Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
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Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
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Il libro di Dino Grassi “Io …

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La strada del Palaedo, le Cinque Terre e la lezione di Pietro Leopoldo

a cura di in data 15 Ottobre 2016 – 09:16
Veduta dal sentiero tra Manarola e Corniglia    (2016)    (foto Giorgio Pagano)

Veduta dal sentiero tra Manarola e Corniglia
(2016) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 9 ottobre 2016 – “Questi ragazzi che giustamente rifiutano l’eredità dei padri dai quali non hanno nulla da imparare, hanno rischiato l’impopolarità, hanno sostenuto dure lotte con la famiglia, hanno avuto il coraggio di salvaguardare la loro coscienza di democratici. E voi che con aria paternalistica li definite dei ragazzi, in coscienza avete tutto da imparare. Per questo io sono con loro! La nostra azione è servita a far sapere a Manarola che nel mondo corrotto in cui viviamo ci sono ancora dei giovani che in paese si battono non per degli sporchi interessi ma per degli ideali”.Era il 1968. Con queste parole, in una solenne riunione del Consiglio Direttivo della Pro Loco di Manarola, Gianfranco Paganetto, allora trentenne, si batté contro l’espulsione dall’associazione, voluta dai più anziani, di12 ragazzi protagonisti della costruzione della strada del Palaedo, l’altra Via dell’Amore. L’opera era stata iniziata nel 1967: 270 metri in parte scavati nella roccia, un’opera voluta per rendere Manarola ancora più bella, un gesto di ribellione dei giovani manarolesi. Fu realizzata con il volontariato, contro il volere iniziale del Comune e della Sovrintendenza ai Monumenti della Regione. A un certo punto i ragazzi rifiutarono pure il finanziamento dell’operada parte del potente ministro democristiano Taviani. La storia di questa avventura è ben raccontata da Claudio Rollandi, insegnante, architetto, attivista, uno dei ragazzi di allora, nel libro “La costruzione della strada del Palaedo (Via dell’Amore bis)”. Claudio ha utilizzato i giornali dell’epoca, e soprattutto le carte di Paganetto, il punto di riferimento di quei ragazzi e l’ideatore della strada. Socialista, era soprannominato, per il carattere ardente e i capelli rossi, “Tizzon” in garfagnino, la lingua della terra d’origine della madre, oppure “Tisun” in lingua manarolese.La storia del Palaedoci fa capire quanto fosse profonda la ribellione giovanile di quegli anni: anni di spontaneismo, di assemblearismo, di autogestione, di creatività popolare.

Ma ci fa capire anche quanto fosse profondo l’amore dei manarolesi per la loro terra, quanto fosse radicata in loro quella che il grande economista Giacomo Becattini ha chiamato, in un libro dal titolo analogo, “la coscienza dei luoghi”. Lo spirito delle Cinque Terre è uno spirito quasi isolano: il loro isolamentofu risolto solo nel 1874, con la costruzione della ferrovia. Quindi uno spirito di forte radicamento e attaccamento alla propria terra.Questo amore, questa coscienza, questo spirito permangono ancora oggi, nonostante il cambiamento radicale dei tempi. Allora volevano valorizzare la bellezza del luogo, oggi vogliono salvare il luogo, perché la bellezza non basta. Le Cinque Terre, quando ero ragazzo, erano frequentate solo da un’ élite di turisti, e gli abitanti, operai e contadini, non vivevano certo di turismo, come succede oggi.Chi oggi è ragazzonon può nemmeno immaginare la differenza. Certo, il turismo ha portato ricchezza: ma questa attività economica crollerà se non ci sarà la volontà di riprodurre le risorse ambientali e paesaggistiche del luogo. Perché la Vita dell’uomo è possibile solo con la Vita della terra. Da qui la scelta dei manarolesi, riuniti nella Fondazione “Manarola Cinque Terre”, di favorire il “ritorno alla terra” da parte dei giovani. Proprio ieri su “Città della Spezia” è stato pubblicato l’articolo “Cinque Terre, nasce la banca del lavoro”, in cui viene spiegata l’iniziativa, che ha visto la Fondazione tra i protagonisti, per supportare con giovani qualificati, italiani e migranti, i contadini nelle attività agricole e di manutenzione e recupero dei terrazzamenti. Claudio Rollandi ha scritto che “con la banca del lavoro salviamo le Five Lands” (Il Secolo XIX, 8 ottobre 2016). “Five Lands” è per Claudio un nome ironico, che indica il rischio della fine delle Cinque Terre. La stessa ironia di quel cartello che il camminatore incontra scendendo per il sentiero dal Telegrafo a Riomaggiore, appena all’inizio del borgo: c’è scritto “Rialto” con la freccia, come nella Venezia pure essa invasa dai turisti. Claudio, nell’articolo, promette di non usare più il termine “Five Lands” e di tornare a “Cinque Terre” se la borsa del lavoro avrà successo. E ha ragione: perché è qui la chiave di volta.

In “La coscienza dei luoghi” Becattini spiega bene il concetto con “la metafora del lago”: “La costanza e la variazione di rendimento di un’ora di pesca dipendono più dal fatto che l’educazione dei pescatori e/o la conservazione del lago siano accuratamente perseguiti, che non dal potenziamento della flottiglia delle barche da pesca e/o da un aumento del numero dei pescatori. Cambiamenti, questi ultimi, che, oltre certi limiti, possono diminuire, anziché aumentare, la pescosità del lago. La conservazione del paesaggio lacustre ha un valore anche distinto dal valore produttivo, per cui una corretta politica di conservazione dei laghi non è solo in funzione della loro pescosità, ma anche della difesa della ‘esperienza lacustre in tutte le sue espressioni’, per le future generazioni… La costanza o il cambiamento di rendimento di un’ora di pesca (non depauperante il lago) dipendono, a lungo andare, più dall’educazione dei lacustri e dall’attività di conservazione del lago, che dal potenziamento della flottiglia delle barche da pesca”. Il punto di partenza è la conservazione del lago, l’economia viene dopo, ci spiega Becattini, che non vuole isolare l’aspetto economico dal comportamento umano. Come diceva John Stuart Mill: non può essere un buon economista chi sia soltanto un economista. La metafora del lago e della pesca vale per il paesaggio agricolo e il turismo nelle Cinque Terre, e vale in generale: per la Palmaria come per l’Appennino…

E’ la stessa lezione di fine Settecento di Pietro Leopoldo in Toscana, il granduca illuminista degli Asburgo Lorena: bisogna realizzare un corretto rapporto tra “fondi” e “flussi”, cioè tra natura, coscienza del luogo, carattere del popolo e gli interventi economici, sociali e politici, che non devono impoverire la natura e il carattere del popolo. Il laissez-faire non può che portare a una crescente scarsità e alla legge della giungla.Il passo dal paradiso all’inferno è breve. Ormai nelle strade e nei carrugi di Manarola e di Vernazza è addirittura difficile camminare. Quindi bisogna non solo tornare alla terra ma anche regolamentare i flussi turistici. Il Parco e i Comunilo stanno capendo. E a Manarola stanno educando alla coscienza del luogo anche i migranti. Di questi tempi è quasi una rivoluzione.

Post scriptum: chi fosse interessato può leggere di seguito la mia postfazione al libro di Rollandi.

Postfazione a “La strada di Palaedo (Via dell’Amore bis)” di Claudio Rollandi

La storia della strada di Palaedo, strappata alla roccia dagli abitanti di Manarola, giovani e meno giovani, è innanzitutto una storia d’amore per il proprio borgo. Ma è anche una lezione politica su come migliorare i nostri borghi -e quindi il nostro Paese- partecipando e facendo partecipare i cittadini allo sviluppo della propria comunità.
In crisi, oggi, c’è un modello di comunità: persone che non si parlano più e che hanno smesso di condividere gli spazi pubblici, botteghe che chiudono, serrande che si abbassano quando si fa buio con i cittadini che si rintanano in casa e pensano ognun per sé davanti al televisore o al computer. Così la società muore, si prosciuga, perché non ci si sente -scrive Marco Boschini, coordinatore dell’Associazione dei Comuni Virtuosi- “parte di qualcosa, un pezzo del tutto”.

Veduta dal santuario di Montenero    (2016)    (foto Giorgio Pagano)

Veduta dal santuario di Montenero
(2016) (foto Giorgio Pagano)

Il bello della storia raccontata da Claudio Rollandi è che i cittadini possono reagire a tutto questo, diventare protagonisti della vita della loro comunità, sentirsi “parte di qualcosa, un pezzo del tutto”. A Manarola successe poco meno di quarant’anni fa, con la costruzione della strada del Palaedo, e sta succedendo ancora oggi, con il recupero dei terreni incolti e la riattivazione del loro uso agricolo.La “Fondazione Manarola” -Claudio, non più giovane studente ribelle ma pensionato che mai si è arreso, ne è tra i protagonisti- ha raccolto dai manarolesi denaro e terre abbandonate e ha costituito un patrimonio che le ha consentito di cominciare un lavoro imponente: pulire i terreni, ripristinare il sistema di smaltimento delle acque piovane con i canaletti, ricostruire i muretti precipitati, ripristinare i tratti di sentiero e i “trenini” che garantiscono l’accessibilità a tutti i terreni della zona. Con l’impegno diretto dei manarolesi e con quello dei giovani disponibili, per i quali sono state organizzate iniziative formative. I manarolesi hanno dato l’esempio in prima persona, come alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso con la costruzione della strada del Palaedo. Allora avevano capito che bisognava puntare sulla bellezza del proprio territorio. Oggi hanno capito che non si può vivere solo di bellezza e di turismo: può valere per una generazione, ma dopo? Perché ci siano bellezza e turismo deve esserci la Vita dell’uomo, che è possibile solo con la Vita della terra. E’ in corso un grande laboratorio di autogoverno: la sfida, enorme e appassionante, è quella di connettere nuovi saperi e nuove tecnologie con la sapienza ambientale storica degli agricoltori del luogo e di mantenere, con un nuovo legame tra giovani e vecchi, il legame sociale e comunitario tipico della zona, così ben raccontato nel libro di Claudio.
Certo, serve l’impegno anche di Stato, Regione, Parco, Comune: leggi, incentivi, finanziamenti per un grande piano di “ritorno alla terra”. In questi anni la politica ha molto deluso, anche nelle Cinque Terre: le vicende giudiziarie del Parco e del Comune di Monterosso stanno a testimoniare che anche i paradisi terrestri sono soggetti alla corruzione. Ma i manarolesi ci hanno fatto il callo, non si arresero allora e non si arrendono oggi. Non hanno mai aspettato la manna dal cielo, tantomeno oggi. Manarola ha conservato una dimensione antropologica del vivere e del sentire caratterizzata dalla tenacia, dalla passione e dalla sensibilità storica per la propria terra. I suoi abitanti sanno sempre mettere in moto rapporti interculturali e di cooperazione tra le persone che, evidentemente, erano già vivi su queste terre secoli fa. Altrimenti non emergerebbero in ogni occasione.

Claudio, che è stato anche un bravo insegnante e che ha sempre amato l’arte e la cultura, conclude il libro citando, non a caso, il manarolese Dario Capellini, partigiano, maestro, amministratore pubblico e amico dei pittori. Nella “Festa ai pittori” che organizzava a Manarola partecipavano grandi artisti, che lasciavano le matrici delle serigrafie in cambio di una fiaschetta di sciacchetrà. Si discuteva, si beveva e si mangiavano le acciughe, in una dimensione comunitaria che è la stessa delle avventure del Palaedo e della “Fondazione”. I manarolesi si parlano ancora. Altrimenti i borghi muoiono, perché si snaturano e perdono il legame invisibile e solidissimo che li ha resi coesi per secoli.

Le attività di recupero delle terrazze incolte hanno coinvolto anche giovani immigrati “rifugiati”. Ragazzi che non conoscevano né la lingua né gli attrezzi da lavoro hanno imparato un nuovo mestiere: ora tre di loro lavorano nelle aziende agricole del posto e altri stanno facendo un tirocinio semestrale. Le feste in piazza per mangiare tutti assieme in amicizia ci hanno fatto capire che è così che si gettano le basi di una grande comunità euro-mediterranea ed euro-africana, su cui costruire una nuova Unione e una nuova Europa. E che si può fermare il tempo, anzi farlo girare al contrario: perché una comunità che esprime gioia è una comunità che ha il senso del futuro.

Giorgio Pagano
cooperante e scrittore

lucidellacitta2011@gmail.com

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