistra, molto contrastate furono le elezioni amministrative del 1956 e significativo il risultato della riconferma dell’Amministrazione, sia pure con una maggioranza del solo 50%: un risultato, quindi, di “parità” fra i partiti della sinistra contro tutti gli altri insieme, una “parità” che, ripetendosi secondo una logica discriminatoria a ogni votazione, come è accaduto a Spezia dal 1956 al 1972, per oltre quindici anni ha impedito una normale dialettica democratica di libere scelte nelle votazioni per la costituzione delle Amministrazioni.
Ciò portò il Psi a proporre soluzioni come quella del centro sinistra in Comune (e contestuale attribuzione al Pci del governo della Provincia) mediante un accordo con Dc, Psdi e Pri: accordo siglato nel 1957, ma che solo nel 1960 riuscirà ad avere piena attuazione, poiché all’inizio il Psi si limitò, in Comune, all’appoggio esterno. La prima Giunta formatasi sulla base dell’accordo del 1957 fu guidata dal democristiano Carlo Alberto Federici, e fu poi rinnovata, con la partecipazione anche del Psi, nel 1960. Il Pci, di fronte alla nuova situazione creatasi, reagì con un grande dibattito anche autocritico, per concludere sulla necessità di rifuggire da ogni “settarismo”, spostando l’asse della polemica sui problemi dei lavoratori e sulle responsabilità della Dc -così sintetizza Giacché, allora segretario del Comitato cittadino del Pci- “per ricostruire su nuove basi l’unità con i socialisti”. Fu questa linea, costruita pazientemente negli anni, a condurre alla vittoria del novembre del 1972.
I primi barlumi di ripresa delle lotte operaie ci furono nei primi anni Sessanta: Ceramica, Pertusola, Jutificio… Ma il punto più importante fu il Muggiano, il più grande e prestigioso cantiere navale spezzino. Già nel 1961 gli operai del Muggiano aprirono una vertenza su salari, salute, diritti, ottenendo risultati importanti. La lotta per migliorare la condizione operaia si intrecciò con quella per la salvezza del Cantiere. La Commissione europea con il piano Davington, e il Governo italiano, con il piano Caron, intervennero con tentativi di ristrutturazione del settore, prospettando la trasformazione del Muggiano in cantiere di riparazioni. Ero un ragazzo, ma ricordo bene quelle vicende, perché mio padre era disegnatore navale al Muggiano, e la mia famiglia, come molte altre, viveva nell’ansia. Nell’aprile 1967 ci fu un grande sciopero generale, con una imponente manifestazione in piazza Europa. Un secondo grande sciopero generale si tenne nel marzo 1969. E poi convegni e iniziative di ogni tipo, che facevano proposte per il potenziamento e lo sviluppo della cantieristica: “un movimento unitario – spiega Aldo – che aprì la strada alla ricostituzione delle giunte di sinistra”.
Anche nel Consiglio Comunale crebbe, infatti, la volontà di un atto forte, come le dimissioni della Giunta, che rimarcasse la protesta della città. Sindaco era allora il democristiano Ezio Musiani, un galantuomo che conobbi più tardi, quando appoggiò la mia candidatura a Sindaco nel 1997 e nel 2001. Si tenga conto del fatto che l’8 marzo 1969 avevano dato le dimissioni in segno di protesta contro la politica governativa sia la Giunta Comunale che quella Provinciale e che però tali dimissioni vennero ritirate il 24 aprile per non far mancare l’apporto degli Enti locali alla Commissione scaturita dai colloqui romani del 16 aprile, Commissione che avrebbe dovuto occuparsi di studiare l’economia dell’area spezzina. Nel convulso succedersi dei fatti e, visto che non accadeva nulla di rilevante a livello centrale per salvare il Muggiano, il 22 maggio venne però convocato il Consiglio Comunale con all’ordine del giorno le dimissioni del Sindaco e della Giunta, proposte dal Pci, in quanto politicamente omogenei al Governo nazionale che intendeva smantellare il Muggiano. Fu decisiva la fermezza di Musiani, che si dimise insieme ai sei assessori socialisti e a un solo altro democristiano (la segreteria Dc era allineata sulle posizioni del Governo nazionale). La Dc era nel caos: l’on. Ettore Spora, aderendo di fatto all’idea della Commissione di studio proposta del Governo, si candidò per essere eletto Sindaco, ma non riuscì nemmeno a formare la Giunta. Infatti diventò Sindaco a fine luglio, fece giuramento ben un mese dopo, non ebbe mai una Giunta, mentre nel frattempo Musiani diede le dimissioni anche da Consigliere Dc. La crisi degli Enti locali (non vanno dimenticate sullo sfondo le elezioni politiche del maggio 1968 e la conseguente scissione del Psu, il Partito socialista unificato frutto della fusione tra socialisti e socialdemocratici) era ormai inevitabile e fu sancita dal passaggio alla gestione commissariale il 13 novembre 1969.

Alpi Apuane, la cascata dell’Acquapendente (2010) (foto Giorgio Pagano)

Dopo le elezioni del 7-8 giugno 1970 (e fino all’aprile 1972) ci fu un vero e proprio “balletto” di Sindaci, perché senza il PCI non era possibile assicurare un governo alla città. In quel periodo successe letteralmente di tutto. Famoso è l’episodio del 9 ottobre 1970: il Consiglio Comunale era riunito, si doveva dar vita alla nuova Giunta di centrosinistra, ma i consiglieri Dc erano a contendersi furiosamente gli assessorati nella sede di via Tommaseo, e tardarono, arrivando in Consiglio quando Varese Antoni era già stato eletto Sindaco in luogo del candidato che il centro sinistra intendeva proporre… Antoni, ovviamente, pochi giorni dopo convocò il Consiglio Comunale e lì si dimise, essendo chiaro che non disponeva di una sua maggioranza. Poi ci fu il tentativo di una Giunta “laica” proposta dal Pri, ma sostenuta anche dal Partito socialista e dal Partito socialdemocratico, con intento punitivo verso la Dc per l’episodio del 9 ottobre. Ma, non disponendo i partiti laici (Pri, Psi e Psdi) del numero di assessori necessari (cioè dieci), si dovette far ricorso, per completare la formazione della Giunta, a una soluzione “di ripiego”, ottenendo “in prestito” dalla Dc i tre assessori mancanti! Questi assessori furono denominati “le tre vergini” in quanto persone non coinvolte nella passata gestione democristiana. Il Sindaco repubblicano Bruno Ferdeghini durò solo quattro mesi, dal 28 ottobre 1970 all’ 11 marzo 1971. Ebbe a riprovarci la Dc, mediante Walter Corsini che rimase “in sella” due mesi (dal 9 aprile 1971 al 15 giugno 1971), con un partito dilaniato (sezioni in rivolta e la sede stessa della Dc occupata simbolicamente dal Movimento giovanile). In seno al centrosinistra non c’era più in realtà un progetto politico ma solo uno stare insieme dosando incarichi e rappresentanze. Bastò un incidente sulle nomine per il Consiglio di Amministrazione dell’Ospedale e… cadde il castello di carte. Fu allora che il Pci, grazie all’unità politica ed all’accordo nel frattempo raggiunti con il Psi, assunse il 28 giugno del 1971 la responsabilità del governo cittadino, con Sindaco Antoni, sia pure con la maggioranza ancora limitata ai 25 consiglieri, per cui si prospettava nuovamente una gestione commissariale dopo qualche mese (sarebbe stato necessario il 26° consigliere). Ci furono allora le dimissioni del Sindaco Antoni il 25 marzo 1972 e dei 25 consiglieri della sinistra, in accordo con il Ministero tramite la Prefettura, per garantire tempestive decisioni in merito. Pci e Psi, insieme al Pri, avevano infatti assunto l’impegno politico a far rientrare successivamente la nostra città nel turno generale delle elezioni amministrative. Fu nominato, quindi, il Commissario Giuseppe Foti e furono indette le elezioni per il 26 novembre 1972.
Il clima sociale e culturale era ormai largamente favorevole al Pci. Nel pomeriggio di domenica 19 novembre si tenne a Spezia quella che è stata probabilmente la più grande manifestazione del dopoguerra: 20.000 persone sfilarono da piazza Brin a piazza Europa, tra due ali di folla, per partecipare al comizio di Enrico Berlinguer, segretario generale del Pci. Prima di lui parlarono Aldo Giacché e Varese Antoni. La gente stipava anche i portici di via Veneto e piazzale del Marinaio: così tanta, a Spezia, non ne ho mai più vista. I più anziani fanno il paragone solo con il comizio di Palmiro Togliatti nel 1951 in piazza Verdi, nel pieno delle lotte operaie contro i licenziamenti e le discriminazioni politiche. Quella del 19 novembre fu una grande rappresentazione di “teatro di massa”, con la presenza di tutti i quartieri e di tutte le fabbriche, con bandiere, striscioni, cartelli che inneggiavano al “26° consigliere alla sinistra, per una stabile Amministrazione”. Il successo del Pci fu strepitoso: aumentò del 5,4%, anche se (ironia della sorte) neanche stavolta l’assegnazione dei seggi riuscì a rompere la “storica contrapposizione” del 50% dei seggi. Il Pci aumentò di un altro consigliere, ma uno lo perse il Psi: la soglia dei “25 contro 25” non si superò ancora, ma il dado ormai era tratto. Il centrosinistra era politicamente finito, e l’unica soluzione fu l’accordo per la formazione di un monocolore comunista, che arrivò fino alla scadenza delle elezioni amministrative (a livello nazionale) del 1975, con il voto favorevole in sede di bilancio del Psi.
In quelle elezioni del 1975 la “storica contrapposizione” finalmente fu superata, il Pci arrivò al 43% dei voti con 22 consiglieri, la sinistra nel suo complesso arrivò a 28. Anche nell’Amministrazione Provinciale si riprodurranno i medesimi risultati. E nei Comuni a maggioranza di sinistra retti fino ad allora da Giunte monocolori del Pci, si insedieranno amministrazioni unitarie.
Dal novembre del ’72 si era aperta una nuova fase, quella delle Giunte di sinistra. Giacché, che ne era stato, insieme ad Antoni e a Flavio Bertone (il quale fu segretario provinciale del partito dal 1962 al 1968) l’artefice principale, divenne Sindaco dal 1976 al 1983. Fu una fase ricca di risultati per il cambiamento della città. Arrivò fino al ’92, poi terminò con la crisi dei vecchi partiti della prima Repubblica.
Le Giunte successive, dal ’93 ad oggi, appartengono a un’altra fase: quella della seconda Repubblica, dell’elezione diretta dei Sindaci, del tentativo di dar vita a una sinistra nuova che, comunque, ha potuto consolidarsi sul fondamento dell’esperienza unitaria e di governo degli anni ‘70. Nella fase nuova che si apriva a Spezia, della crisi della monocultura industriale e della costruzione di un nuovo modello di sviluppo fondato sul mare e sulla centralità, accanto all’industria, del porto e del turismo, i risultati del “buongoverno” locale non sono mancati. Ma la Grande Crisi dell’economia mondiale e il fallimento della seconda Repubblica stanno aprendo una fase ancora diversa dalle precedenti. La sinistra ha dunque nuovamente bisogno di ripensare se stessa. Ricambio generazionale, mobilità sociale, giustizia sociale, attenzione a nuove figure sociali e a nuove sensibilità politiche e culturali, sviluppo sostenibile: ecco i temi della riflessione di una sinistra nuova, laburista e ambientalista insieme, che ancora una volta sappia interpretare il cambiamento. E costruire, sulla base di una nuova progettualità, una nuova classe dirigente.

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