Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
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Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
Massa, Palazzo Ducale – Sala della Resistenza
Il libro di Dino Grassi “Io …

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L’impoverimento della democrazia e la scomparsa della sinistra

a cura di in data 17 Marzo 2016 – 16:31
Sao Tomè, roça di Agua Izè, la struttura per l'essiccatoio termico del cacao    (2015)    (foto Giorgio Pagano)

Sao Tomè, roça di Agua Izè,
la struttura per l’essiccatoio termico del cacao
(2015) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 13 marzo 2016 – I cittadini sono stanchi di non essere rappresentati da una politica che appare sempre più spezzata in due, tra un dentro che decide e un fuori che sente di contare sempre meno, di avere un ruolo irrilevante. Siamo di fronte a una deriva autodistruttiva della democrazia, a un suo impoverimento radicale. La reazione dei cittadini è di indifferenza più che di indignazione, perché si sentono depauperati di ogni potere di influenza. L’incerto avvenire della democrazia è ben analizzato dallo storico Massimo L. Salvadori nel suo ultimo libro “Democrazia. Storia di un’idea tra mito e realtà”: “Oggi il processo di impoverimento graduale della democrazia è giunto al punto per cui: la sovranità del popolo non va oltre il voto di elettori nella loro maggioranza etero-diretti, atomizzati e disorganizzati; il potere economico è tornato in maniera pressoché incontrastata nelle mani dei proprietari e dei ceti superiori; il potere politico -che per gran parte dell’Otto e del Novecento era stato un attributo dei leader dei partiti, degli organizzatori delle masse, dei parlamentari e dei componenti il governo- nei singoli Stati territoriali è infeudato alla plutocrazia sovranazionale o quantomeno influenzato in maniera decisiva da essa; il potere dell’informazione e dei media che orientano politicamente le masse è subalterno a chi ne detiene la proprietà o il controllo”.

Esistono degli antidoti? Certamente: si va dalla lotta alle pratiche corporative del ceto politico -liste elettorali bloccate, governi tecnici, finanziamenti illeciti, militanza politica che diventa carriera- all’incremento di forme di democrazia diretta e partecipativa. Ma tutto ciò avrà scarsi esiti se non si va a quello che il filosofo Roberto Esposito definisce “il cuore del problema”: “la politica, ridotta ad amministrazione, s’incarica di risolvere solo i problemi emergenti, senza dirci cosa intende fare e perché. Quali sono i suoi progetti e come raggiungerli”. E in questo silenzio “le alternative politiche appaiono tutte interne allo stesso modello e dunque irrilevanti”. La politica, cioè, non è più il luogo in cui si confrontano valori e interessi diversi e contrapposti. Nel mio “Non come tutti” scrivevo: “Gli schieramenti possono essere di volta in volta diversi, ma comunque agiscono sempre all’interno dello schema, valoriale e programmatico, del ‘partito unico’. La politica diventa solo una tecnica, subalterna al mercato; e si fa essa stessa mercato, scambio di favori e di convenienze reciproche. Il ceto politico diventa sostanzialmente intercambiabile”. E’ una tendenza non solo italiana -il nostro Paese si sta trasformando in un deserto in cui crescono solo varietà diverse di una stessa pianta- ma europea: basti pensare a come i vecchi partiti socialisti e socialdemocratici europei abbiano gettato via come vecchio tutto l’antico bagaglio di solidarietà che ha segnato la loro storia per diventare “moderni”, come vuole il pensiero unico neoliberista. La filosofa Nadia Urbinati parla -a proposito del Pd, ma la definizione si presta a quasi tutto il socialismo europeo- di “destrinismo”: una mescolanza di destra e sinistra, in un vortice di tattiche astute, allo scopo di restare il più a lungo possibile nella stanza dei bottoni. Il fenomeno a cui stiamo assistendo, in sostanza, è quello della scomparsa della sinistra.

Sao Tomè, roça di Agua Izè, le officine    (2015)    (foto Giorgio Pagano)

Sao Tomè, roça di Agua Izè, le officine
(2015) (foto Giorgio Pagano)

La seconda domanda diventa allora: la sinistra può rinascere? E’ la domanda conclusiva del libro di Salvadori: “Se la democrazia possa o meno riconquistarsi un avvenire, ciò dipenderà dalla capacità o meno della parte di demos oggi umiliata e offesa di dotarsi del necessario vigore e della capacità di iniziativa per incidere con autentica efficacia sui centri non già formali ma sostanziali per il potere”. Per lo storico torinese, pur senza sottovalutare i movimenti, “l’obbiettivo può essere conseguito unicamente attraverso la rinascita di solide organizzazioni anzitutto partitiche, in grado di rappresentare, difendere gli strati sociali più deboli e farne valere gli interessi”. Da questo punto di vista, conclude, “il barometro non tende al bello”. E’ così: non si vedono tracce di sinistra, se per sinistra si intende, come sempre finora nella storia, la forza che lotta contro le tre grandi diseguaglianze: di potere, di sapere, di reddito. E’ vero, un uomo di sinistra come Jeremy Corbyn è stato eletto alla guida del Labour party britannico, riportando in primo piano valori e riferimenti sociali che erano stati rimossi. Ma, come ha scritto Paul Krugman, la vittoria di Corbyn “ha a che fare soprattutto con lo strano e triste crollo morale e intellettuale dei moderati del Labour”, più che con una svolta vera a sinistra del partito e della sua base sociale. E comunque Corbyn è molto isolato in Europa, anche se ci sono Paesi in cui, tra mille difficoltà, una sinistra esiste: Spagna, Portogallo e Grecia.

Infine la terza domanda: e in Italia che succede? Massimo D’Alema ha detto che il Pd è diventato un partito di centro e berlusconizzato (“destrinista”, direbbe la Urbinati). Si può discutere a lungo sulle responsabilità di D’Alema riguardo alla scomparsa della sinistra italiana, ma la situazione è questa. Di fronte al leader demagogo e populista, il grande sociologo Max Weber innalzava l’antidoto del partito strutturato in grado di selezionare e controllare il capo. Certamente non può essere Renzi a costruire un partito: lo ha distrutto, gli serve solo come fonte di legittimità per ordinare lo “stai sereno” e per continuare ad abitare a Palazzo Chigi. Né si vede chi possa farlo: a sinistra del Pd, con il ceto politico attuale, le speranze di risalita sono davvero poche. Esse potranno venire solo da forze nuove e fresche che sappiano partire dai problemi delle persone, fuoriuscire dagli schemi logori di un passato -l’ultimo ventennio in particolare- che non parla più a nessuno, e costruire una sinistra nuova, civica, sociale e popolare. Bisogna partire dai germogli che sono nella società. “Per ora manca un’insurrezione delle coscienze -ha detto Enzo Bianchi, priore di Bose- ma prima o poi i poveri si ribelleranno”. Forse solo allora la sinistra ritornerà, perché avrà un popolo che vorrà farsi rappresentare. Ed è così che si salverà la democrazia: perché la crisi della democrazia si supera solo se si supera la crisi della sinistra, cioè se nella politica non vigono l’omologazione e la mancanza di alternative.

lucidellacitta2011@gmail.com

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