La Spezia per il G8
Città della Spezia, 25 luglio 2021 – Nel gennaio 2001 le associazioni genovesi critiche della globalizzazione lanciarono la petizione “Genova città aperta”, per il diritto a manifestare in occasione del vertice G8 previsto per luglio. Nel febbraio si costituì il Genoa Social Forum, e iniziò una campagna nazionale di mobilitazione contro il rischio che la città fosse “blindata”. Anch’io mi ribellai, e decisi di schierarmi per dare il massimo spazio al dibattito critico. Scrissi, nella mia veste di Sindaco della Spezia, al Genoa Social Forum e chiesi un incontro. Ad aprile, in un’intervista a un giornale genovese, affermai: “So bene che il vertice G8 si svolgerà a Genova e che quindi i movimenti critici vorranno manifestare in quella città. Per motivi simbolici, ma anche pratici. Tuttavia la mia offerta resta valida, spetta a loro decidere. Sono felice che la signora Bush venga a visitare il nostro sistema museale e le Cinque Terre… Ma, allo stesso modo, vorrei che anche i movimenti critici venissero qua per dialogare con la città, per discutere dei temi d’attualità, come la globalizzazione, l’ambiente, la salute”. Incontrai il Genoa Social Forum il 10 maggio, a Genova, fu un colloquio molto positivo.
Ne scaturì un programma molto intenso di iniziative. Invitammo personalità dell’economia e della cultura, dedicammo una giornata al mondo sociale latino americano… Un momento importante fu il seminario del 14 luglio sul tema “Il potere della letteratura”, che si concluse dopocena al Teatro Civico. Gli atti furono pubblicati da un quotidiano genovese in un apposito inserto, e poi in un libretto del Comune. Parteciparono intellettuali di molti Paesi del Mediterraneo: Rosi Braidotti, filosofa italiana docente in Olanda, Carlo Coccioli, grande scrittore italiano da molti anni in Messico, Vincenzo Consolo, il turco Nedim Gursel, il croato Predrag Matvejecic, autore del bellissimo “Breviario mediterraneo”, il tunisino Abdelwahab Meddeb, Elisabetta Rasy, il greco Vassilis Vassilikos, autore di “Z, l’orgia del potere”, l’algerino Khaled Fouad Allam. Un consesso d’eccezione, che diede vita a una giornata straordinaria. Impossibile ripercorrerla qui, se non ricorrendo ad alcune parole dell’intervento “Non per concludere” di Egi Volterrani: “L’intellettuale non è morto, ancora. […] deve operare nel senso di far crescere nella gente gli strumenti critici, la capacità di intervento dialettico. Anche attraverso un uso consapevole delle memorie. Si tratta di un discorso sempre più diverso da quello che viene loro sempre più richiesto (dal potere o dal mercato, o attraverso di essi). […] Mentre la memoria viene privata, nelle nuove ‘tecnologie’, di selezioni e di gerarchie, la ‘logotecnica’, ossia la letteratura, ricrea i valori di riferimento stabilendo le pari dignità di tutte le memorie storiche che l’umanità ha stabilito distribuendosi in ogni parte del pianeta, affermando la centralità della dignità individuale dell’essere umano, e riconoscendo all’ambiente e alla natura, in tutte le sue manifestazioni vitali, l’infinito rispetto che è loro dovuto”. C’era già, profetica, una critica alla rete sulla questione della memoria del passato. Così come c’erano i segni di una concezione non antropocentrica del mondo, con al centro non solo l’uomo ma anche la natura, avente anch’essa la dignità di soggetto.
Il grande Carlo Coccioli, che mancava all’Italia da cinquant’anni, annunciò, alla fine del suo intervento: “Desidero trasferirmi nuovamente in Italia e proprio qui alla Spezia”. Voleva comprar casa, ma morì poco tempo dopo.
Del concerto di Bob Dylan al Picco il 20 luglio ho già scritto, su questo giornale, nell’articolo “Dario Fo, Bob Dylan e la Spezia” (16 ottobre 2016). Il palco era montato a metà campo, leggermente spostato verso la curva piscina. Seppi della morte di Carlo Giuliani poco prima dell’inizio del concerto. Concordammo con l’artista di non sospenderlo e di dedicarlo a quella giovane vita spezzata, dopo un minuto di silenzio. Fu un concerto speciale, Dylan suonò ventidue canzoni. Non sapremo mai se cambiò la scaletta che aveva previsto, perché ogni concerto di Dylan è sempre stato diverso dall’altro: ma è bello pensare che quella sera abbia scelto di cantare molte canzoni pacifiste del suo repertorio.
Poi vennero le torture di massa nella caserma di Bolzaneto e l’irruzione nella scuola Diaz. L’orrore continuava, ma il movimento non si arrendeva. Anzi fu sempre più propositivo, anche se non a sufficienza. Andai a Porto Alegre, al Forum Sociale Mondiale del gennaio 2002, poi a quelli europei di Firenze del novembre 2002 e di Saint Denis del novembre 2003: momenti di grande partecipazione ed elaborazione. Soprattutto a Porto Alegre, la città brasiliana che aveva già ospitato il primo Forum Sociale Mondiale nel gennaio 2001. Genova nacque lì, dai movimenti del Sud del mondo, i più vitali, ancora oggi. Ma quella stagione si esaurì, soprattutto in Europa. Anche perché la risposta delle forze politiche della sinistra fu desolante. Ancor di più di quanto lo fosse stata quella alla grande utopia libertaria del Sessantotto, di cui il movimento alterglobalista era, in fondo, discendente. Fu l’ultima occasione perduta dalla sinistra novecentesca europea e occidentale.
Pezzi di quell’eredità hanno comunque vissuto nei movimenti successivi, da Occupy Wall Street a Friday for future, fino a Black lives matter. L’esigenza di un altro modello economico e culturale, di un’altra idea di civilizzazione rispetto a quella dominante è più viva che mai. Soprattutto nei movimenti del Sud del mondo, che mettono al centro l’unità indissolubile della giustizia sociale e della giustizia ambientale. Per capirlo dobbiamo mettere da parte ogni sguardo eurocentrico o occidentocentrico. Come ha detto Giuseppe De Marzo di “Libera”:
“Per anni ci hanno spiegato che la liberazione dell’uomo e della donna dipende dalla liberazione dal capitale. Negli ultimi trent’anni invece la realtà ci ha detto altro: dobbiamo innanzitutto liberarci da un antropocentrismo radicale che non ci fa comprendere quanto fondamentale anche per la nostra sopravvivenza sia riconoscere dignità e diritti al resto della vita intorno a noi. Pensare di essere sani in un mondo malato è irrealistico, perché la vita è un insieme di ‘relazioni inseparabili’. Siamo parte del ciclo della vita. Non siamo il dominus. Non siamo il centro. Non siamo l’avanguardia politica. Non siamo i migliori. Siamo vita in mezzo alla vita che vuole vivere. Se non riusciamo a riconoscere e allearci con chi difende la vita in ogni sua forma, dai diritti sociali a quelli umani, da quelli della natura a quelli degli animali, saremo spazzati via. La pandemia, il collasso climatico e la riduzione della biodiversità ce lo stanno mostrando. Usciremo dal pantano in cui siamo immersi non solo ridistribuendo ricchezze ma ripensando una visione culturale che garantisca un equilibrio salvifico a tutti”.
Non solo “um outro mundo è possivel”, come si diceva a Porto Alegre, ma è drammaticamente necessario.
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