La posta in gioco delle elezioni
Città della Spezia – 24 Febbraio 2013 – Una lettrice mi ha scritto nei giorni scorsi queste parole: “Per la prima volta in vita mia non voto”. Credo che il dialogo che c’è stato tra noi sia servito a un suo ripensamento, e tuttavia queste parole, analoghe a quelle che ho sentito da altre persone discutendo nei mercati o davanti alle fabbriche, devono far riflettere. La stessa cosa vale per le parole ascoltate da chi intende mettersi nelle mani di Beppe Grillo. Le campagne elettorali servono anche a segnalare fenomeni politici, sociali e culturali su cui, appunto, riflettere per costruire il futuro. E’ emersa una rabbia sacrosanta e giustificata, nata dalla scomparsa dell’etica pubblica, che sta erodendo le basi della democrazia. Il circuito di fiducia tra cittadini e istituzioni si è interrotto. I modi di esprimere la protesta sono tre: non votare, affidarsi a Grillo, oppure scegliere una forza politica in grado di cambiare davvero le sorti del Paese e di ricostruire la morale pubblica. Io penso che questa forza politica sia il centrosinistra, anche perché pungolato e puntellato dalla sinistra. Sono però consapevole che, se tante persone scelgono l’antipolitica o l’antipartitismo, vuol dire che c’è un vuoto culturale dovuto a un vuoto di iniziative, di lotta politica, di comportamenti esemplari. Il centrosinistra ha la mia fiducia perché si è rinnovato e spostato a sinistra, ma vedo bene le sue responsabilità nella caduta del rapporto tra governanti e governati, sia pure di gran lunga meno rilevanti di quelle del centrodestra. Penso che il centrosinistra vincerà: ma anche che, per esso, il voto sia un punto di partenza, non di arrivo. Il centrosinistra dovrà infatti discutere ancora delle sue idee e del suo assetto, riaprendo una discussione che oltre a Pd e Sel coinvolga anche i tanti movimenti che agiscono nella realtà sociale e civile del Paese.
Ma perché penso che il centrosinistra vincerà? Per la credibilità dei suoi programmi di cambiamento e per la discontinuità proclamata rispetto alle sue precedenti prove di governo, certo, ma anche per una sorta di “necessità”. Lo ha scritto nei giorni scorsi un “grande vecchio” della sinistra italiana, Alfredo Reichlin: “Il futuro dell’Italia dipende adesso dal nostro rapporto con la costruzione della Comunità europea… la scelta che sta di fronte agli elettori è simile per certi aspetti a quella che il 18 aprile del 1948 vide la vittoria della Dc”. Una vittoria, appunto, “necessaria”: perché in quel momento storico era la Dc a garantire il rapporto dell’Italia con l’Europa occidentale. Oggi è inutile parlare di programmi se restiamo ai margini dell’Europa e ci mettiamo nella penosa condizione di non contare più niente, come avverrebbe se vincesse Berlusconi. Ma Berlusconi non vincerà, non solo perché la sua campagna disperata all’insegna della demagogia non ha convinto gli italiani, ma anche perché gli italiani hanno compreso che la sua vittoria isolerebbe drammaticamente l’Italia dall’Europa. Questo non significa che tutto quello che propone l’Europa vada bene, anzi. Il mondo e l’Europa sono a una svolta: il neoliberismo ha fallito, l’austerità ha dato frutti avvelenati e ha prodotto uragani sociali e politici. Lo sviluppo potrà esserci solo cominciando a investire sul lavoro, sulla conversione ecologica, sulla conoscenza e la creatività umana, su nuovi bisogni collettivi. Perfino giornali come il New York Times e il Financial Times definiscono “perversa” la filosofia dell’Unione europea di tagliare la spesa e di fare un totem del bilancio, nel mezzo di una recessione con milioni di disoccupati. L’Italia ha dunque bisogno di un’Europa diversa. Ma ha bisogno dell’Europa. Il cambiamento va realizzato in Europa, non fuori e contro di essa. E il centrosinistra è l’unico schieramento credibile per proporre e guidare questo cambiamento, accanto alle altre forze socialiste e progressiste europee. L’alternativa, dunque, non è tra centrosinistra e centrodestra, ma tra centrosinistra e ingovernabilità del Paese. Non a caso tutti gli altri stanno puntando non a vincere ma a impedire una vittoria piena del centrosinistra, per poi approfittare del caos e “inciuciare”. Tutto il contrario di ciò di cui il Paese ha bisogno.
Per evitare il caos, come hanno scritto Umberto Eco, Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky e tanti altri intellettuali, “l’unica strada è votare per la coalizione di centrosinistra, assicurandole l’autosufficienza, che le consentirebbe di mettere in piedi un Governo stabile, autorevole, rispettabile a livello europeo”. Perché, proseguono, “se nei prossimi cinque anni non saremo in grado di restituire dignità alle istituzioni, rispetto per la politica, fiducia nei partiti, strategie di sviluppo e insieme un colossale mutamento di rotta nei confronti delle classi lavoratrici e dei ceti disagiati, ci ritroveremo, come altre nazioni europee, nel baratro”. E’ la ragione responsabile che spinge a questa scelta.
E il fenomeno Grillo? Ripeto: capisco bene il sentimento di protesta che anima le piazze riempite dal comico. Condivido istanze libertarie ed etiche presenti nel Movimento 5 Stelle, ma mi fanno paura le battute omofobe e maschiliste, le aperture ai fascisti, l’ostracismo verso i sindacati, l’autoritarismo del capo urlante, lo spirito solo demolitorio. Manca la proposta credibile, e manca l’europeismo. Dopo di che penso che un centrosinistra autosufficiente debba dialogare anche con quell’incognita assoluta che sono i parlamentari del Movimento 5 Stelle, perché il Paese è in un passaggio drammatico e ha bisogno di uscire dalla rissa permanente.
Devo infine una risposta ai lettori che mi hanno chiesto perché non mi sono candidato in Parlamento. E’ vero: a differenza delle elezioni che si sono succedute dal 2008, oggi, accanto all’impegno associativo, ho un impegno di partito, in Sel. Ed era difficile, questa volta, sottrarmi alla proposta che mi era stata fatta da Sel. Tuttavia, come ho spiegato pubblicamente, l’idea di competere alle primarie con una persona che stimo come Stefano Quaranta, e di recargli danno, mi ha portato subito a farmi da parte. Aggiungo un’altra considerazione, che in me ha pesato: in questi anni è cresciuta nella società italiana, e in quella spezzina, una sfera di impegno civico extraistituzionale, anche perché la sfera istituzionale, quella dei partiti, è risultata in gran parte impenetrabile a questo mondo. Io nella sfera associativa mi sono trovato e mi trovo molto bene. Mi ha anche cambiato molto. L’esperienza di Sindaco è stata bellissima, così in precedenza quella di segretario di partito. Ma all’uomo, che è un essere in continuo divenire, l’abito rigido dell’identificazione in un ruolo appare sempre come un abito troppo stretto. Aver cambiato abito mi ha allargato la vita: ho perso molto, ma è stata una perdita feconda che ha reso possibile un mio affacciarsi rinnovato sui mondi della vita. E’ quindi difficile, per me, tornare nel vecchio abito. Detto questo, non sono mai stato un uomo “antipartito”, sentivo in qualche modo la “mancanza” del partito e oggi mi trovo molto bene anche in Sel. Anzi, questo duplice ruolo mi appassiona ancor di più. Perché la politica si fa dentro e fuori i partiti. E perché la politica dei partiti ha bisogno della politica delle associazioni e dei movimenti, e viceversa. Ecco: con la mia scelta vorrei, nel mio piccolo, contribuire a uno scambio più fecondo tra queste due sfere della politica.
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