La prossima rivoluzione sarà quella ambientale
Città della Spezia – 13 novembre 2011 – Non è fatale, non è necessario, ma la debolezza della volontà politica e sociale in Italia può produrre molti mostri: “anche una modernità fatta principalmente di Grande fratello e di outlet per allodole”. Questa frase del libro “Italia sperduta” del sociologo Carlo Donolo mi è venuta in mente leggendo, in queste settimane, dei grandi progetti commerciali che riguardano il nostro territorio. A Brugnato sta per sorgere un’enorme cittadella del commercio (22.000 mq di esercizi, parcheggio di 2.000 posti). A Sarzana sta per arrivare l’ipermercato Bennet (7.500 mq), ed è stato approvato il progetto di ampliamento del centro commerciale di Santa Caterina. Un centro commerciale è all’orizzonte anche a Romito Magra, nel Comune di Arcola (4.000 mq). Tutti gli insediamenti sono previsti vicino ai fiumi Magra o Vara, in zone spesso alluvionate: ieri doveva essere posata la prima pietra del cantiere di Brugnato, ma la tragedia ha cancellato tutto.
Preferisco le botteghe ai centri commerciali, ma non li demonizzo. Arrivo perfino a capire la tesi di un altro sociologo, Giandomenico Amendola, secondo cui “il successo dei centri commerciali è in larga misura determinato dalla possibilità di socializzazione da essi offerte e dalla funzione sostitutiva che essi hanno rispetto agli spazi pubblici tradizionali, spesso rinsecchiti e abbandonati”. Mi sono sempre battuto, però, perché gli spazi pubblici, le piazze, i parchi, i centri civici, rinascessero: credo che a Spezia qualcosa si veda, in ogni quartiere. Certo, ho fatto di tutto perché il privato risanasse e recuperasse l’area dismessa dell’ex raffineria Ip, con un progetto che prevede anche il commercio: era la condizione ineludibile per la sua realizzazione. Si può obiettare: ma il progetto è stato lungamente discusso e poi previsto dalla pianificazione regionale e provinciale, insieme a quelli di Santa Caterina a Sarzana e di Santo Stefano. Invece ora si apprende tutto dai giornali: ogni Comune decide per sé, mentre di programmazione d’area vasta (il modello di governance che l’Unione europea chiede ai territori) non parla più nessuno.
Credo che la questione debba essere oggetto di un largo dibattito pubblico. Certamente per i motivi ambientali che ho richiamato, ma anche perché ha a che fare con il tema del nostro modello di sviluppo. Davvero pensiamo di vivere solo o quasi di centri commerciali? E che il futuro dei nostri figli sia solo o quasi quello da commessi? L’Italia è messa molto male nei conti pubblici, lo sappiamo. Come può giocare la sua partita? Deve cogliere le linee di tendenza che la favoriscono. Sono quelle che si oppongono a tutto ciò che è standardizzato, industrialmente riproducibile, frutto di operazioni automatizzate. Siamo e saremo sempre più invasi da merci tutte uguali provenienti da ogni Paese. Il valore si concentrerà nel prodotto “unico”, creativo, di qualità. L’Italia, per geografia e storia, può e deve puntare su nuove economie legate a questa sua unicità. Quindi su industria ad alta tecnologia, green economy, agricoltura, turismo sostenibile, cultura. Attività con un radicamento vero nel territorio, e che non lo consumano.
Spezia deve fare la sua parte. La tragedia delle Cinque Terre e della Val di Vara ci spinge a portare nel futuro la nostra storia, non a rinnegarla. Vuol dire dar vita a quello che ho definito, due domeniche fa su questa rubrica, “un patto per la prevenzione e il recupero del territorio”, un grande progetto di valorizzazione dell’entroterra. Dobbiamo, più in generale, lavorare a una “transizione ecologica” della nostra economia. Oggi nel mondo si è aperta una gigantesca gara alla ricerca di tecnologie che hanno come obbiettivo un mondo più “verde”. Cito, per fare solo un esempio, non un ambientalista ma un economista neppure di sinistra, il professor Luigi Paganetto: se noi facessimo un intervento massiccio per dare efficienza energetica al patrimonio edilizio pubblico spenderemmo 8,2 miliardi di euro, ma ridurremmo l’energia consumata del 20%, con un risparmio sulla bolletta di oltre 400 milioni l’anno. E l’impatto sul sistema economico sarebbe potente: crescita della produzione e dell’occupazione (150.000 posti di lavoro). Il driver dell’economia non è il mattone, e nemmeno il commercio: è la tecnologia. E oggi la tecnologia ci spinge a quella che Jeremy Rifkin ha definito “la terza rivoluzione industriale”, cioè la “rivoluzione ambientale”. Il libro che spopola negli Stati Uniti in questi mesi si intitola “L’economia dell’abbastanza, ovvero gestire le nostre vite come se il futuro contasse davvero”. Forse il futuro non è la decrescita, ma è certamente una crescita diversa, e per vivere meglio. E’ una sfida difficile ma appassionante. Anche Spezia deve esserne protagonista.
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