Presentazione di “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello – Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17 a Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
15 Dicembre 2024 – 19:29

Presentazione di
“Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”
di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello
Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17
Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
I due …

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La polis che verrà

a cura di in data 5 Settembre 2012 – 16:33

Palestina, Deserto di Giuda dalla fortezza di Herodion (2009)(foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia – 2 Settembre 2012 – A Spezia c’è bisogno di ricostruire la sinistra, come leva essenziale per aprire una nuova fase progettuale e per formare una nuova classe dirigente: aldilà delle differenze che restano, mi è sembrata questa la conclusione “unitaria” del dibattito tenutosi venerdì alla Festa Democratica sul mio libro “Ripartiamo dalla polis”, a cui ho partecipato insieme a Andrea Orlando e a Luca Basile.

Credo, innanzitutto, che si sia registrata un’intesa di fondo sui contenuti di una nuova fase progettuale per la città e la provincia. Per me il “ritorno alla polis” è un programma imperniato su alcuni punti chiave: stop al consumo di suolo, cioè costruire sul costruito, rigenerare l’esistente e salvare le nostre valli con un nuovo paradigma che metta al centro il paesaggio, la natura e la cultura, smettendola di invadere le campagne con le periferie o gli outlet; stop alla privatizzazione degli spazi pubblici, cioè riconquistare una dimensione sociale e ambientale della pianificazione nella quale sia il pubblico a governare il privato e non viceversa: dal progetto Marinella-Fiumaretta al masterplan del waterfront, dal riuso dell’ex colonia Olivetti alla realizzazione del porticciolo di Vallesanta a Levanto; stop alla distruzione del welfare, che va certamente ripensato dando spazio alla cittadinanza attiva e al privato sociale ma che ha soprattutto bisogno di un più forte intervento pubblico, riqualificato, riorganizzato e finanziato con una più marcata imposizione sulla rendita e i grandi redditi; stop alla crisi della partecipazione e alla separazione tra governanti e governati, con il rilancio del civismo e la riscoperta di forme per governare la città con gli abitanti. Una nuova iniziativa progettuale che parta dal riconoscimento che Spezia, in questi decenni, ha certamente sofferto di meno la crisi delle città, grazie alle diverse politiche programmatorie messe in atto; ma anche dalla consapevolezza che oggi la Grande Crisi -che non è solo economica e sociale, ma anche ambientale e, per certi aspetti, democratica- spinge a un nuovo pensiero strategico partecipato. Cioè alla politica come visione di lungo periodo, fondata sulla ricerca dell’accordo e della cooperazione con i corpi intermedi e con i cittadini, e non come mera capacità di gestione e di consenso dello status quo. Ripeto: su questo obbiettivo -una nuova fase del riformismo urbano a Spezia- la sintonia mi è sembrata forte.
Così come sull’individuazione del nesso tra grandi progetti partecipati e formazione di una nuova classe dirigente. Il sociologo Carlo Carboni definisce così il profilo delle classi dirigenti italiane: “mediocre, invecchiato, maschile, autoreferenziale, provinciale, a basso ricambio, votato ai meccanismi di consenso più che a valorizzare le competenze”. Diciamoci la verità: il profilo ben si adatta anche alla nostra realtà. Si entra a far parte della classe dirigente più per fedeltà e cooptazione che per merito, più per privilegi e protezioni che per competizione. Due anni fa, nel mio “La sinistra la capra e il violino” scrivevo: “Il nostro sistema locale non può essere gestito da grovigli di relazioni che legano partiti, enti locali, aziende municipalizzate, fondazioni e banche, agenzie locali in cui si muovono le stesse persone che escono da una porta per entrare in un’altra. Senza nuovi flussi di talenti di qualità. Senza, insomma, che cambi nulla nella gestione del potere locale. Così restiamo piccoli e provinciali”. Ne sono ancora più convinto: abbiamo bisogno di persone nuove, giovani e donne soprattutto, provenienti sia dall’interno che dall’esterno della città. E, nella politica, abbiamo bisogno di aprire nuovi canali di partecipazione sociale, di ridurre i mandati e di evitare le cosiddette “discariche” politiche, gli enti inutili dove collocare i “trombati” o gli amici degli amici. Così come c’è bisogno di “maestri” che con generosità si occupino di selezionare e promuovere i più giovani. Ma la condizione fondamentale è la progettualità partecipata: tornare a un’”officina delle idee” che formi la classe dirigente e la renda più coesa perché unita rispetto ad obbiettivi fortemente condivisi.

Palestina, Monastero di San Saba, valle del Cedron (2009) (foto Giorgio Pagano)

Nel dibattito c’è stato, infine, un’altra, e decisiva, sottolineatura comune: la leva di tutto ciò è la ricostruzione della sinistra. Per me e per Orlando la parola “sinistra” non significa esattamente la stessa cosa, ma una comunanza c’è. Infatti oggi il Pd sceglie Sel come suo primario interlocutore, e questo fino a poco tempo fa non era scontato. E oggi Sel riconosce che il Pd può e deve essere il proprio alleato, e anche questo non era scontato. In questo modo la coalizione si sposta a sinistra, e parla di centralità del tema del lavoro, di diritti civili, di tutela dei beni comuni. Io credo al rapporto Pd-Sel come nucleo di una grande alleanza, aperta ad altre forze e soprattutto ad energie sociali e civiche. Penso che il centrosinistra, quello dell’Ulivo, poi dell’Unione, poi del Pd di Veltroni, sia formalmente finito. Resta la sinistra, cioè il disegno di aggregare tutte le forze progressiste, laburiste, ambientaliste, cattoliche, in un soggetto politico unitario del cambiamento. Oggi non ce ne sono ancora le condizioni, ma è in quella direzione che stiamo andando. Il nodo Casini sì o no, come quello Di Pietro sì o no, non sono a mio parere centrali. Centrale è ricostruire la sinistra, tutto il resto viene dopo. Anche perché una grande sinistra con un programma di cambiamento che parli al Paese e ai giovani conquisterebbe buona parte dell’elettorato di Udc e Idv. E a Spezia? Nel mio libro di due anni fa il giudizio sul gruppo dirigente del Pd era molto critico: non mi pare, scrivevo, “che le oligarchie dei giri si aprano”. Lo scriverei ancora. Anche se c’è un fatto nuovo: un nucleo forte di giovani consiglieri comunali, eletti a Spezia nelle ultime amministrative. Dalla società civile, però, non è arrivato nessuno. La stessa Sel, del resto, è ancora troppo “chiusa” rispetto alle potenzialità che intravedo. Il nuovo, unitario soggetto della sinistra me lo immagino così: senza correnti, gruppi di potere, personalismi e burocratismi, profondamente democratico e aperto alla società. Solo questa sinistra grande e nuova potrà rilanciare il progetto di cambiamento della nostra città e dar vita a una nuova classe dirigente.

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