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Nell’Europa nata per evitare le guerre vince il business delle armi

a cura di in data 12 Novembre 2023 – 21:24

La Spezia, fiaccolata per la pace, 24 febbraio 2023
(foto Ercole Buoso)

Città della Spezia, 28 maggio 2023

La spesa militare mondiale ha raggiunto nel 2022 la somma record di 2.240 miliardi di dollari complessivi, che corrisponde a una crescita del 3,7% in termini reali rispetto all’anno precedente. Lo evidenziano le stime diffuse dal SIPRI di Stoccolma, il prestigioso istituto internazionale indipendente di ricerche per la pace. In cifre si tratta di un aumento di ben 127 miliardi in un anno. Sono enormi risorse sottratte agli scopi indispensabili delle politiche pubbliche: la lotta al cambiamento climatico, la sanità, la scuola, l’occupazione e il lavoro…
Già cinquant’anni fa l’economista James ‘O Connor aveva descritto il passaggio dal welfare state al “warfare state”: dall’ economia sociale all’economia di guerra, e a una nuova classe dominante legata al business dell’industria delle armi.
I dati del SIPRI certificano come questo passaggio sia più che consolidato. La spesa militare statunitense è aumentata dello 0,7%, raggiungendo gli 877 miliardi di dollari: gli Stati Uniti restano di gran lunga al vertice della classifica, con il 39% della spesa militare globale (tre volte maggiore del Paese al secondo posto, la Cina). Pechino ha aumentato la propria spesa militare per il ventottesimo anno consecutivo (+4,2% a 292 miliardi di dollari) raggiungendo il 13% della quota globale. A causa del conflitto sul territorio ucraino iniziato con l’invasione decisa da Putin si stima che la spesa militare della Russia sia cresciuta del 9,2% nell’ultimo anno, raggiungendo gli 86,4 miliardi di dollari (terzo Stato al mondo). L’Ucraina è entrata per la prima volta nella top 15 (all’11° posto), a causa di un enorme aumento del 640% della propria spesa militare.
Nel 2022 la spesa militare europea è aumentata del 13%, il più grande incremento annuale nella regione nel periodo successivo alla guerra fredda. La spesa totale di tutti i trenta membri della NATO ammonta a 1.232 miliardi di dollari nel 2022, pari al 55% della spesa complessiva.
L’Italia, in questo contesto, spende sempre più per acquistare e per produrre armi, e nel contempo esporta sempre più armi. Nel 2022 le autorizzazioni del governo all’export di materiali di armamento prodotti in Italia hanno raggiunto i 5 miliardi e 289 milioni di euro, il 14% in più rispetto al 2021. Al primo posto tra i destinatari la Turchia. Tra i primi venticinque destinatari ci sono l’Arabia Saudita (nono posto) e l’Egitto (sedicesimo posto), che Amnesty International definisce come Paesi in cui da anni continuano gravi violazioni dei diritti umani. Anche in Turchia le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno.
Eppure nel nostro Paese è in vigore una legge, la n. 185, che vieta l’export di armamenti “verso i Paesi in stato di conflitto armato” e “verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani”.
Ma tutto questo per la rassegna SeaFuture 2023, che si terrà nella nostra città, in Arsenale, dal 5 all’8 giugno, sembra non contare. SeaFuture è diventata una mostra militare-navale promossa dal comparto industriale-militare come piattaforma di affari per le aziende del settore. Non è più, come nei primi anni, una fiera internazionale dell’area mediterranea dedicata a innovazione, ricerca, sviluppo delle tecnologie civili inerenti al mare. Anche quest’anno ci saranno, per comprare armi, rappresentanti delle forze armate di Paesi belligeranti dell’Africa e del Medio Oriente, responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. Ci sarà l’Arabia Saudita, dove nel 2022 sono triplicate le condanne capitali, dove sono quotidiani i processi iniqui e sommari, le discriminazioni contro le donne, le torture, lo sfruttamento del lavoro, gli abusi e i maltrattamenti sui migranti: il famoso “Rinascimento arabo” di cui parla un noto senatore della Repubblica italiana e consulente per milioni di euro della monarchia saudita. Ci sarà l’Egitto: abbiamo dimenticato Giulio Regeni e vendiamo sempre più armi al Paese dove Giulio è stato assassinato e dove si nega la giustizia. Ci saranno la Turchia, il Marocco, l’Algeria…
E’ tutto inaccettabile sul piano morale. La parola pace ha ormai perso ogni valore. Non si può parlare di pace mentre si avalla la guerra. Pace vuol dire pace.

La Spezia, fiaccolata per la pace, 24 febbraio 2023
(foto Ercole Buoso)

Nel giorno della sua festa, il 9 maggio, l’Europa ha celebrato il suo suicidio: ha deciso di aiutare le imprese della difesa Ue ad aumentare la produzione di munizioni e missili, con fondi Ue e degli Stati membri, incluso il Pnrr. L’economia di resilienza trasformata in economia di guerra: una inversione a U, che certifica che siamo coinvolti a pieno titolo nella guerra.
In questo modo si è aggravato ancor più il fallimento-tradimento politico di una comunità nata con la missione di impedire conflitti bellici nel vecchio continente. Questa Europa così irrilevante e così subalterna agli Stati Uniti e alla Nato favorisce il predominio degli Stati Uniti e della Cina nello scenario internazionale. Solo se si attivasse compatta per mediare a oltranza il certamente difficile accordo tra Russia e Ucraina, supportando l’impegno del Papa, l’Europa rispetterebbe la sua missione originaria, riscatterebbe la sua credibilità tra i cittadini europei e riconquisterebbe un ruolo nel mondo. Altrimenti, come destino politico, l’Europa è finita. Perché vuol dire che pensa solo alla volontà di trasformare la tragedia della guerra al suo interno in occasione di profitto per le industrie delle armi.
Ci hanno detto che bisognava inviare armi in Ucraina per poter trattare da una posizione di equilibrio. Ma, dopo un anno di guerra, chi ci governa ha il dovere di dirci quando arriva questo equilibrio. Ridotta l’iniziativa europea e occidentale alla sola dimensione militare, il condivisibile obbiettivo della difesa dell’Ucraina finisce con il trasformarsi nell’avventuristico obbiettivo della sconfitta totale della Russia: cioè di una potenza nucleare, che può essere sconfitta solo con l’arma nucleare. Ecco perché l’unico esito possibile della guerra è un compromesso. Se qualcuno facesse il primo passo, la storia gliene renderebbe merito.
In un documento pubblicato dal New York Times del 16 maggio, firmato da 15 esperti – analisti, docenti, ex diplomatici, ex consiglieri per la sicurezza nazionale e soprattutto ex militari di grado elevato – viene rivolto un pressante appello al Presidente degli Stati Uniti e al Congresso perché si ponga fine al più presto alla guerra con la diplomazia. I firmatari denunciano “il disastro assoluto della guerra russo-ucraina”, con “centinaia di migliaia di persone uccise o ferite, milioni di sfollati, incalcolabili distruzioni dell’ambiente e dell’economia” e il rischio di “devastazioni esponenzialmente più grandi dal momento che le potenze si avvicinano a una guerra aperta”.
Ricordano l’osservazione di John F. Kennedy, 60 anni fa: “Le potenze nucleari devono evitare un confronto che dia all’avversario la scelta fra ritirarsi umiliato o usare le armi nucleari. Sarebbe il fallimento della nostra politica e la morte collettiva”.

Post scriptum:
Dedico l’articolo odierno a Giorgio Pelliti, recentemente scomparso. Sarzanese, docente e poi preside, si è sempre battuto per il cambiamento della scuola. Da tempo era impegnato nell’accoglienza ai migranti: ne ho scritto nell’articolo di questa rubrica “Contro l’indifferenza”, 5 aprile 2023. Lo ricordo con un brano della sua bellissima testimonianza in “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”:
“Nel dibattito e nelle attività del movimento c’erano tanti modi per partecipare, noi scegliemmo di interpretare un ruolo di ricercatori nel campo sociale, ispirati sia dai ‘Quaderni rossi’ come dalle pubblicazioni della Facoltà di Sociologia di Trento, ma anche dalle pubblicazioni di don Milani, che per la sua testimonianza era un maestro anche per noi laici non credenti. Nel 1968, tra l’altro, portavo all’Università di Urbino come testo di esame ‘Esperienze pastorali’, mentre avendo avuto la possibilità di conoscere in anteprima il testo di ‘Lettera a una professoressa’ dall’amico don Sandro Lagomarsini, allievo di don Milani e frequentatore della scuola di Barbiana, mia moglie, Gabriella Fratini, ne aveva fatto un testo di studio per gli operai del suo corso serale agli operai delle Acciaierie di Piombino”.
La testimonianza di Giorgio Pelliti mi spinge a ricordare, nel centenario della nascita, don Lorenzo Milani. Ne scriverò domenica prossima, soffermandomi sul grande ruolo che ebbe nella Spezia del tempo, e che ha tutt’ora. Oggi, dato il tema dell’articolo, accenno solamente al don Milani che fu sempre contro la guerra. Il prete fiorentino intervenne sul problema dell’obiezione di coscienza in polemica con un comunicato emesso l’11 febbraio 1965 da un gruppo di cappellani militari della Toscana, che avevano definito l’obiezione di coscienza un insulto alla patria e un atto di viltà. Nella “Risposta ai cappellani militari” don Milani scrisse, riferendosi agli obiettori: “Aspettate ad insultarli. Domani forse scoprirete che sono dei profeti”. Nel corso del processo don Milani condusse una critica serrata nei confronti della guerra, guidata dall’art. 11 della Costituzione, secondo il quale “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. La sua posizione fu subito colta da Umberto Terracini, comunista eretico, che, nell’articolo “Obiettori di coscienza e partigiani della pace”, dell’11 dicembre 1965, vide la “grandezza morale” dell’obiezione di coscienza e auspicò, dopo i due grandi conflitti mondiali, che l’obiezione dei nonviolenti e l’antimilitarismo socialista si alleassero nel comune scopo di “superare l’odiosa eredità ancestrale per cui le armi dovrebbero ancora e sempre decidere della sorte dei popoli e dell’umanità”.

Le foto di oggi sono state scattate da Ercole Buoso alla fiaccolata per la pace del 24 febbraio 2023 alla Spezia.

lucidellacitta2011@gmail.com

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