Le mafie tra Spezia, Sarzana e Lunigiana
Città della Spezia, 15 gennaio 2017 – “Il Confine. Tra Liguria e Toscana, dove le mafie si fanno in quattro” è una ricerca scritta con stile narrativo, che appassiona come un romanzo e fa riflettere come un saggio. L’autore è Marco Antonelli, referente provinciale di Libera La Spezia. L’associazione aveva già presentato, nel 2013, l’opuscolo “Una storia semplice. Pare che Sarzana sia ‘ndranghetista”, che destò non poco clamore (si veda, in questa rubrica, “Sarzana, la ‘ndrangheta e la politica che ritrova il coraggio dell’utopia”, 17 febbraio 2013). Da quel momento Libera La Spezia ha continuato a studiare il fenomeno mafioso per sviluppare una discussione sempre più puntuale sul tema della legalità nel territorio locale. Il libro di Antonelli, una ricerca nata nel master “Analisi, prevenzione e contrasto della criminalità organizzata e della corruzione” dell’Università di Pisa, è il frutto di questi approfondimenti. Vengono ripercorsi gli episodi di cronaca criminale che hanno caratterizzato il territorio della provincia spezzina fino al confine con la Versilia: vicende apparentemente frammentate, che Antonelli raccoglie e studia con lo scopo di provare a mostrarne un quadro di lettura unitario. Si passa dal drammatico scontro tra i clan di Carmelo Musumeci e Ludovico Tancredi all’“operazione SLOT”, protagonista Vincenzo Di Donna, legato alla camorra, e all’“operazione SCILLA”, in cui il personaggio chiave fu Carmelo Iamonte, legato alla ‘ndrangheta, in commistione con lo stesso Di Donna, fino alle vicende della Val di Magra “Valle dell’oro” negli anni Ottanta, delle bombe a Sarzana, della “Via dell’oro” (la Variante Aurelia) e del rapporto tra ‘ndrangheta e politica.
L’intento del “Confine”, ha spiegato l’autore nel corso della presentazione a Spezia, non è quello di puntare il dito contro i soggetti citati o di riaprire inchieste che già hanno avuto un proprio corso, ma quello di raccontare storie più o meno passate, che ci aiutino a comprendere il presente del nostro territorio. Il libro non scoperchia verità indicibili, ma riporta informazioni riscontrabili nei documenti pubblici; esamina tante storie, che unite assieme con un filo conduttore ci offrono un’unica cornice del fenomeno criminale tra La Spezia, la Lunigiana e la Versilia. “Non abbiamo l’arroganza di aver capito tutto, ha affermato Antonelli, da queste storie emergono più domande che risposte”.
Nell’introduzione l’autore scrive: “Ognuno, ricostruendo le storie, trarrà le proprie conclusioni: potrà credere o no alle decisioni dei giudici, alle analisi dei magistrati e delle forze dell’ordine, alle parole dei testimoni, alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia”. La mia conclusione è che le mafie, nel nostro territorio, ci sono state, e forse ci sono ancora. Anche se i dubbi e le questioni aperte sono ancora tante. C’è materia per scrivere un altro libro. Basta leggere le stesse conclusioni, il “Finale aperto”, del “Confine”: “Quali sono stati i legami tra i gruppi criminali capitanati da Carmelo Musumeci e Ludovico Tancredi e i gruppi ‘ndranghetisti di Sarzana? Chi sono gli assassini di Maurizio Basile, Italo Allegri, Giuseppe Messina, Paolo Bacci, Marco Palma, Roberto Giurlani? Chi ha preso il posto del gruppo criminale guidato da Musumeci? L’interesse della camorra nel settore del gioco d’azzardo è stato un episodio marginale o altri gruppi stanno continuando a vessare gli imprenditori onesti, magari gruppi legati alla ‘ndrangheta?”. Ancora: il libro documenta come i voti dei sarzanesi legati alla ‘ndrangheta andassero, negli anni ottanta, ad alcuni uomini del Partito socialista. E da allora a oggi? Sarebbe interessante, scrive l’autore, “andare a studiare il rapporto tra mondo politico e mondo imprenditoriale, il ruolo degli istituti bancari e dei cosiddetti professionisti, l’evoluzione di alcune società”, in un contesto in cui “i protagonisti dell’epoca non sono molto diversi dai protagonisti di oggi”.
Considerazioni ancora più attuali dopo l’inchiesta aperta dalla Direzione distrettuale antimafia (successivamente alla pubblicazione del libro), che ha sequestrato nel Comune di Sarzana i documenti relativi alle aste e ai cantieri avviati dal 2005 a oggi. L’augurio, naturalmente, è che tutto si possa chiarire. Ma non si può delegare tutto alla magistratura e alle forze dell’ordine, il compito della società civile è altrettanto importante: guardare in modo critico alla storia e alla cronaca, farsi delle domande, battersi per la legalità. Così come è importante il ruolo di vigilanza delle istituzioni. Non a caso Libera ha proposto e ottenuto, a Sarzana, la costituzione della Consulta Comunale per la Legalità, uno strumento di partecipazione approvato dal Consiglio Comunale nel 2011, che è un po’ un unicum in tutta Italia.
Non c’è solo la crisi economico-sociale, c’è anche la crisi della legalità. E la battaglia per la legalità è decisiva: perché senza legalità prevale la legge del più forte e non c’è società, e senza società non c’è libertà. Senza la battaglia per superare la crisi della legalità non si supera nemmeno la crisi economico-sociale: sono due facce della stessa medaglia.
Post scriptum
Dedico la rubrica di oggi a Mario Soares, scomparso nei giorni scorsi. Era il padre della democrazia, il leader indiscusso del Portogallo libero. Fu in prima fila nella lotta contro la dittatura di Salazar e di Caetano. Pagò con l’arresto, la deportazione a Sao Tomé (allora colonia portoghese), l’esilio a Parigi. Fondò il Partito socialista, fu Primo Ministro e Presidente della Repubblica. Negli ultimi anni fu assai sensibile nei confronti dei movimenti politici giovanili che promuovevano un’azione critica contro la globalizzazione senza regole e divenne una delle personalità più apprezzate nei Forum Sociali Mondiali che si tenevano in Brasile, a Porto Alegre. Qui lo conobbi, nel Forum del 2002. La foto in basso lo ritrae in testa al corteo che aprì quel Forum: Soares è il quarto da destra, al suo fianco c’è Tarso Genro, allora Sindaco di Porto Alegre, con il pollice alzato. La foto in alto è del Monastero dos Jerorimos a Lisbona, dove è stata allestita la camera ardente: da lì il feretro ha percorso il centro della capitale, tra migliaia di portoghesi, fino al cimitero dos Prazeres.
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