Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
14 Novembre 2024 – 21:22

Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
Massa, Palazzo Ducale – Sala della Resistenza
Il libro di Dino Grassi “Io …

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Libertà è partecipazione

a cura di in data 28 Gennaio 2014 – 11:03

La Spezia, lo scaricatore carbone Enel (2011) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia – 19 gennaio 2014 – “La libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”, così cantava il grande Giorgio Gaber in “La libertà”, canzone simbolo dei primi anni Settanta del secolo scorso. Lo spirito di queste parole secondo me è ancora valido, ma non è così per tutti.

Oggi, infatti, ha preso corpo l’idea nefasta che possa esservi una “democrazia al 50%”: che si possa cioè governare un Paese o una città con un’astensione elettorale del 50%, puntando non a conquistare nuovi consensi ma a perderne meno dei propri antagonisti, e considerando irrilevante il tasso e la qualità della partecipazione. In base a quest’idea si afferma il dovere della politica di decidere, di assumersi le proprie responsabilità, di orientare e guidare la comunità ignorando che la metà dell’elettorato non vota, preoccupandosi assai poco della partecipazione dei cittadini al voto e ancor meno della loro partecipazione alle scelte politiche di un Paese o di una città. E’ il punto di vista dell’elitismo, secondo cui governano le élite e non occorre che vi siano cittadini critici e impegnati: la maggior parte di loro -si sostiene- non ha tempo e voglia per la partecipazione, vuole solo che chi è chiamato a governare lo faccia bene, riservandosi il diritto di giudicarlo, e magari di cacciarlo, ogni cinque anni con il voto.
Dall’altra parte abbiamo una posizione che rivendica un metodo di governo fondato su pratiche partecipative e negoziali, che cerchino di costruire il consenso e di contrastare l’astensionismo attraverso una paziente opera di mediazione e di confronto. Questa posizione oggi non è molto popolare, ma non ha molte valide alternative, almeno se si vuole assumere un punto di vista davvero democratico. E’ “buona”, infatti, la democrazia in cui vi sia un forte rapporto tra la qualità della discussione pubblica e la decisione politica. Questo nesso, come ho ricordato nel mio libro “Ripartiamo dalla polis”, è stato fin dagli albori al centro del pensiero democratico: la polis democratica si fonda sul diritto di tutti a prendere la parola nello spazio pubblico e a formulare proposte. La discussione pubblica prima dell’azione è il cuore dell’epitaffio che Tucidide attribuisce a Pericle: “Non pensiamo che il dibattito arrechi danno all’azione; il pericolo risiede piuttosto nel non chiarirsi le idee discutendone, prima di affrontare le azioni che si impongono”. Una buona qualità della democrazia e della decisione presuppone un buon livello di dibattito pubblico, di cittadinanza attiva e consapevole, di protagonismo civico che vuole contribuire alla cosa pubblica; e un buon livello di capacità delle istituzioni di costruire relazioni con la società attraverso forme di dialogo partecipato e di interazione tra il discorso pubblico e la decisione politica.

La Spezia, veduta dal porto Mirabello (2013) (foto Giorgio Pagano)

Il tema è attuale anche nella nostra città. Il progetto della nuova piazza Verdi e l’attuazione del Piano Regolatore del Porto sono vicende diversissime tra loro, ma ci parlano entrambe del rischio di rimanere impantanati per anni nell’immobilismo degli ultimatum, e della necessità di aprire una nuova fase imperniata sul dialogo e sulla partecipazione. Qualche proposta in materia era stata avanzata nel finale della scorsa consigliatura dall’assessore Cossu: rilanciare, dopo la scomparsa delle Circoscrizioni, i quartieri come “centro” dei processi partecipativi, puntare sulle assemblee nei quartieri, dotarle di portavoce eletti, ecc (si veda, su questa rubrica, “Governare la città con gli abitanti”, 18 marzo 2012). Ma, con la nuova Giunta, non se ne è fatto nulla. Un segnale positivo, tuttavia, è arrivato con la trasformazione di due ex sedi di Circoscrizione -Fossitermi e Canaletto- in Centri Civici, non solo sportelli per le pratiche ma anche punti di ascolto dei cittadini (c’è pure, nella sede del Laboratorio del Quartiere Umbertino, il Coordinamento dei Centri Civici). Il segnale più interessante, però, è arrivato dalla Commissione Consiliare “Partecipazione”, ed è stato recepito dalla Giunta: si tratta dell’approvazione del “Progetto sperimentale per la fattibilità di un processo partecipativo nei quartieri di Melara e Termo”, dove sono previsti interventi finanziati dalla convenzione socioeconomica con l’Enel (viabilità, parcheggi, aree verdi). La metodologia prescelta è condivisibile: assemblee pubbliche plenarie, gruppi di discussione per l’approfondimento, laboratori nelle scuole, valutazione di fattibilità delle proposte, fino al report finale, con la possibilità per l’Amministrazione di recepire in tutto o in parte le proposte formulate, o di non recepirle ma esponendo le proprie motivazioni con ampia diffusione pubblica. Il percorso è cominciato: se si farà sul serio i cittadini parteciperanno, come insegna l’esperienza. Dopo la fase sperimentale, l’auspicio della Commissione Consiliare, che condivido, è “l’avvio di una programmazione annuale di eventi partecipativi relativamente al Piano delle opere nei diversi quartieri”. Aggiungerei le opere previste dai grandi progetti di trasformazione della città, dal waterfront a quelli che saranno possibili quando, e se, una parte delle aree militari verrà restituita alla città.
Per i grandi progetti possiamo imparare dalle esperienze di democrazia deliberativa attuate negli ultimi anni in tutto il mondo e anche in Italia. La Toscana offre il panorama più interessante, grazie alla legge regionale sulla partecipazione approvata nel dicembre 2007. Il libro di Antonio Floridia, dirigente del settore Politiche per la partecipazione della Regione Toscana, “La democrazia deliberativa: teorie, processi e sistemi” è una miniera di informazioni e riflessioni di grande utilità. Mi limito a raccontare l’esperienza del primo débat public italiano (un modello partecipativo francese, oggetto in Francia di una legge nazionale), riguardante la tenuta e il borgo di Castelfalfi, nel Comune di Montaione, nel cuore della Valdelsa. Un bene privato, acquistato da una multinazionale tedesca, che presentò al Comune un progetto di recupero ma anche un piano di nuova edificazione (villaggio vacanze, albergo, raddoppio del vecchio campo da golf, ecc). Il dibattito pubblico, organizzato con modalità strutturate e articolate, con una durata predefinita, ebbe questi passaggi: cinque assemblee pubbliche, ciascuna con un oggetto specifico; tre incontri con commercianti e artigiani, operatori turistici e agricoltori, associazioni ambientaliste; un web forum; una campagna di coinvolgimento della cittadinanza con volantini, manifesti, telefonate a campione; un’assemblea conclusiva per la presentazione del Rapporto dal processo di partecipazione. Il Rapporto diede il via libera al progetto con sette raccomandazioni; fu assunto dal Comune di Montaione e fu poi oggetto di un’intesa tra il Comune e la multinazionale. Le “lezioni” di questa esperienza sono molte. Ecco qualche spunto di riflessione: è stato decisivo il grado di autonomia della politica dagli interessi privati che la società esprime; il contributo dei cittadini è stato importante, soprattutto per il loro patrimonio di esperienza dei luoghi e la loro memoria storica, che ha portato a un progetto più aderente alla specificità del contesto territoriale; i comitati e le associazioni ambientaliste, abituati a un’azione di denuncia e di pressione, si sono trovati a vivere un processo partecipativo “con interlocuzioni inedite e persino scomode” (cito da un documento di Legambiente Toscana) che ha portato anche alla loro “maturazione”; il Comune e la Regione non avevano l’obbiettivo di acquisire il consenso su una soluzione, quanto piuttosto di trovare soluzioni nuove e condivise, che sono state poi trovate. Insomma, il progetto è stato notevolmente migliorato, grazie a un processo di crescita collettiva. Ovviamente l’esperienza di Castelfalfi va esaminata anche criticamente: ma in questa sede mi interessa far emergere il dato che la democrazia deliberativa è possibile. Che i cittadini costituiscono un corpo collettivo, diviso sul piano dei valori e degli interessi, ma comunque interessati, perché obbligati, a convivere. Ritornano, studiando il dèbat public di Castelfalfi, principi spesso oscurati come il rispetto reciproco, il dialogo sociale, la convivenza pluralistica, la ricerca di soluzioni quanto più possibile condivise ai conflitti che si producono. Un potente antidoto alle tendenze postdemocratiche dell’elitismo, plebiscitarie o tecnocratiche, oggi in voga, e all’ottusità oligarchica di tante odierne democrazie. La prova che la democrazia rappresentativa si salva e si rinnova solo se si intreccia con la democrazia deliberativa e partecipativa. Le istituzioni rappresentative, elette dal voto dei cittadini, sono pienamente legittime. Ma, di fronte alla sfiducia dilagante, la legittimazione di ogni specifica decisione è un processo da costruire faticosamente, da conquistare nel tempo, attraverso un complesso lavoro di mediazione, partecipazione, confronto con i valori, gli interessi, le opinioni che si formano nella scena pubblica. Davvero, “libertà è partecipazione”.

lucidellacitta@gmail.com

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