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“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
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L’erosione della foce del Magra e il Lagora ad alto rischio

a cura di in data 4 Febbraio 2014 – 19:27

La Spezia, torrente Lagora (2011)(foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia – 26 gennaio 2014 – La stagione delle piogge e delle “bombe d’acqua”, così come la stiamo conoscendo in questi ultimi anni, sta davvero sconvolgendo le nostre vite. Specialmente in Liguria, un’intera regione in bilico tra terra e mare. A spingerla verso il mare sono i movimenti franosi, che hanno tante cause. La principale è il fatto che i nostri fiumi e torrenti, gonfi d’acqua, esondano e invadono i terreni, quei terreni spesso pieni di costruzioni sorte in luoghi dove non si sarebbe mai dovuto costruire. Una situazione così drammatica impone a Stato, Regioni e Comuni una svolta radicale. In particolare, è indispensabile che ogni Comune si doti di un piano programma per la messa in sicurezza del territorio, che Stato e Regioni devono finanziare a scapito di altre opere assai meno importanti; e che approvi norme, nel Piano Urbanistico Comunale, che arrestino il consumo e l’impermeabilizzazione del suolo.

Sui rischi dell’assetto idrogeologico della nostra città fui sensibilizzato, quando divenni un amministratore, dai tecnici comunali, ma un’influenza particolare la ebbero su di me gli articoli che Gino Ragnetti, oltre dieci anni fa, scrisse sul giornale di cui era caporedattore, La Nazione. Gino, già allora, metteva in guardia dai cambiamenti climatici, e insisteva sul pericolo che, a causa dell’effetto serra, il livello del mare potesse salire pericolosamente. Fu il primo a divulgare una ricerca dell’Enea, che prediceva una crescita del Mediterraneo di 30-40 centimetri entro il secolo, per inondare 4.500 chilometri quadri di litorale della penisola. Tra le aree a rischio l’Enea collocava pure la foce del Magra. Basta frequentare Marinella e Fiumaretta per capire che il fenomeno è già in atto. La questione è ancora più complessa, perché agli effetti del cambiamento climatico si associa un fenomeno in atto da tempo, di lunga e storica durata: l’arretramento del litorale, secondo alcuni dovuto al tendenziale bradisismo che agisce nella zona, secondo altri effetto della naturale erosione del mare, soprattutto quando le spiagge sono di natura alluvionale, cioè composte di sabbie e limi, che ogni mareggiata si “scucchiaia” un po’. Le stalle di Fabbricotti, vicinissime alla spiaggia, già negli anni ’30 del secolo scorso finivano sott’acqua, come testimonia la documentazione fotografica. Non solo: c’è l’impressionante sequenza fotografica aerea fatta, per fini bellici, dalla RAF inglese (ripetuta dagli anni ’30 alla fine del conflitto) che testimonia un notevolissimo arretramento della costa dalla foce del Magra a Marina di Carrara. Ci fu poi, in epoche successive, il lungo periodo, negli anni ’50-’70, delle escavazioni, più o meno selvagge, in molte parti del Magra, ma anche del Vara, in particolare nella zona dei Falaschi, proprio nel gomito del fiume dove oggi c’è l’Intermarine. Quelle escavazioni alimentarono l’industria edilizia negli anni del boom urbanistico e fornirono il materiale lapideo per il cemento con cui fu realizzata l’autostrada Genova-Livorno. Si interruppe così il naturale ripascimento delle spiagge e degli arenili prossimi alla foce del Magra. Non solo: in quello stesso periodo furono realizzate a Marina di Carrara opere portuali che deviarono irreversibilmente la corrente marina, che trascina la sabbia fine, in senso antiorario, interrompendo in tal modo l’apporto di materiale solido nelle spiagge della piana. Se consideriamo, quindi, sia questi fenomeni, in gran parte imputabili alle attività umane, comprensibili o dissennate che siano, sia gli effetti del mutamento climatico di cui parlava lo studio dell’Enea, ce n’è abbastanza per preoccuparci. Mi chiedo se chi sta progettando il nuovo litorale di Marinella e Fiumaretta abbia pensato a questo problema, così come ci si sta pensando in tante altre aree costiere del mondo, che hanno problemi in qualche modo simili.

La Spezia, torrente Lagora (2011)(foto Giorgio Pagano)

Ragnetti, in quegli articoli, sollevò allora anche il problema del Lagora. Già oggi -scriveva- quando il mare si gonfia, il Lagora non riesce a scaricare e la sua onda di piena giunge a sfiorare i ponti di Porta principale o di viale Fieschi. Dove arriverà -aggiungeva- quando il livello del mare in condizioni di calma piatta sarà più alto e quindi più alto sarà anche il Lagora? E come potranno scaricare a mare gli altri torrenti che scendono dalle colline spezzine?
Anche in questo caso la preoccupazione per gli effetti del cambiamento climatico si intreccia con la preoccupazione per fenomeni da tempo esistenti. Ricordo che il problema del rischio di esondazione del Lagora si pose quando, negli anni Ottanta, il Comune realizzò l’ampliamento di viale Amendola, ottenuto tramite una soletta a sbalzo rialzata rispetto al pavimento di viale Amendola di circa due metri. Venne bocciato il progetto originario di parziale copertura del Lagora proprio per motivi idraulici. E si misero a frutto gli studi preliminari di quel progetto, commissionati dal Comune alla Facoltà di Ingegneria dell’Università di Genova, che avevano dimostrato l’esondabilità del canale vent’anni prima del Piano di Bacino. Poi, nel 2003, la Provincia approvò il Piano di Bacino per la tutela del rischio idrogeologico: un complesso strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo per assicurare alla città un livello di sicurezza adeguato rispetto ai possibili fenomeni di esondazione. Fu una “bomba”, osteggiata da molti ambienti politici e imprenditoriali per i vincoli edilizi e le limitazioni d’uso del suolo in relazione al diverso grado di pericolosità. Anche per questo non si realizzò, per esempio, il progetto di parte privata per la realizzazione di un parcheggio interrato in piazza Chiodo. Il nostro centro storico fu classificato come area “a rischio elevato”, nel quadrilatero compreso tra i quattro lati di viale Garibaldi, viale Amendola, viale Italia con l’imbocco del porto Mirabello, via Prione, e “a rischio medio” nella parte rimanente, fino al complesso 2 Giugno. Il Piano spinse il Comune a intervenire sul Lagora periodicamente per togliere i detriti apportati dalle piene degli ultimi anni. Cominciammo a intervenire anche sugli altri canali, quelli che sboccano a levante, e le Amministrazioni successive hanno ben proseguito nell’opera. Ma è il Lagora la criticità principale, a cui dare priorità e urgenza. Ogni 50 anni, dicono gli studiosi, c’è un’esondazione per la parte più a rischio. Ragnetti mi fece vedere una fotografia con il giornalista Luciano Bonati in canotto in via Chiodo, nel 1968. Sarebbe assai utile che qualche storico locale studiasse la storia delle alluvioni in città: già nell’Ottocento, ricorda sempre Ragnetti, i ragazzi facevano una sorta di “surf” con le tavole nelle vie della Cittadella…
Certo, non serve una storia secolare, perché il Lagora è un canale artificiale realizzato con la costruzione dell’Arsenale nella seconda metà dell’800. Prima scorreva nelle aree dove oggi c’è l’Arsenale. Fu cambiato radicalmente l’originario e naturale reticolo idraulico della zona, con i suoi corsi d’acqua, i laghetti, le risorgive. Era la città ritratta da Agostino Fossati in quella bella veduta con le lavandaie nel laghetto della Sprugola, con dietro il campanile della chiesa della Madonna della Neve sovrastato dal Castello San Giorgio. Dopo il Piano di Bacino l’ingegner Claudio Canneti, capo del Servizio Lavori Pubblici del Comune, mi propose un progetto affascinante: il restauro del corso originario del Lagora. Era un’opera pensata anche per la sicurezza della città. Ne discutemmo a lungo, anche con la Marina, ma poi la scartammo per la sua grande complessità. Ma chissà, in futuro…
Oggi dobbiamo comunque chiederci, di fronte ai nuovi drammi delle “bombe d’acqua” e dell’innalzamento del livello del mare, se quanto si sta facendo è sufficiente. Bisogna pulire più a fondo, e togliere i sedimenti arrivando fino alla pavimentazione in lastre? Riportare cioè la situazione a quanto realizzato dagli ingegneri del generale Domenico Chiodo? Essi avevano una moderna cultura idraulica, che li indusse a realizzare un canale non a caso con quella portata. E poi, altra questione non di poco conto: l’Itn, quando ebbe l’autorizzazione, nel 1993, per realizzare il porto Mirabello e la strada di accesso lungo la sponda sinistra del Lagora dalla Porta principale al mare, doveva anche mantenere costantemente le quote di fondo alveo. Così scriveva la Regione Liguria, Servizio del Genio Civile della Spezia, il 23 febbraio 1993: “a tal fine dovrà procedere a periodici dragaggi dell’alveo del canale dal ponte principale allo sbocco a mare specie dopo ogni piena o mareggiata di notevole entità e non meno di una volta all’anno”. Lo sta facendo? Ancora: la Protezione Civile ha predisposto i necessari sistemi di allarme, i piani di evacuazione, la segnaletica, e tutto quanto è necessario in questi casi? Conviviamo con un rischio molto alto, oggi più grave rispetto ai tempi del Chiodo: dobbiamo saperlo, e provvedere.

lucidellacitta2011@gmail.com

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