Ma votare è ancora utile?
Città della Spezia
18 settembre 2022
“Ma votare è ancora utile?” è il titolo “provocatorio” di un’iniziativa che si terrà nei prossimi giorni, alla quale sono stato invitato come relatore.
Dico subito che penso che certamente occorre votare -come lo pensa l’ANPI, l’associazione che ha promosso l’iniziativa- ma anche che occorre capire che cosa spinge alla “smobilitazione” elettorale. Se non lo si fa l’appello al voto risulta retorico e inutile.
Tanti cittadini non hanno compreso quanto è accaduto. Il nostro Paese stava cominciando a uscire dall’apnea pandemica, riprendeva a respirare. Poi la guerra, le sanzioni, la crisi energetica… In un contesto in cui le diseguaglianze sociali aumentano e la crisi climatica porta sempre più a eventi naturali che diventano catastrofici solo per causa degli errori degli uomini. Ancora: la crisi di governo, la campagna elettorale in piena estate, i voltafaccia e la situazione paradossale per cui le forze di destra, pur diverse tra loro, sono unite, mentre quelle di sinistra, o non di destra, marciano divise -il che crea “smobilitazione” e disorientamento tra gli elettori non di destra.
Infine: si vota con un sistema elettorale che allontana i cittadini. Ha scritto Gustavo Zagrebelsky:
“Si prospetta l’eventualità che una coalizione elettorale, stimata intorno al 45 per cento dei votanti, in presenza di un altro 45 per cento di astenuti -dunque una esigua minoranza del totale- ottenga in Parlamento un numero di seggi abnorme che le permetterebbe di fare qualsiasi cosa, anche di cambiare da sola, volendo, la Costituzione. La legge elettorale vigente (a differenza di quelle precedenti) non parla di ‘premi di maggioranza’; tuttavia consente una tale distorsione della rappresentanza da fare impallidire le leggi precedenti che li prevedevano”.
L’elettore si sente “truffato”. Tanto più che si presentano “liste bloccate”: l’elettore non può fare scelte di preferenza tra i candidati. In sostanza, crede di essere libero ma, in buona parte, è un prigioniero di scelte altrui. Non sono più gli elettori a decidere, e dunque non è più a loro che occorre che i politici guardino. Infatti in lista ci sono i soliti nomi di sempre: il che ha contribuito ancor più allo sconforto e alla frustrazione.
In sostanza stiamo assistendo a un fenomeno molto grave: la separazione tra politica e vita. La politica non è più percepita come parte costitutiva dell’esistenza umana. Ciascuno bada a sé. Ciò avviene soprattutto nei ceti popolari, nella parte più debole della società.
Servirebbe la speranza in un grande cambiamento: cosa difficile anche perché nessuna forza politica (o quasi) è, su ognuno dei punti che ho citato, senza peccato.
Il fenomeno non nasce certo oggi. L’alta partecipazione c’è stata nel trentennio 1946-1976, prima che iniziasse la crisi dei partiti, che da allora non si è più fermata. A poco a poco agli astensionisti “apatici” si sono aggiunti elettori più consapevoli, scontenti dell’operato della loro tradizionale forza politica, convinti di esprimere la loro critica con una scelta di “astensionismo punitivo”. Sono elettori che decidono di volta in volta se recarsi ai seggi o no.
Spiega Federico Fornaro, autore di “Fuga dalle urne. Astensionismo e partecipazione elettorale in Italia dal 1861 a oggi”:
“Il corpo elettorale appare attualmente caratterizzato da tre fondamentali comportamenti elettorali: gli elettori ‘assidui’ (40 per cento del totale), gli ‘astensionisti cronici’ (20 per cento) e gli ‘elettori intermittenti’ (40 per cento)”.
Infatti non si scende mai sotto il 40 per cento di votanti, e non si supera più l’80 per cento.
Questa volta che accadrà? Scrive Fornaro:
“Ad oggi si può prevedere una scomposizione dell’universo del 40 per cento in un 15 per cento di ‘elettori intermittenti’ che non andrà a votare e in un 25 per cento che alla fine si recherà ai seggi”.
Fornaro è più ottimista di Zagrebelsky sulla partecipazione al voto -forse anche perché è un candidato- ma prevede comunque un’astensione del 35 per cento: di gran lunga il primo partito.
LA DESTRA E LA SINISTRA
Un argomento usato per richiamare l’importanza del voto è l’allarme per la proposta istituzionale della destra: il mix presidenzialismo – autonomia differenziata per le Regioni.
Il presidenzialismo -l’elezione del Presidente della Repubblica a suffragio universale e diretto- si basa sull’argomento della stabilità: “basta elezioni anticipate”, ecc. In realtà l’elezione di un Presidente a maggioranza trasformerebbe il Presidente in un’istituzione di parte anziché rappresentativa di tutti, e incrementerebbe di conseguenza la conflittualità politica. Le elezioni diventerebbero una sorta di partita ultimativa in cui sono in gioco tutti i poteri, dal Quirinale a palazzo Chigi fino al Parlamento, senza avere poteri di garanzia. La nostra democrazia ha certamente problemi molto seri: ma la democrazia si corregge con più non con meno democrazia. Per esempio restituendo poteri e autorevolezza al Parlamento con una legge elettorale che lo renda davvero rappresentativo
L’autonomia differenziata si basa sull’argomento della efficienza. Anche in questo caso l’argomentazione è un trucco. Si chiede che tale autonomia sia basata sul principio che la maggior parte del gettito fiscale sia lasciato sui territori dove è prodotto, come fossero Stati indipendenti. Le regioni più ricche, così, godrebbero della loro maggior ricchezza. Le autonomie locali e le Regioni vanno certamente promosse, ma in chiave di reciproca solidarietà e non di competizione: perché ciò comporterebbe la rottura dell’unità nazionale e un ulteriore aumento delle diseguaglianze.
Non so se la destra -magari con il sostegno di forze non di destra che in questi anni hanno espresso tesi simili- avrà la forza, se chiamata a governare, di imporre queste idee. Potrebbe essere tentata di usare le riforme istituzionali come “arma di distrazione di massa” di fronte alle prevedibili difficoltà ad attuare il suo programma economico: le leve del potere in economia restano sempre saldamente nelle mani degli stessi, con la politica che fa da ancella (altro fattore di disincanto dei cittadini). La Meloni non si sta forse già “draghizzando”, alla ricerca di un accreditamento internazionale?
Il voto è dunque importante. Alle porte non c’è un nuovo fascismo che marcia con gli stivaloni. Ma lo stemma della Meloni, quella fiamma che campeggiava pure sullo stemma del Msi, andrebbe proprio tolto. Sandro Antonini, che sta scrivendo la storia della Repubblica Sociale in Liguria, mi ha raccontato che, nel 1921, a Chiavari, si pubblicò un giornale, “La Fiamma”, foglio personale di Alessandro Lessona, poi ministro delle Colonie durante il Ventennio. E che nell’ottobre 1943, il giornale degli ex squadristi, poi confluiti nella 31a Brigata Nera, diretto dal famigerato Vito Spiotta, si chiamò “La Fiamma Repubblicana”. Aveva aggiunto il secondo termine per via della Rsi. Inutile aggiungere che entrambi i giornali avevano per simbolo quella stessa fiamma. E nell’Italia della Rsi esistevano tante altre fiamme. Quello stemma ha un significato, e come se ce l’ha!
Il vero rischio, però, è un altro, ha scritto Carlo Galli: “l’impostazione della repubblica antifascista verrebbe considerata un retaggio del passato, crescerebbe la retorica sulla triade Dio-Patria-Famiglia, la stessa Europa verrebbe raccontata più come una confederazione di Paesi sovrani che come entità politica potenzialmente federale”.
Il rischio non è il ritorno del duce ma il modello di Viktor Orban, premier da dodici anni di quell’Ungheria che secondo il Parlamento europeo “non si può più considerare una democrazia” ma “un’autocrazia elettorale”. Fa impressione che tra i pochi “no” (122 contro 433 “sì”) si siano registrati quelli di due partiti italiani: Lega e Fratelli d’Italia.
Va ricordato, tuttavia, che l’Italia della Costituzione ha conosciuto altri momenti molto difficili. Nei duri anni Cinquanta il 25 aprile nemmeno si festeggiava. Poi si è tentato di stravolgere la Costituzione due volte, prima con Berlusconi, poi con Renzi. Ma la maggioranza del popolo italiano ha sempre detto “no”. E la Costituzione ha consentito alla nostra democrazia di reagire a crisi profondissime. La Resistenza ha creato cioè anticorpi mai andati perduti, che ci parlano ancora e che sono una risorsa per il futuro. Nessuno si illuda di poter modificare la Costituzione senza coinvolgere il popolo italiano. Berlusconi e Renzi le elezioni le avevano vinte, ma i referendum sulle proposte di modifica della Costituzione li hanno perduti. Le Costituzioni, quelle vere, nascono nel fuoco della storia, e sono fatte con la carne e il sangue delle donne e degli uomini che per esse hanno lottato. Qui si radicano e si consolidano le mediazioni e le sintesi. Stravolgerle in seguito non è impossibile, ma è molto difficile.
La vera questione è semmai quella di tornare al progetto della Costituzione: giustizia sociale, eguaglianza, dignità del lavoro, cultura, scuola, ambiente, pace.
Se oggi la destra è forte, e l’elettorato popolare è portato ad astenersi, è perché quel progetto non è stato attuato. E’ stato tradito da sinistra.
Ha scritto Domenico De Masi:
“Oggi più che mai è chiaro che destra e sinistra non sono concetti complementari, ma antitetici: o si è da una parte o dall’altra. La nuova guerra fredda, provocata dalla guerra calda in Ucraina, rafforza questa dicotomia. L’identikit di chi si colloca ‘a sinistra’ è ben delineato: egli considera come punto di riferimento sempre e solo la parte oppressa della società; si batte in modo radicale per l’uguaglianza, la socialdemocrazia e lo Stato, contro i privilegi e la precarizzazione provocati dal neoliberismo; vive la storia come sviluppo e opportunità; lotta per i beni comuni, il welfare, il reddito di cittadinanza, il salario minimo, la riduzione dell’orario di lavoro, la salvezza del pianeta, la qualità del lavoro, del tempo libero e della vita. È solo su questa base che il popolo di sinistra può uscire dal disorientamento. E ha pochi giorni”.
Post scriptum:
Le fotografie di oggi sono state scattate a Porciorasco di Varese Ligure. In alto gli stucchi policromi nel soffitto della chiesa di San Michele Arcangelo; in basso un particolare del portale di un casolare. Entrambe sono esposte nella mostra fotografica “Arte, storia e natura nelle terre di Varese” (Varese Ligure, Castello dei Fieschi, 27 agosto-11 settembre 2022; Brugnato, Val di Vara Gallery di ShopInn, 17 settembre-2 ottobre 2022).
lucidellacitta2011@gmail.com
Popularity: 2%