La politica? Meglio senza un padrone
Città della Spezia 3 luglio 2016
SPEZIA PER LA DEMOCRAZIA
Spezia ha sempre fatto la sua parte nella lotta per la democrazia: prima con la Resistenza, poi con il voto popolare. Nel referendum del 2 giugno 1946 la Repubblica prevalse in provincia con il 74,25% dei voti, il nono miglior risultato tra le 91 province italiane. Nel referendum del 2006 sulla riforma costituzionale proposta dal centrodestra il no prevalse con il 67% (in Italia con il 61%). Vedremo ora con il prossimo referendum sulla riforma costituzionale Renzi-Boschi. I segnali sono confortanti: il Coordinamento spezzino per la Democrazia Costituzionale ha raccolto oltre 2500 firme per chiedere sia questo referendum(lo abbiamo fatto perché non si può lasciare al Palazzo la scelta se votare su una vasta modifica della Costituzione, facendone un plebiscito sul governo: la richiesta dei cittadini corregge questa inaccettabile torsione plebiscitaria)sia il referendum sulla riforma elettorale, strettamente connessa alla riforma costituzionale.E’ significativo, inoltre, che nel Coordinamento spezzino non manchino aderenti al Pd, il partito che ha proposto la riforma; e che un nutrito gruppo di dirigenti e iscritti al Pd abbia sottoscritto nei giorni scorsi un documento che annuncia il no al referendum costituzionale e critica la riforma elettorale. Così come nel 2006 un’ampia parte di elettorato di centrodestra votò contro le indicazioni dei propri partiti, è auspicabile che ciò accada ora per un’ampia parte di elettorato del Pd: che il popolo sappia cioè esercitare quella “mente costituente” che è mancata ai vertici del potere, ricostruendo in questo modo una vasta unione popolare attorno ai valori della Costituzione. La Costituzione è la casa comune in cui tutti si riconoscono: avere approvato questa riforma con una piccola e raffazzonata maggioranza è un fatto grave, anche prescindendo dal merito, che è pessimo. Perché in questo modo la Costituzione la si distrugge.
I presidi per raccogliere le firme sono stati utilissimi momenti di informazione e discussione con migliaia di cittadini spezzini. Sulla base alla mia esperienza, posso dire che più circola un’informazione corretta, più aumentano i contrari alla riforma. Ma qual è la questione di fondo di questa grande discussione collettiva che sta facendo e sempre più deve fare il nostro Paese? Ha ragione l’ex Sindaco Sandro Bertagna (“Zuppa o pan bagnato, la sostanza è la stessa. Sempre no voteremo”, Città della Spezia, 20 giugno 2016): “La questione di fondo è se vogliamo una democrazia solo formale e svuotata di poteri e contenuti oppure una democrazia costituzionale e di popolo”. Bertagna ha, come e più di me, una lunga storia personale nella sinistra italiana. Una forza che ha sempre messo al centro, nella sua proposta di riforma dello Stato, l’allargamento della democrazia. Ora, invece, siamo di fronte a una proposta opposta: la democrazia plebiscitaria. Questa è la posta in gioco: non trasformare il Senato in un’accozzaglia di nominatio modificare in senso centralistico il rapporto tra Stato e Regioni -questioni pure importanti- ma cambiare la democrazia costituzionale in democrazia plebiscitaria o democrazia dell’investitura del capo, in cui il “premier” è padrone assoluto. Il ceto politico non riesce più a governare con il consenso dei cittadini: ma se manca il consenso, per governare occorre il potere. Ecco perché un ramo del Parlamento viene molto ridimensionato (con un orribile pasticcio), mentre l’altro ramo viene sottoposto allo “schiaffo” del capo politico, il quale controlla la maggioranza e determina lui stesso l’elezione della “sua” maggioranza. Siamo di fronte a una fusione tra potere legislativo e potere esecutivo, che per legge viene concentrato tutto nelle mani di un unico partito.
IL NESSO TRA VALORI SOCIALI DELLA COSTITUZIONE E FORMA DI GOVERNO
Il Presidente di Confindustria ha benedetto queste riforme, perché devono “liberare il Paese dai veti delle minoranze e dai particolarismi”, il cui perverso esito è stato “l’immobilismo”. Ma di quale immobilismo si parla? Viviamo in un Paese in cui dal 2011 governi non eletti dal popolo hanno stracciato in quattro e quattr’otto diritti e garanzie del lavoro conquistati in decenni, senza opposizione o quasi! Il problema è che gli industriali, come la grande finanza e le centrali del potere europeo, stanno pensando al futuro, ad avere governi sempre più proni ai loro diktat. Ecco perché non è vero che la prima parte della Costituzione non è in discussione, come sostengono i promotori della riforma: in realtà il nesso tra valori sociali della Carta e forma di governo è molto stretto (si veda, in questa rubrica, “La democrazia svuotata, Fra Diavolo e la gente che fa la storia”, 5 giugno 2016).
UNA RISPOSTA A ANDREA ORLANDO
Mi ha colpito che negli stessi giorni il Ministro Andrea Orlando usasse il mio stesso termine: “svuotamento della democrazia”, a fronte dei poteri economici e finanziari. Giusto, ma è paradossale che a questa crisi di autorità si risponda -come fa anche Orlando schierandosi per il sì- con una mutazione della democrazia da parlamentare a esecutivista. Il leaderismo dell’uomo solo al comando spegne la democrazia, che si trasforma e scivola verso quella che il politologo francese Bernard Manin ha definito una “democrazia del pubblico”: devitalizzazione della politica, sua deriva oligarchica, svuotamento e demolizione dei partiti e dei corpi intermedi, trasformazione del cittadino in spettatore. Ma il governo democratico è tutt’altro: è ascolto delle diverse opinioni, partecipazione, mediazione, ricerca di una sintesi condivisa.L’orizzonte ideologico decisionista è tipico della destra, che vuole una democrazia decurtata: se la sinistra lo assume, semplicemente scompare. La questione, per la sinistra, è radicalmente altra: come coniugare decisione e rappresentanza/partecipazione. Il valore della democrazia sta nel fatto che essa dà a tutti i cittadini il senso che sia possibile decidere della loro vita. Quando questo senso si assottiglia, molti possono arrivare a pensare che la democrazia sia inutile. Solo la democrazia partecipata può regolare e condizionare i poteri economici e finanziari, sconfiggere il mito dell’antipolitica e ridurre la distanza, mai così abissale, tra governanti e governati.
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