Presentazione di “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello – Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17 a Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
15 Dicembre 2024 – 19:29

Presentazione di
“Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”
di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello
Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17
Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
I due …

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Libia e Italia, destini incrociati

a cura di in data 9 Febbraio 2012 – 10:10

La Spezia,Tramonti (2006) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia – 5 Febbraio 2012 – Consiglio a tutti, insegnanti e studenti in particolare, la mostra foto-documentaria “I relegati libici a Ustica dal 1911 al1934”, esposta fino al 10 febbraio negli Archivi multimediali Sergio Fregoso del Centro giovanile Dialma Ruggiero. La mostra ripercorre la vicenda dei libici deportati a più riprese nell’isola di Ustica, prima da parte dell’Italia giolittiana, poi da quella fascista: una delle pagine più vergognose del nostro colonialismo. Nell’isola è rimasto il Cimitero degli arabi, a ricordarci ciò che non dobbiamo dimenticare, a dirci che non possiamo essere “apatici” verso quello che è accaduto e accade in un Paese dai destini così incrociati con il nostro. Questa storia comune di Libia e Italia è una sorta di personaggio cardinale di “Mare al mattino”, l’ultimo romanzo di Margaret Mazzantini: raccontando le persone e i loro destini, anche questo bel libro ci insegna molto su una storia rimossa, mai rivelata, messa al bando dal desiderio di non sapere, sulla quale solo i libri di Angelo Del Boca e la mostra ora esposta al Dialma hanno aperto degli squarci.

La mostra, organizzata dall’Istituzione dei servizi culturali, dall’Autorità Portuale, dall’Associazione Culturale Mediterraneo e dal Comitato italo-libico Insieme per il domani, ha avuto come corollario la tavola rotonda “Italia-Libia, una relazione lunga un secolo”, che ha affrontato tutte le questioni di questa lunga storia, fino ai nostri giorni, quelli della rivolta che ha liberato il Paese da Gheddafi. La circostanza estrema dell’intervento della Nato che si è aggiunto alla ribellione contro il dittatore forse può aiutarci a rivelare questo nostro passato tormentoso. E la riflessione storica può spingerci a lasciare alle spalle ogni retaggio post-coloniale e a segnare l’inizio di una nuova fase dei rapporti tra i due Paesi, che veda l’Italia protagonista di un sostegno reale ai processi di democratizzazione della Libia.

Ma che cosa è accaduto e che cosa sta accadendo dall’altra parte del Mediterraneo? L’intervento della Nato è stato indubbiamente decisivo per abbattere il regime, ma altrettanto decisiva è stata la rivolta popolare e giovanile per la democrazia, parte integrante della “primavera araba” perché nata all’interno dello stesso clima politico-culturale. Come ha detto Tahar Ben Jelloun in una conferenza a Genova nei giorni scorsi, “le rivolte nordafricane hanno creato delle condizioni di non ritorno: il cammino verso la democrazia, le libertà fondamentali e lo Stato di diritto è stato reso di fatto irreversibile”. Lo scrittore marocchino ha ragione: non ci saranno più dittature come quelle precedenti. Anche se, adopero sempre le sue parole, “la Libia è un Paese molto difficile, non esiste uno stato strutturato, né una vera Costituzione, e le tribù hanno vissuto insieme senza una vera tradizione politica, sindacale, di libertà di stampa”, per cui è difficile immaginare in tempi brevi “il passaggio a una nuova condizione che renda possibile lo Stato di diritto”. La Libia è davvero un’anomalia politica, per l’assenza dello Stato: è ciò che rende ancora più difficile, rispetto alla Tunisia e allo stesso Egitto, questo passaggio. Ma la rottura dei giovani, che costituiscono la grande maggioranza della popolazione, con l’autoritarismo appare “irreversibile”, per dirla con Ben Jelloun. Insomma: ricomprimere il genio delle rivoluzioni nella lampada di Aladino non è possibile, lo status quo ante non si può ripristinare.

La partita non riguarda “se” ma “chi” affermerà i nuovi equilibri. Una cosa è certa: allargandosi lo spazio della democrazia non si potrà prescindere, nel cuore delle società arabe, dall’islamismo. Nelle società musulmane non può esserci una democrazia che emargini l’islam politico. Semmai la questione è: quale grado di tolleranza, libertà, autonomia questa cultura -molto più variegata di come viene dipinta in Occidente- sa esprimere. Non saliamo troppo in cattedra, memori del nostro Novecento e di Ustica: non è vero che c’è incompatibilità tra islam e democrazia. Ci sono tendenze fondamentaliste ma anche spinte verso un modello che concilia religione, laicità e libertà. Che renda impossibile che si ripeta una storia come quella che lunedì Ivano Fossati, nel suo ultimo bellissimo concerto al Civico, ha raccontato in “Stella benigna”: quella di una ragazza irachena, fatta condannare dalla famiglia perché voleva studiare e amare, che per fortuna riesce a fuggire dal confino e da un destino di soggezione fino a Parigi, dove ora insegna. Il  complicatissimo cimento, in Libia, è questo: impedire che, in un Paese sommerso di armi, prosegua, sia pure “a bassa intensità”, la guerra civile; passare direttamente dalle oligarchie economiche e militari alla democrazia; costruire una società e un potere nuovi, quella società civile e quello Stato di diritto che non sono mai esistiti; rispettare i diritti democratici radicandoli nella cultura locale, che è l’identità islamica.

Molto dipende da noi, italiani e europei: da una cooperazione diversa da quella tradizionalmente indirizzata al solo sviluppo economico, perché punta a sostenere anche la costruzione della società civile e dello Stato di diritto.

E’ l’idea che guida il Comitato italo-libico Insieme per il domani, in cui sono impegnato. Siamo l’unica esperienza della cooperazione italiana in Libia, presente fin dallo scoppio della rivolta con una missione umanitaria, finanziata anche da Ligurian Ports, l’associazione dei porti liguri, che opera nei centri ortopedici per curare i pazienti feriti di guerra, soprattutto vittime di amputazioni e bisognosi di protesi. Ora vogliamo impegnarci per sostenere la creazione delle strutture istituzionali e sociali di cui la Libia ha bisogno: in particolare il decentramento amministrativo e l’autogoverno locale che, come dicono gli studi, riducono la possibilità del riaccendersi dei conflitti di 4/5. Anche così daremo un piccolo contributo al grande obbiettivo tratteggiato da Ben Jelloun a Genova: “unire il Mediterraneo e renderlo una realtà coerente e solidale, legando una Europa ricca e sottopopolata a un Nord Africa povero e sovrappopolato”.

lucidellacitta2011@gmail.com

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