Lo sciopero degli operai dell’OTO Melara, i calzolai e una lezione contro l’odio
Città della Spezia, 27 agosto 2023
LO SCIOPERO DEL 23 AGOSTO 1943
Il 25 luglio 1943 aveva messo fine al regime fascista. Come ho raccontato in questa rubrica (“25 luglio 1943, non fu solo un’illusione”, 25 luglio 2023), il popolo italiano scese in piazza nel segno della gioia e non dell’odio. La sorpresa fu duplice. Da un lato, dopo 23 anni di regime, nonostante i milioni di italiani formalmente iscritti al partito e le centinaia di migliaia inquadrati nella milizia, non vi furono reazioni fasciste significative. Dall’altro alto, gli antifascisti non compirono gesti di vendetta o di ritorsione personale e si limitarono a scalpellare fra gli applausi le insegne del regime.
Ma il proclama del nuovo capo del governo, il generale Pietro Badoglio, all’insegna della formula “la guerra continua” (a fianco dei tedeschi) preparò il caos che scoppierà l’8 settembre.
La classe dirigente che aveva liquidato Mussolini, guidata dal re, si rivelò incapace della decisione richiesta dalla gravità del momento: una coraggiosa politica antitedesca.
I tedeschi poterono così invadere con le loro truppe, indisturbati, l’Italia del nord e del centro.
Solo il 17 agosto, quando l’occupazione tedesca era ormai conclusa, Badoglio decise di trattare con gli anglo-americani, le cui proposte, offerte in numerose missioni esplorative, aveva fino ad allora rifiutato. Ma l’esercito non fu preparato all’imminente cambiamento di fronte e tutto fu trascinato per evitare uno scontro con i tedeschi, prendendo misure ambigue e contraddittorie. L’esercito italiano era logorato da tre anni di guerra, e molti comandanti periferici avevano un orientamento filotedesco: ma all’origine del baratro dell’8 settembre furono essenzialmente le esitazioni e le paure verso i tedeschi del re e delle alte gerarchie militari, come se si potesse uscire dalla guerra col consenso di entrambi i contendenti. Da un giorno all’altro l’Italia si trovò senza governo – Badoglio seguì il re nella sua fuga verso i territori già controllati dai nuovi alleati – e con l’esercito tedesco accampato in gran parte del Paese.
Il fallimento della classe dirigente aprì una fase drammatica della storia italiana. Ma in quei quarantacinque giorni si era prodotto un fatto molto importante: la classe operaia aveva iniziato a riprendere vigore. Fu l’inizio di un processo al termine del quale uscì dalla guerra con un protagonismo assai significativo, come nessun’altra forza della società. Tanto più dopo essere stata per vent’anni marginalizzata nella scena politica.
Badoglio, sulla politica estera, fu sempre in sintonia con il re. Ma nella politica interna, e in particolare nel rapporto con il mondo operaio, si distinse dal re, che non a caso mostrò una profonda insoddisfazione per l’operato del governo.
Il potere rimase in capo alle autorità militari e le manifestazioni antifasciste successive al 25 luglio furono represse nel sangue. Ma gli italiani iniziarono a respirare un po’. Il processo di defascistizzazione fu molto timido e parziale: la milizia fascista non fu incorporata nell’esercito, i fascisti più pericolosi e gli squadristi in fabbrica non furono quasi mai richiamati alle armi, i detenuti politici vennero liberati solo in parte, la legislazione razziale non fu abolita. Tuttavia la stampa, pur fortemente controllata, non lo era come ai tempi del fascismo. Soprattutto fu nelle fabbriche che si fece una prima prova di democrazia.
Agli inizi di agosto il ministro dell’Industria Leopoldo Piccardi condusse le trattative per la nomina dei commissari confederali a capo delle nuove organizzazioni sindacali dei lavoratori: furono nominati il socialista Bruno Buozzi, il comunista Giovanni Roveda e il democristiano Gioacchino Quarello. La proposta fu accettata in cambio del rilascio dei confinati politici. Il 2 settembre si concluse la trattativa tra sindacati e Confederazione degli industriali, con un accordo nazionale sulla costituzione delle Commissioni interne, elette dai lavoratori. La democrazia fece il suo primo passo, significativamente, in fabbrica. Poi il precipitare degli eventi impedì di portare a compimento ciò che l’accordo aveva reso possibile: alla Spezia, per esempio, solo i lavoratori del Cantiere Navale Muggiano elessero i loro rappresentanti nella Commissione interna, due comunisti e un repubblicano. Ma uno spiraglio positivo si era aperto.
L’agosto 1943 fu anche un mese di intense agitazioni operaie. Si può dire che avvennero nel complesso al di fuori delle decisioni delle opposizioni antifasciste e che progressivamente i partiti, i comunisti in primo luogo, cercarono di dirigerle. Anche gli scioperi di agosto – come quelli del marzo e del luglio 1943 – ebbero la caratteristica di iniziativa autonoma dal basso, in grado di fare avanzare la situazione politica di vertice e in qualche modo di sbloccarla.
Le lotte iniziarono fin dai primi giorni di agosto, un po’ dappertutto e con motivazioni diverse: allontanamento dei fascisti, funzionamento delle mense, aumenti salariali. Fu un crescendo fino al 17-20 agosto, quando l’infittirsi degli scioperi assunse un più netto significato politico, in primo luogo a Torino e a Milano: per la rottura con la Germania e per l’effettiva liquidazione del fascismo.
Alla Spezia scioperarono, il 23 agosto, i lavoratori dell’OTO Melara della Spezia, che già avevano fatto il primo sciopero alla Spezia dopo più di vent’anni, il 28 luglio. Leggiamo la testimonianza, rilasciata nel 1974, di un gruppo di lavoratori dell’OTO Melara:
“Nei primissimi giorni di agosto (poteva essere tra il 5 o il 6 del mese) riuscimmo a proclamare il primo sciopero rivendicativo, anche se parziale. Infatti l’azione riguardava il reparto calderai e fabbri (400 persone circa); lo sciopero durò cinque ore con qualche risultato positivo, in quanto atteneva ai cottimi.
Furono arrestati due operai, un militante comunista (Dell’Agnello) e uno, del quale non si ricorda il nome, senza partito. Vennero rilasciati all’indomani e denunciati a piede libero per sedizione. Il processo ebbe luogo di lì a poco, in un tribunale militare, a Viareggio, e tutti e due gli operai vennero prosciolti per insufficienza di prove”.
Il ricordo è preciso, salvo che per la data, come spesso succede nelle testimonianze rilasciate a tanti anni di distanza dai fatti. Le fonti documentarie concordano sul 23 agosto.
Anche alla Spezia, nei quarantacinque giorni del governo Badoglio, era stata ormai innescata una svolta storica rispetto al ventennio. Nemmeno gli stravolgimenti dell’8 settembre la misero in discussione: lo dimostrarono il grande sciopero del marzo 1944 e la partecipazione operaia alla Resistenza, fino al 25 aprile 1945.
L’ULTIMO SALUTO A “CRISPINO” CALZOLAIO PARTIGIANO
Tra gli operai che parteciparono alla Resistenza c’era Carlo Ferrarini “Crispino”. Se ne è andato pochi giorni fa, dopo avercela messa tutta per arrivare a festeggiare i cento anni. Era santostefanese, e come tutti i santostefanesi combatté sotto il comando di Primo Battistini “Tullio”, nel battaglione Signanini della brigata garibaldina Muccini.
Carlo Ferrarini era calzolaio: il suo nome di battaglia era “Crispino”, il santo dei calzolai.
Già nel 1856 lo storico francese Sensfelder scriveva:
“Il calzolaio e il ciabattino sono gai, perfino vivaci, con una canzone sempre sulle labbra… Nonostante la semplicità dei loro gusti, coloro che lavorano scarpe vecchie o nuove si distinguono sempre per lo spirito irrequieto… e per una sproporzionata tendenza alla loquacità. C’è un tumulto? Dalla folla emerge un oratore? E’ senza dubbio un ciabattino venuto ad arringare il popolo”.
E’ il ritratto di “Crispino”: combattente ai monti e poi per tutta la vita, persona gioviale, cantante, musicista, poeta.
Un altro storico, l’inglese Hobsbawm, ritornò sul tema nel 1986:
“Il problema del radicalismo dei calzolai mi divenne presente la prima volta nella bottega di un ciabattino calabrese negli anni Cinquanta. Sicuramente in qualche luogo egli sopravvive, non da ultimo per incitare i giovani a seguire gli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità”.
Mi piace pensare che anche “Crispino” sopravviva. Anche lui, come tutti i calzolai che l’hanno preceduto, ha servito la gente comune e ha lasciato il suo segno nella storia. E, come tutti i partigiani, ci ha donato la Costituzione.
NO ALLA GUERRA DI TUTTI CONTRO TUTTI
La lezione dei calzolai e dei partigiani è una lezione contro l’odio.
“La nostra Costituzione nasce per superare, per espellere, l’odio come misura dei rapporti umani”, ha detto a Rimini il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Ricchezza delle diversità, no ai muri, ai nazionalismi, alla guerra di tutti contro tutti, solidarietà, antifascismo e Costituzione: questo il cuore del suo messaggio. Ha scritto Carlo Galli:
“Mattarella ha sostenuto che l’unità, la normalità, non sono per nulla da confondere con l’omogeneità e il conformismo; che le basi della civile convivenza non stanno nel predominio di un’identità particolare che diverrebbe così generale, o di uno specifico stile di vita e di pensiero, ma nella Costituzione repubblicana, che disegna una forma politica non monolitica né percorsa dalla guerra di tutti contro tutti, all’insegna della paura e dell’aggressione: una democrazia pluralistica e personalistica in cui la sfera pubblica è costituita dalla multiformità dei progetti di vita e dalle differenti ‘fioriture’ individuali e collettive, uguali nella dignità morale, che la politica rende possibili rimuovendo gli ostacoli al pieno sviluppo umano dei cittadini”
Le guerre culturali sono la negazione della Costituzione, e sono la via all’infelicità pubblica e privata. Così ha parlato la suprema autorità della Repubblica, indicando un percorso alla nostra democrazia.
A sera l’incredibile commento del generale Vannacci, che ancora una volta non ha rispettato la divisa che porta: “Dice ovvietà”. Ma Mattarella non aveva finito: dopo, nel ferrarese, ha ricordato don Giovanni Minzoni, nel centenario del suo assassinio. Era un prete che difendeva i braccianti, massacrato dalle milizie fasciste.
Sul 1943 rimando a questi articoli:
“Marzo 1943. Gli scioperi che scossero il fascismo”, Il Secolo XIX nazionale, 19 marzo 2023, anche in www.associazioneculturalemediterraneo.com
“Gli scioperi del marzo-aprile 1943, come il malcontento divenne politico”, www.patriaindipendente.it, 20 marzo 2023
“25 luglio 1943, non fu solo un’illusione”, Città della Spezia, 25 luglio 2023
“25 luglio 1943. Cade il fascismo stremato, ma la tragedia non è finita”, Il Secolo XIX nazionale, 25 luglio 2023
“In quei quarantacinque giorni di Badoglio cominciò il riscatto. E partì dal basso”, www.patriaindipendente.it, 20 agosto 2023
Su Carlo Ferrarini “Crispino” rimando a questi articoli:
“Compie cent’anni Carlo Ferrarini, partigiano ‘Crispino’”, Città della Spezia, 3 luglio 2023
“Anniversario del rastrellamento del 29 novembre – Santo Stefano Magra – 2021”, in www.associazioneculturalemediterraneo.com
Le fotografie di oggi sono dell’archivio della CGIL: la prima è una veduta dell’OTO Melara dall’alto (anni Cinquanta); la seconda è stata scattata nella mensa dell’OTO Melara nel Natale 1950, durante l’occupazione della fabbrica.
lucidellacitta2011@gmail.com
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