La solitudine del Sindaco
Città della Spezia – 6 Maggio 2012 – Il prossimo Sindaco sarà prigioniero della solitudine. Sarà suo compito cercare di uscirne, ma dovrà anche e soprattutto essere aiutato. Vale per il Sindaco della nostra come di tutte le altre città. Il ciclo ventennale cominciato con la stagione dell’elezione diretta dei Sindaci ha esaurito la sua spinta propulsiva. La nuova figura del Sindaco uscì dalla riforma elettorale del ’93 come il perno di ogni intervento riformista e nella transizione incompiuta di Tangentopoli svolse una funzione positiva, in gran parte di surroga dei partiti in crisi. Si creò una squadra di neoamministratori che sembravano animati da una missione collettiva: ricostruire dal basso la frattura tra politica e territorio. Ma quel sogno è svanito, perché è prevalsa la “ricentralizzazione”, cioè esattamente il contrario di quanto promesso dalla retorica federalista e autonomista in voga in tutti questi anni. Ha vinto la spinta perché non ci fossero leadership locali forti, per responsabilità innanzitutto della destra ma anche della sinistra. Quella sinistra che aveva la sua forza nelle radici territoriali, e che fu sconfitta quando decise di reciderle: abbandonando le sezioni, emarginando i sindaci eletti direttamente, bloccando ogni ricambio che attingesse energie dai territori, rinunciando, nel nome del “Porcellum” varato senza vera opposizione, ai parlamentari eletti nei collegi uninominali. Dell’esperienza iniziata nel ‘93 oggi non restano che macerie fumanti.
Negli ultimi anni è avanzata un’altra generazione di Sindaci. I primi muovevano dalle città per proporre diversi modelli di governance territoriale e su quelli costruire piattaforme valide per il governo nazionale. I secondi sembrano fare l’opposto. Reagiscono alla solitudine provocata dalla “ricentralizzazione” guardando soprattutto alla politica generale, invertendo quindi i piani nel rapporto periferia-centro. Il prototipo è Matteo Renzi, il primo cittadino di Firenze. Di lui (a parte la tranvia che non passa più davanti al Duomo), pochi ricordano iniziative forti per cambiare il volto della sua città. Ma tutti conoscono le polemiche per “rottamare” i dirigenti nazionali del suo partito. Vale per molti altri: non c’è un progetto visibile dal locale al nazionale, un modello esportabile dalla periferia al centro. Resta l’ambizione personale a un ruolo nazionale, fondata sulla spinta contro il passato, per andare “oltre”. Non si sa bene dove.
Bisogna creare le condizioni perché i Sindaci escano dalla solitudine in cui sono stati rinchiusi. Agendo dall’alto e dal basso. Dall’alto: mettendo in discussione l’impostazione centralista dei Governi di questi anni e rilanciando grandi politiche nazionali per migliorare la condizione urbana, come fanno tanti Paesi europei e la stessa Unione europea con la nuova stagione dei fondi strutturali. La priorità, da questo punto di vista, è la modifica dell’Imu (Imposta municipale urbana): non è accettabile che un tributo locale vada in gran parte nelle casse dello Stato, e che si carichi sui Comuni un peso enormemente superiore allo sforzo richiesto ad altri pezzi dell’assetto istituzionale. Ma la solitudine dei Sindaci va superata soprattutto dal basso, con nuove forme di democrazia dei cittadini e di partecipazione. L’”uomo solo al comando” ne ha un bisogno vitale: altrimenti è ingabbiato dal rapporto con le lobbies, è catturato nelle reti dell’establishment urbano, è rattrappito attorno al suo “cerchio magico”. Ciò si supera solo riproponendo il problema dell’influenza reale dei cittadini sulla cosa pubblica. Ecco perché è benvenuto il risveglio in atto di settori sensibili della società civile, che con le loro rivendicazioni e proposte sono in grado di contrastare e sostituirsi costruttivamente all’antipolitica. A patto che i Sindaci sappiano ascoltarli e coinvolgerli, individuando nuove e urgenti modalità di rapporto.
Qualcosa di nuovo, da questo punto di vista, sta accadendo. Molti Sindaci, da Milano a Cagliari, sono stati eletti nei mesi scorsi proprio con questa domanda di superamento dell’”uomo solo al comando”. E i primi passi di quelle Giunte hanno cercato di dare risposte concrete alle aspettative di democrazia partecipata. E’ stato rotto il monopolio della rappresentanza dei partiti e sono state liberate energie civiche che hanno una forte volontà di contare. Dalla tornata elettorale di oggi e domani potranno affermarsi altre amministrazioni decise ad intraprendere strade inedite e ad aprire una nuova fase del riformismo urbano.
Anche a Spezia, dove non demorde la domanda di coinvolgimento. Venerdì, ultimo giorno di campagna elettorale, ho partecipato all’iniziativa della lista Sel-Psi sul tema “Spezia città di mare per davvero” a Fossamastra. Il quartiere più sacrificato dallo sviluppo portuale, in cui non c’è ancora traccia del primo atto che avrebbe dovuto caratterizzare l’attuazione del Piano Regolatore del Porto, la fascia di rispetto tra attività produttive e quartiere. Uno dei “vecchi saggi” del quartiere, Luigi Gazzarri, è intervenuto insistendo sul punto chiave: “non bisogna demordere, dobbiamo credere ancora alla partecipazione”. Ho pensato: “si può essere nuovi a ottanta o novant’anni”. E insieme, io, lui e tanti altri, ci siamo guardati indietro, alle vicende di questi anni, per vedere il modo per andare avanti. Ero con mio nipote, poco più che ventenne, e ho capito la grandezza di una generazione anziana che sa parlare con i ragazzi. Me l’ha confermato lui la sera stessa, dopo aver conosciuto a cena al Carpanedo, a conclusione della campagna, Pietro Cavallini, per festeggiare i suoi novant’anni: “aver conosciuto questo grande vecchio dagli occhi indomiti e dalla grande umanità è stato il più bel momento della campagna elettorale”. Cavallini e Gazzarri sono i testimoni, ancora protagonisti, di una storia di democrazia e di partecipazione che non va perduta ma portata nel futuro. Perché non dobbiamo assolutamente accontentarci di quel che passa il convento “moderno”: penso al basso livello culturale e umano delle tante polemiche infarcite di luoghi comuni viste in Tv o lette nei social network, nei giornali o in qualche volantino. Abbiamo bisogno di una politica che ritorni a studiare i problemi della società e a parlare con le persone ogni giorno.
Per restare fedeli alla nostra storia democratica e per non rimanere passivi rispetto alla decadenza della politica servono tante cose. Una, intanto, è la più urgente: andare a votare oggi e domani. Non andarci fa solo restare le cose come sono e non porta ad alcun cambiamento. Ci si prende cura della città solo con la partecipazione. Io voterò a sinistra, altri faranno scelte diverse. L’importante è che in tanti si sappia leggere il sintomo del male che affligge la politica -la sfiducia dei cittadini- e si cerchi, nella competizione ma anche nel dialogo tra noi, di porvi rimedio.
lucidellacitta2011@gmail.com
Popularity: 6%