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Ma come sono buone le ostriche del Golfo

a cura di in data 20 Dicembre 2012 – 10:22

La Spezia, Tramonti (2012) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia – 16 Dicembre 2012 – Era da molto tempo che avevo promesso al mio amico Paolo Varrella di andare con lui alla diga per ammirare il ritorno, a quasi un secolo di distanza, delle ostriche nel nostro golfo. Ne valeva proprio la pena, anche perché sono buonissime. Sulla barca, appena raccolte, con il sapore del mare: le più squisite che abbia mai assaggiato. Ma ne valeva la pena soprattutto perché mi sono reso conto ancora una volta del valore e della bellezza del nostro golfo. Valore e bellezza di cui sono parte integrante e decisiva la fatica, la tenacia, l’intelligenza dei nostri mitilicoltori.

Ho scritto “ritorno” perché, nel 1887, le prime coltivazioni nel golfo furono proprio di ostriche. Ce lo racconta il professor Davide Carazzi del Museo Civico della Spezia, nel suo libro del 1893 “Ostricoltura e Mitilicoltura” (che si trova ancora adesso in commercio). Il primo studioso a indicare il golfo spezzino come luogo particolarmente adatto per la molluschicoltura fu il professor Arturo Issel, nel suo volume “Istruzione, pratiche per la ostricoltura e la mitilicoltura” (1882). Carazzi affiancò ed appoggiò il primo ostricoltore e mitilicoltore della zona, Emanuele Albano, giunto a Spezia da Taranto nel 1887. L’ostricoltura fu abbandonata dopo la prima guerra mondiale, per una scarsa richiesta del frutto sul mercato. Del resto l’ostrica si mangia spesso cruda, a differenza del mitile, e le condizioni igieniche erano, allora, quelle che erano. La legge impose l’obbligo della depurazione dei molluschi con la stabulazione (processo di sterilizzazione del frutto in apposite vasche con acqua trattata e filtrata) solo nel 1977. Da noi l’impianto fu realizzato a Santa Teresa (fu inaugurato nel 1983).
La produzione dei mitili, invece, non smise di crescere. Crollò l’ostricoltura, ma si moltiplicarono i vivai di mitili, non solo alla diga ma anche a est del porto (l’attuale Marina del Canaletto) e a ovest, fino a Portovenere e alla Palmaria. Oggi i mitilicoltori sono un centinaio e raccolgono circa 27.000 quintali all’anno di prodotto. Ci sono ancora gli eredi delle famiglie spezzine che, emulando i tarantini, si dedicarono a questo lavoro. Quando sono andato in diga ne ho incontrato alcuni, come Angelo Majoli e il “faro nel golfo” dei miticoltori, “Montello”: 93 anni, in barca ogni mattina. Quando ci siamo visti aveva appena catturato un polpo. E poi ci sono i giovani che non provengono dalle famiglie storiche e si dedicano alla mitilicoltura per passione, come Paolo Varrella e altri. A loro insegnano tutto i vecchi “muscolai”. Paolo coltiva i mitili ma anche le ostriche, che sono locali e spontanee, come quelle che ho mangiato, oppure di semenze non nostre riprodotte in loco: presto raggiungerà la quantità tale di prodotto per immetterlo nel mercato.

La Spezia, Tramonti (2012) (foto Giorgio Pagano)

I mitilicoltori sono tutti riuniti nella Cooperativa Mitilicoltori Associati, che gestisce l’impianto di Santa Teresa, mentre la Cooperativa Mitilicoltori Spezzini, che li comprende quasi tutti, si occupa della commercializzazione. Ho visitato l’impianto, e quasi non lo riconoscevo, tali e tante sono state le innovazioni recenti. Non ci sono più le vasche ma i contenitori isotermici. Ora l’impianto, mi ha spiegato il Presidente della Cooperativa Alessio Palla, è a circuito chiuso, il che consente un notevole risparmio energetico rispetto al vecchio impianto che pompava continuamente acqua dal mare. Inoltre i molluschi sono mantenuti in condizioni ottimali, con un più elevato grado di depurazione. C’è poi un grande risparmio di spazi, perché i contenitori sono impilati uno sopra l’altro: si può così pensare di realizzare, nello spazio delle vecchie vasche, nuove attività legate alla trasformazione del prodotto.
Non mancano, tuttavia, i problemi. Quello delle orate, ghiotte di molluschi. Quello delle acque calde, per i mutamenti climatici e l’apporto in mare degli scarichi dell’Enel. Per questi ultimi i mitilicoltori chiedono interventi di mitigazione, possibili anche se costosi. Servono, inoltre, nuovi campi per i vivai. E bisogna trovare una soluzione condivisa, che non è stata ancora prospettata dall’Autorità Portuale, per la ricollocazione dei vivai della Marina del Canaletto. Si punta all’espansione oltre diga: i contatti in tal senso con la Marina Militare sembrano promettenti. Questi problemi costringono i mitilicoltori locali ad acquistare il prodotto da altre marinerie (italiane o estere), non ancora pronto per la commercializzazione finale, che viene immesso nei nostri vivai fino al completamento del ciclo di allevamento. Insomma, una parte dei “muscoli” è spezzina per modo di dire. Ed è meno buona della parte integralmente locale, che ha le qualità speciali che le provengono dal fitoplancton particolare del nostro golfo. Il grande obbiettivo è quindi quello di incrementare il quantitativo dei mitili esclusivamente locali.
Ne vale la pena per motivi non solo economici. La mitilicoltura è parte della nostra storia. Meriterebbe, per questo, uno spazio nella Festa della Marineria; e magari, in qualche forma da studiare, nel nuovo waterfront. Ma vanno considerati pure i motivi ambientali: i mitili e le ostriche sono dei formidabili “catturatori” di Co2: nella loro attività di costruzione del guscio fissano col mantello il carbonato di calcio, sottraendo quindi Co2 dal mare e dall’atmosfera. I mitilicoltori spezzini abbattono circa 1000 tonnellate di Co2 all’anno. Non solo: mitili e ostriche catturano una serie di metalli pesanti, che vengono depositati nel guscio mentre la parte molle non ne viene toccata. Ecco un altro motivo per sostenere in ogni modo i nostri “contadini del mare”.

lucidellacitta2011@gmail.com

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