La “Social Street” e la città del dialogo
Città della Spezia, 12 Ottobre 2014 – Le “social street” sono un modo per vivere meglio e insieme e per riappropriarsi della città creando nuove relazioni sociali. Tutto è cominciato con un papà bolognese, Federico Bastiani, che cercava amichetti per il suo bambino. Bastiani racconta così la sua esperienza: “Mi ero da poco trasferito da Altopascio, un paesino dove conoscevo tutti, a Bologna, in via Fondazza. Sono cresciuto in un cortile, dove puoi suonare un campanello alle nove di sera per chiedere il sale senza il pensiero di disturbare. Una volta a Bologna, non sono riuscito a rassegnarmi al fatto di non sentirmi a casa. Poi è nato mio figlio, spesso era costretto a giocare da solo perché la famiglia era lontana. Eppure avevamo incrociato altre famiglie con i bambini nella via. Allora ho tentato: non avevo nulla da perdere”. Bastiani creò il gruppo facebook di via Fondazza, e lo pubblicizzò nella strada con volantini. Ha ottenuto una risposta straordinaria: ora, dopo un anno, i “cittadini attivi” della via sono 1.000 su 2.000 abitanti. Alle prime interazioni con il social network sono seguiti gli incontri nella piazza vicina, e il gruppo è diventato il luogo per lo scambio di aiuti e consigli. All’inizio la “social street” è fatta di piccoli scambi, favori di buon vicinato: chi ripara l’auto della ragazza a cui non parte, chi presta il trapano, chi aiuta a montare una libreria… E in cambio riceve un dono analogo, o magari una bottiglia di vino. Poi, a mano a mano, si sviluppano progetti che coinvolgono persone che hanno interessi comuni, dal cinema al trekking domenicale…
Oggi le “social street” sono 300, e crescono di giorno in giorno. Sono nate anche all’estero: Brasile, Nuova Zelanda, Croazia, Cile, Portogallo. Spiega ancora Bastiani: “Nelle varie strade d’Italia stanno nascendo progetti per riappropriarsi dei beni comuni, si iniziano a creare task force per gestire spazi pubblici spesso abbandonati al degrado urbano, piantare girasoli e palme nelle aiuole incolte, auto-organizzare la pulizia nelle strade, costruire librerie di strada”. Bastiani sottolinea che la conditio sine qua non delle “social street” è la totale assenza di interessi economici, politici e religiosi, a favore del semplice desiderio di socializzare: un “acceleratore di fiducia”, secondo la sua definizione. L’obbiettivo è “costruire relazioni sulla base del vicinato, non creare business o avere visibilità”. Chi partecipa vuole sentirsi parte di una comunità, il motore di tutto è l’economia del dono. Bastiani ricorda come le “social street” siano un investimento nel lungo periodo: “Magari sul breve in cambio dell’impegno non si ha nulla, ma anche il solo sentirsi realmente parte di una comunità reale e non virtuale è un forte valore aggiunto non misurabile economicamente”. Sono, specifica Bastiani, i “beni relazionali”, cioè i beni della città come luogo in cui riconoscersi, come dimora, come spazio della cura, in cui nascono e si intrecciano, appunto, le relazioni tra le persone.
Nel mio “Ripartiamo dalla polis” (il saggio introduttivo si può ora leggere in www.associazioneculturalemediterraneo.com) scrivevo dell’idea di relazione come punto da cui partire per pensare ancora la città come un tessuto vivente, un luogo della reciprocità, del rapporto io-tu, e non dell’alterità, della dissoluzione dei vincoli comunitari, della polverizzazione in una folla di solitudini. L’esperienza delle “social street” dimostra che si può ritornare alla polis, a un’origine mai del tutto cancellata. E che il “pensiero unico” dominante, che vuole orientare tutti i rapporti alla dimensione mercantile del guadagno, trova gli anticorpi non in una politica purtroppo subalterna all’economia ma nelle persone, che hanno in loro stesse la spinta alla relazione di amore e di comunità con gli altri. E’ questa consapevolezza che porta a dire, come abbiamo fatto in tanti alla presentazione, venerdì scorso, del mio “Non come tutti”, che la partita è aperta, che la storia non si è conclusa con il neoliberismo e il privatismo individualistico.
Ognuno di noi, invece, è una risorsa per gli altri. E una risorsa per la città. Sul sito www.socialstreet.it ci sono tutti i consigli per cominciare. E gli amministratori come possono contribuire? Ce lo spiega Lewis Mumford, il più grande studioso di storia delle città, nel suo “La città nella storia”: l’obbiettivo della città fondata sull’idea di relazione io-tu e di socialità si può raggiungere se, accanto ai “cittadini attivi”, c’è un’amministrazione che progetta la città con il dialogo e “governa mediante la discussione”. Il Comune di Bologna sembra averlo capito: chiamato a ridisegnare la mobilità, ha chiesto il dialogo alle “social street” cittadine. “L’amministrazione non può non tenere conto dei movimenti spontanei che stanno nascendo e che possono contribuire attivamente, con proposte concrete, che arrivano dall’esperienza di tutti i giorni, a migliorarne la vivibilità”, ha detto l’assessore comunale bolognese alla Mobilità. Non abbiamo bisogno di uomini soli al comando: il modello non è affatto una garanzia di efficienza, ma è solo una garanzia di arbitrio. Abbiamo invece bisogno di amministratori che cerchino di reinventare, con le nuove energie sociali disponibili, le forme e gli strumenti della politica democratica. Che concepiscano la democrazia come dialogo, come ricorso alla parola anziché all’atto di forza, alla persuasione anziché al dominio. Senza il dialogo tutto si riduce a logiche di schieramento. La domanda finisce per essere solo questa: tu con chi stai? Mentre invece la domanda che conta è: tu che cosa pensi?
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