La ragazza con la camicetta rossa
Città della Spezia, 12 giugno 2016 – La casa di Adele Nerina Montepagani (per tutti Nery) è un piccolo museo, e tale resterà pe sua volontà. Contiene i suoi quadri, le sue poesie, le testimonianze della sua vita partigiana. E’ a Sarzana, alla Crociata, “sotto la passerella”, come usano dire i sarzanesi: lì Nery è nata, lì è tornata dopo molti anni passati a Livorno. La sua vita è stata segnata da un episodio accaduto nel 1937, quando aveva quindici anni e faceva la sartina. Quel sabato sera Nery, figlia di un mediatore e ragazza benestante, era andata come altre volte a ballare a “Frascatti”, una sala da ballo in via Bellegoni, a Sarzana, di proprietà di suo fratello Luigi e gestita da alcuni giovani antifascisti, tra cui un altro suo fratello, Emilio, che si era fatto un anno di carcere dopo i fatti del luglio 1921, quando gli Arditi del popolo” sconfissero i fascisti.Nery si era fatta con le sue mani una bellissima camicetta rossa di raso. Ecco il suo racconto: “Tutti volevano ballare con me… stavo ballando e sognando quando improvvisamente un gruppo di fascisti in camicia nera fece irruzione nella sala da ballo… mio fratello riuscì a fuggire, io rimasi in mezzo alla sala a ballare… ‘chi è questa bella ragazza?’ strillava il comandante…’signorina, non si vesta mai più in questa maniera, mai più’… poi le luci si spensero, e qualcuno allungò un calcione nei genitali del comandante, che reagì sparando un colpo di pistola in aria… fu un pigia pigia, la gente terrorizzata e sbandata cercava una via d’uscita… per fortuna in quell’attimo di confusione totale il mio cavaliere riuscì a portarmi a casa… subito le camicie nere bloccarono l’uscita… fu così che in una notte del giugno ’37, a “Frascatti”, furono arrestati Anelito Barontini, Dario Montarese,Goliardo Luciani e altri due… fu smantellata tutta la rete clandestina del Partito comunista sarzanese”.
Da allora, per Nery, comincia una nuova vita, all’insegna, racconta, di una”filosofia”: “Siamo tutti fratelli, siamo tutti uguali”. Nel 1942, alla passerella, un gruppo di uomini la chiamò: “Camicetta rossa! Nerina! Compagna!”: “Si fece avanti Anelito Barontini, che mi baciò delicatamente sulle guance e mi disse, guardandomi con infinita simpatia, ‘Ti sei fatta veramente molto bella… ma lo sai che noi ci siamo fatti ben 5 anni di confino da quella serata a Frascatti… sei stata veramente coraggiosa quella sera… non te ne sei andata, hai subito e sopportato tutte quelle volgarità dette dai fascisti malvagi’”. Poi Nery si sposò con Giovanni Bocchese, seguì il marito a San Michele a Verona, dove affittarono una camera e una cucina in comune con altri due ufficiali e le loro mogli, uno dei quali era Armando Isoppo, che fu poi partigiano e Sindaco di Lerici.Nery ricorda i bombardamenti, le sue proteste contro i fascisti, un’altra fuga in Veneto, a San Pietro in Gu, presso uno zio. E’ qui che incontra i partigiani: una banda che, dopo un rastrellamento, chiede rifugio nella casa in mezzo ai campi dove Nery abitava. I due comandanti, il primo politico, il secondo militare, erano Giacomo Prandina, che fu poi arrestato, inutilmente torturato e portato a Mauthausen, dove morì (gli fu data la Medaglia d’Oro), e Gaetano Bressan “Nino”. San Pietro in Gu fu una piccola capitale della Resistenza veneta, soprattutto cattolica. “Convinta che tutti i partigiani fossero comunisti, mi dissi comunista… capii che c’era anche una Resistenza non comunista… ma Prandina e Bressan collaboravano anche con i comunisti, come Luigi Cerchio ‘Gino’ e ‘Desiderio’ Zin”. Anche Bressan fu catturato e torturato, ma riuscì a fuggire. Nery conserva un carteggio molto bello, del dopoguerra, con Bressan.Quando nel 2000 un prefabbricato per i pellegrini del Giubileo venne posto proprio davanti alla motivazione della Medaglia d’oro alla città di Vicenza, nel piazzale della Vittoria, Bressanandò dal Sindaco per dire, serenamente, che se non l’avessero tolto, lo avrebbe fatto saltare. Aveva già 83 anni, ma non fu mai vecchio. Come Nery, inesauribile nella sua vitalità.
Nery rimase incinta, il suo contributo alla banda lo diede come economa e come staffetta, che portava sia mitra che lettere evolantini. Ma il 25 aprile non poté festeggiarlo in piazza, perché il marito, geloso e convinto che le donne dovessero solo pensare ai figli, glielo impedì. Così come le impedì di chiedere il riconoscimento di partigiana, che ebbe solo molti anni dopo.
Rientrata alla Crociata, Nery formò la cellula comunista, che aveva sede proprio a casa sua: “Iscrissi al partito quasi tutte le famiglie di sotto la passerella e della Crociata, fui premiata al Teatro Impavidi da Luigi Longo che sul palco mi consegnò la tessera e un libro di Antonio Gramsci”. Poi, anche per dissidi con Paolino Ranieri, Sindaco di Sarzana, Nery e il marito si trasferirono a Livorno: lei fu segretaria della sezione centro del Pci per dieci anni, ed eletta nella circoscrizione centro per treconsigliature. Tornò alla Crociata dopo la morte del marito, e da allora è impegnata nelle associazioni dei partigiani e degli invalidi di guerra, oltre che a dipingere e a scrivere. E’ innamorata del mare: alla sua bella età va ogni volta che può a Marinella, al mattino quando la spiaggia è deserta, ma anche nelle ore più assolate, sugli scogli.
Ricorda con me il primo voto, suo e delle altre donne: settant’anni fa, il 2 giugno 1946. Votò per la Repubblica e per il Pci alla Costituente. La donna è presente in molti suoi versi: vuole stimolarla a prendere sempre più coscienza dei suoi diritti, delle sue potenzialità, la esorta : “Non c’è più tempo per l’attesa”. “Le donne hanno fatto grandi passi in avanti, poi c’è stato un ritorno indietro con Berlusconi, ma a poco a poco si sono fatte coraggio -mi dice- non è più come prima, quando dovevamo fare solo bambini”. Nery è ottimista e solare, ma non dimentica le sue sofferenze: ha pagato nella vita, come tante donne. E’ ferma nei suoi ideali, anche di fronte alle miserie dell’oggi. Mi ha scritto una dedica, in un suo libro che mi ha donato, che mi ha fatto molto riflettere: parladi “un lungo e tormentato supplizio” e della necessità di una risposta di liberazione “etica e morale”.
Ricordando il 2 giugno 1946, Alberto Scaramuccia, su “Città della Spezia” ha scritto: “Ma quanto e come ci siamo modificati in questo refolo di respiro, e non solo perché oggi davanti ai seggi non vediamo code. Allora spirava la speranza… Oggi non abbiamo più la capacità di avere ideali. Li abbiamo persi o ce li hanno tolti?”. Ce li hanno tolti, non c’è dubbio.I responsabili sono i gruppi dirigenti della defunta sinistra. In una stagione triste, avara di speranze, la crisi storica del socialismo europeo è la metafora più limpida di una politica ormai priva di ideali. Da questo punto di vista la situazione italiana è la fotografia di una devastazione perfetta: nel giro di vent’anni la sinistra è stata estirpata dal corpo del Paese. Trasformata in una forza restauratrice (il sedicente “riformismo”) o confinata ai margini della scena. Ora, con il referendum di ottobre, siamo forse a un passaggio chiave. Ma ci si ritroverebbe comunque ai piedi di una montagna da scalare. Parlando con Nery mi sono venute in mente le parole di Ezio Mauro su “Repubblica” dopo il voto di domenica scorsa: “Il problema della rappresentanza comporta prima di tutto un atto di responsabilità di fronte alla storia che ogni partito consegna al leader contemporaneamente alla guida. Bisogna avere il sentimento delle generazioni che passano, dei lasciti e degli errori, per caricarsi del peso della memoria rispettandola”. Il problema è che è difficile ritrovare un’anima dopo averla smarrita per assoluta noncuranza. La responsabilità non è certamente solo di Renzi, che pure ne ha molte, ma di tutta la classe dirigente della sinistra dell’ultimo ventennio. Detto questo, è vero anche che gli ideali li abbiamo persi noi. La sinistra e la politica rinasceranno se ritorneremo attori e non spettatori. Il cambiamento avviene sia dal basso che dall’alto, ma è sempre un cambiamento che dapprima è sociale, culturale e personale.
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