Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
14 Novembre 2024 – 21:22

Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
Massa, Palazzo Ducale – Sala della Resistenza
Il libro di Dino Grassi “Io …

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Lo squarcio su Apollo e il silenzio su Barontini. Riflessioni sulla sinistra che non c’è più

a cura di in data 7 Novembre 2023 – 21:16

La Spezia, manifestazione del PCI – primi anni Settanta
(archivio Maria Cristina Mirabello)

Città della Spezia 18 maggio 2023

IL PARTIGIANO TEMERARIO
Quando penso ad “Apollo” – che pure feci in tempo a conoscere di persona – mi viene in mente innanzitutto il partigiano temerario di cui ho letto le gesta nei libri e nei documenti di archivio. Durante l’epica “battaglia del Gottero” del 20 gennaio 1945, in realtà una marcia impervia in mezzo alla neve, nel corso dell’inverno più freddo del secolo, per sfuggire a un terribile rastrellamento nazifascista, “Apollo” aveva diviso con i suoi compagni una castagna, spezzandola in quattro parti. Lo racconta la figlia Maria Cristina Mirabello, nel bel libro “Quando c’era il PCI. Memorie della figlia di ‘Apollo’, un ‘rivoluzionario di professione’ spezzino”, di cui scriverò in questa quarta puntata della rassegna sulla “creatività culturale dei nonni”.
Nella rubrica ho raccontato in passato alcuni degli episodi che videro “Apollo” tra i protagonisti: dalla “beffa di Ceparana” del 24 luglio 1944 all’attacco all’ex Flage a Migliarina del 29 ottobre 1944. Guidò entrambe le coraggiose azioni il comandante della Brigata garibaldina Vanni, Eugenio Lenzi “Primula Rossa”, socialista di Podenzana. Il libro non ci dice ancora tutto su “Apollo” partigiano – ma Maria Cristina sta scrivendo un nuovo libro sulla storia della Brigata garibaldina Vanni, in cui il padre assunse crescenti responsabilità, soprattutto a partire dal dicembre 1944, e senz’altro illuminerà ancor di più questa fase della sua vita. Sarebbe molto interessante conoscere qualcosa di più sulla motivazione della “scelta” di Giuseppe Mirabello, su quando il ventitreenne di Cadimare ma di famiglia proveniente da Pozzuoli – un allievo della Scuola allievi operai in Arsenale che sta per diventare modellista navale e si ritrova vigile del fuoco in Arsenale – prima nasconde le armi abbandonate dai militari dopo lo sfacelo dell’8 settembre 1943 e poi, a fine giugno 1944, sale ai monti e diventa partigiano. Influì la sollecitazione dell’amico comunista Piero Bruzzone, che sarà tra gli organizzatori dello sciopero del marzo 1944 nelle officine meccaniche Bargiacchi e poi partigiano nella brigata Gramsci. Ma scattò anche qualcosa, una molla “soggettiva” – su cui cercare di far più luce – che trasformò Giuseppe in “Apollo”.
Chissà se in qualche occasione scopriremo anche il perché Giuseppe Mirabello, per tutta la vita sempre “Apollo”, e Vega “Ivana” Gori, scomunicati dalla Chiesa il primo luglio 1949 in quanto comunisti, chiamarono nel 1950 la figlia -– che mai frequenterà l’ora di religione a scuola – proprio Maria Cristina. Sembra impossibile che riaffiori inconsapevolmente una tradizione religiosa secolare, ma…

UN PADRE MOLTO ASSENTE E MOLTO PRESENTE
Il libro intanto fa luce su molti altri aspetti. Le pagine più intense sono quelle più intime, sul rapporto padre-figlia. Nel dopoguerra Apollo diventò funzionario del PCI, cioè un uomo praticamente privo di vita privata e quindi “latitante”. Si sacrificò la moglie Vega, e pure la figlia di “un padre molto assente e molto presente”. Che non c’era mai, che era molto tradizionalista nei costumi, come usava allora tra comunisti (quanti aspetti comuni tra le due “chiese” in lotta!), ma che alla fine, grazie soprattutto alla intelligentissima madre, capiva. E nei momenti chiave non mancava. A parte la nascita della figlia: fermato dalla polizia nel corso di una manifestazione, poté arrivare in ospedale solo il giorno dopo. Alla domenica la figlia era “relegata in una panchina” quando accompagnava il padre alle iniziative, nel viaggio a Roma fu “parcheggiata in un corridoio” di Botteghe Oscure, ma poi a compensare c’erano il Natale e i pochi ma felici giorni di ferie nella Cadimare degli anni Cinquanta, dove si poteva fare il bagno, e pure un Capodanno in cui “Apollo” insegnò ai giovani riuniti in una Casa del Popolo a ballare il tango. Pieni di vita sono poi i ritratti dei quartieri dove Cristina e la madre abitarono, il Favaro e la Pianta. “Apollo” ci abitava fino a un certo punto, la sua vera casa era la Federazione di piazza Mentana, le sezioni della provincia… Portovenerese, Val di Vara, Riviera, innanzitutto.
Non manca la memoria della politica: lo stalinismo degli anni Cinquanta, il consenso all’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956, la discriminazione anticomunista, il fratello di “Apollo”, Marco, costretto a emigrare in Svizzera dopo il licenziamento per motivi politici in Arsenale…

I COMUNISTI ITALIANI, FEDELI A STALIN MA ANCHE ALLA DEMOCRAZIA
Nella sua prefazione al libro, molto interessante, Sandro Bertagna, che diventò funzionario nel 1969 e conobbe bene “Apollo”, intuisce in lui “amare riflessioni” e un “travaglio”. Certamente i militanti e i dirigenti comunisti di base avevano una sorta di doppia appartenenza: fedeli all’URSS ma anche a loro stessi, alle loro lotte nel loro Paese. Per molto tempo non videro la contraddizione. Poi in tanti subentrò il “travaglio”.
Occorre in ogni caso distinguere tra “stalinismo” e “singoli comunisti stalinisti”. Questi ultimi restarono fedeli all’URSS quasi fino alla sua fine innanzitutto perché pensavano che se non ci fosse stata l’Unione Sovietica il nazismo sarebbe dilagato dappertutto in Europa. Su questo non avevano certo torto. Lo avevano quando pensavano che in URSS ci fosse il socialismo. Ma la responsabilità era tutta loro? Su questo punto non la penso come Sandro e come Maria Cristina: Togliatti fu certamente un dirigente di grande levatura intellettuale, che riuscì a preservare il PCI dalla repressione staliniana muovendosi con un pragmatismo senza pari nei meandri di una situazione difficilissima, ma altrettanto certamente Togliatti tutto sapeva. Nel 1956 non c’era più il timore di essere stritolati da Stalin. Ma Togliatti non disse tutto, e non trasse le conseguenze.
Come Togliatti “Apollo” fu un comunista legato all’URSS e nello stesso tempo un democratico che aveva costruito la democrazia in Italia. Erano due anime. Presenti sia al vertice che alla base. In “Apollo” e nei militanti furono unite per molti anni in un’anima sola, in Togliatti non saprei. Ammetto che l’ambiguità a volte può essere necessaria, ma alla lunga “il difficile equilibrio” di cui parla Maria Cristina non poteva reggere. Chi venne dopo non fu all’altezza? Certamente. L’ultimo Togliatti era consapevole del vicolo cieco a cui era giunto il PCI. Non so se ce l’avrebbe fatta ad uscirne, per la sua storia personale. Sappiamo per certo che purtroppo i suoi eredi non furono in grado. Eppure la strada era segnata: quello italiano era un “comunismo socialdemocratico” nei fatti. Consapevole cioè che la rivoluzione è un processo, e non è più l’opposto delle riforme. Inoltre i comunisti italiani avevano Gramsci, che nella solitudine del carcere era andato ben oltre Stalin e ben oltre Lenin: ma fu un’eredità mai acquisita fino in fondo dal PCI. Non a caso alla fine della sua vita Togliatti riconobbe che in Gramsci c’era molto di più rispetto a quanto egli aveva utilizzato per l’esperienza politica di cui era stato protagonista.
Detto questo, nella “doppiezza” c’era anche tutto il lato buono: nel partito convissero centralismo e iniziativa dal basso di tutela economica e di formazione culturale e morale delle masse popolari; pedagogia autoritaria e riscatto delle persone dall’anonimato; subordinazione del privato al pubblico e possibilità di affermare la propria individualità.

Giuseppe Mirabello “Apollo” in divisa da partigiano – aprile 1945
(archivio Maria Cristina Mirabello)

L’”APOLLO” CHE HO CONOSCIUTO
Il libro si sofferma poi su un periodo più vicino a noi, in cui ho conosciuto – sia pure poco – “Apollo”. Sandro era a contatto con “Apollo”, Cristina era cresciuta, comprendeva meglio chi era quel padre “rivoluzionario di professione”: nel libro questo periodo emerge bene. Io mi iscrissi alla FGCI nel 1969, poi dal 1973 al 1976 studiai a Firenze, ma venivo a Spezia nei fine settimana. Frequentavo un poco piazza Mentana, ricordo “Apollo” come una persona molto gentile con tutti. E come un lavoratore infaticabile, sempre in movimento. Frequentavo Porto Venere ed ero legato da amicizia a Mauro Lotti, insegnante di alcuni miei amici, che fu sindaco dal 1975. Ma già prima, con sindaco Maria Maddalena Rossi, capivo che “Apollo” era, come capogruppo in Consiglio comunale, un punto di riferimento indispensabile nell’Amministrazione. Ricordo un viaggio in macchina con lui a Porto Venere, forse un passaggio… E le Feste de l’Unità in piazza San Pietro nel 1975 e nel 1976, quando per il PCI votava un terzo degli italiani, e oltre il 40% degli spezzini. Le bandiere rosse dalla calata sventolavano fino al piazzale. Dalla calata si facevano le scalette trasportando con fatica terribile le cucine e gli stand nel luogo della Festa. “Apollo” se la sbrigava molto meglio di me e di Mauro, non c’è dubbio. Ma “Apollo” non fu solo un organizzatore, un uomo d’azione. Era una “testa politica”. Basta leggere, su “L’Unità” del 23 gennaio 1973, l’articolo “Il PCI protagonista dell’azione per un nuovo sviluppo di La Spezia. L’intervento del compagno Mirabello sui problemi dell’Amministrazione comunale”.
“Apollo” morì improvvisamente nel 1976, a soli cinquantasei anni. I funerali furono una imponente manifestazione di affetto popolare. Sandro scrive: “Pensai allora, ed ancora ne sono convinto, che la sua scomparsa alterasse in qualche modo l’equilibrio politico tra i membri ‘vecchi’ della Segreteria provinciale, venendo meno quel suo personale contributo di fraterna lealtà, di umanità e di etica politica”.
Non ho ovviamente gli elementi per suffragare questa tesi. Ma diventai funzionario il primo gennaio 1979, quando ormai la sconfitta politica e sociale era chiara, anche se speravo – ma sbagliavo – che non fosse definitiva. Un “equilibrio politico” non c’era, il partito era balcanizzato. Le persone mi dicono: “chissà quanto hai faticato a fare il Sindaco”. Ma no, è stato il periodo più bello e meno faticoso della mia vita, compresi i quattro anni da vice di Rosaia. Era stato assai più faticoso il decennio precedente, quello in cui mi impegnai a cercare di salvare un partito in crisi e balcanizzato, fino a diventarne l’ultimo segretario provinciale.

NASCITA E MORTE DEL PCI
Ripensando alla vita di “Apollo”, credo che il momento chiave sia stato quello iniziale: la Resistenza.
E’ in quei due anni, 1943-1945, che rinacque la classe operaia, espunta dalla storia per un ventennio, e che nacque il nuovo partito operaio: il Partito comunista. Da 6 mila a 2 milioni di iscritti in due anni. Dalla Resistenza i due soggetti – quello sociale e quello politico – uscirono fuori con un grande prestigio.
Poi, nel 1945, emerse che la cultura economica e politica delle sinistre non era adeguata alla cospicua forza politica acquistata con la Resistenza. Si rifiutava per convinzione, non per sola opportunità, la pianificazione totale secondo il modello sovietico, incompatibile con la nostra storia. Ma non si trovava altra soluzione che una ricaduta nel liberismo, nel “lasciar fare”.
Fu la tara che le sinistre si portarono dietro fino al fallimento dei due più significativi progetti di cambiamento che furono avanzati, prima da parte socialista, poi da parte comunista: il centrosinistra e il compromesso storico. Alla fine, in entrambi i casi, la conclusione fu la sconfitta, e la vittoria, per dirla con lo storico Franco De Felice, della “centralità del mercato” e della “residualità della politica”.
Vinse, dopo il Sessantotto che aveva spaventato le classi dominanti in tutto il mondo, il pensiero delle classi dominanti, quello elaborato dagli intellettuali della Commissione Trilaterale: decisionismo contro partecipazione, liberismo contro giustizia sociale. Quel pensiero, che prevalse con le conseguenze che ancora oggi soffriamo, aveva come obbiettivo certamente anche l’Italia della Costituzione antifascista. Ma allora il nemico più temuto era il tedesco Willy Brandt, partigiano antinazista e capo della socialdemocrazia, diventato Cancelliere nel 1969, che aveva detto “Vogliamo osare più democrazia”. La controriforma vinse soprattutto contro di lui, e contro le altre socialdemocrazie avanzatissime sul piano sociale, quella svedese di Olof Palme e quella austriaca di Bruno Kreisky. Era quello il campo in cui stare allora, anche per rinnovarlo e rafforzarlo.
Furono tuttavia anni di lotte grandi e generose. Come ha scritto Valerio Martone, figlio di Maria Cristina, nella Postfazione, il PCI dava “speranza, organizzazione ed ideali a enormi masse di persone”. Dentro gli errori, e nonostante gli errori, occorre vedere, e capire, come la spinta della Resistenza continuò.

RESTA UN MODO DI CONCEPIRE LA VITA, RESTA LA COSTITUZIONE
Resta, della storia del PCI e di “Apollo”, qualche lascito per il futuro. Innanzitutto un modo di vivere: all’insegna della probità morale e della ricerca, anche se indefinita, di una società più giusta. Due tratti che emergono bene in “Apollo” grazie alla penna della figlia. Un modo di concepire la vita, potremmo dire.
Moltissimo dovrà cambiare nell’ispirazione socialista del futuro, se questa ispirazione un futuro lo avrà: in direzione di pensieri che il PCI e “Apollo” non avevano, quello dell’ecologia e quello delle donne. Allora andava bene la SNAM e imperava una concezione della donna alla fin fine molto cattolica-tradizionale. Oggi certamente l’industrialismo e il familismo sono da gettare al macero.
Ma il problema non sono solo i partiti, sono anche e forse soprattutto le persone. L’ideologia consumistica-individualistica-antipartecipativa ha vinto nel vissuto delle persone. La coscienza nasce anche da sé, non solo dall’esterno. Nel 1943-1945 nacque in “Apollo”, dentro di lui: non gli fu solo portata dall’esterno dal Partito comunista. Oggi non c’è alcun partito dei lavoratori, ma gli operai della GKN di Campi Bisenzio si sono “fatti” da soli la coscienza: “Abbiamo visto quanto la lotta dipenda anche dalla persona che sei, come lottando definisci la persona che sei”, scrivono nel loro piccolo grande libro “Insorgiamo”. Sono frammenti in cui sopravvive, nei tempi nuovi, quel modo di concepire la vita.
Cosa avrebbe fatto “Apollo” dopo la morte ovviamente nessuno lo sa. Ma mi piace pensare, come fa il nipote, che “Apollo” sarebbe stato con i giovani altermondialisti di inizio millennio. L’ultima iniziativa politica che tenni assieme ad Aldo Giacché, altra grande personalità che incarnò il comunismo spezzino, fu nel 2002. Io, da sindaco, avevo partecipato al Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre. Lui, dirigente della sezione Nord dei DS, mi chiamò, entusiasta, per un incontro in piazza Brin. Era convinto, come me, che il riformismo socialista avrebbe dovuto incontrare i giovani di Seattle, di Porto Alegre e di Genova, e diventare un’alternativa al neoliberismo e non un suo imbellettamento. Ma così non fu, e ormai forse non poteva più essere.
Certamente “Apollo”, scrive sempre il nipote e concordo, sarebbe dalla parte della Costituzione. Ecco, bisognerebbe riprovare a partire da lì: dalla conquista più grande del 1943-1945. La Costituzione è un testo attualissimo, ma ignorato, disapplicato, quando non avversato. Come disse Piero Calamandrei nel 1955, è “una polemica contro il presente, contro la società presente”.

1983-2023: SARZANA NON HA PIU’ MEMORIA
Nell’articolo di questa rubrica del 6 aprile 2014 scrivevo:
“Come giovane membro della segreteria provinciale del Pci ebbi l’onore di portare in spalla la bara di Barontini tra le vie di una Sarzana invasa da una folla immensa e addolorata. Era il maggio 1983. Nel 2013, a trent’anni dalla sua morte, nessuno, nemmeno la sua Sarzana di cui fu due volte Sindaco, si è ricordata di lui. E’ il segno dell’assenza di memoria a cui conduce il nuovismo senza radici, una politica subalterna al neoliberismo perché priva di connessioni con la società”.
Anelito morì l’11 maggio 1983, quarant’anni fa. Ancora una volta c’è stato il silenzio, nella Sarzana senza memoria che fu di Anelito Barontini, dove oggi la sinistra è stata distrutta. Come a Spezia e altrove.
Barontini e “Apollo” sono stati sconfitti, ma forse non avevano tutti i torti.
La sinistra – se ancora si può usare questo termine – non può sfuggire al bilancio delle sconfitte accumulate nel passato. Ma se si rassegna all’esistente e non capisce i lasciti ancora vivi del passato per pensare a un nuovo futuro semplicemente scompare.

Post scriptum:
Le fotografie di oggi sono dell’archivio di Maria Cristina Mirabello. Quella in alto è di una manifestazione del PCI alla Spezia nei primi anni Settanta. Si riconoscono davanti, da destra, in seconda posizione, “Apollo”, a seguire, il piccolo Vladimiro Giacché ed il padre Aldo. Quella in basso è di “Apollo” in divisa da partigiano, nell’aprile 1945.
Su “Apollo” rimando a questi articoli della rubrica:
Migliarina ricorda”, 23 novembre 2014
Il battaglione Vanni, una storia ancora da raccontare”, 15 marzo 2015
Primula rossa”, 19 novembre 2017
Su Anelito Barontini rimando a.
Ricordo di Anelito Barontini”, www.associazioneculturalemediterraneo.com, 17 dicembre 2016

lucidellacitta2011@gmail.com

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