La luce di Barbiana
Città della Spezia, 8 giugno 2023
In Liguria quasi un minore su cinque si trova in condizioni di povertà relativa. Vive cioè in una famiglia che non può permettersi una spesa imprevista, una vacanza, tanto meno occasioni formative per i figli. Da qui l’alta percentuale di abbandoni scolastici (il 13% nella nostra regione), e il fenomeno dei 40 mila giovani fuori da ogni percorso formativo e di lavoro.
Il ricordo di don Lorenzo Milani, a cento anni dalla nascita, significa, anche nella nostra regione e nella nostra città, cercare di ripensare al ruolo civile della scuola e a come ascoltare di più i nostri ragazzi: perché non è vero che “Dio fa nascere i cretini e gli svogliati nelle case dei poveri”.
Lorenzo Milani era il secondogenito di una delle famiglie più benestanti della Firenze degli anni Trenta. Nel 1943, dopo vent’anni di vita irrequieta tra gli agi borghesi, entrò in seminario. Fece i primi anni di sacerdozio a Calenzano – era cappellano nella parrocchia operaia di San Donato – e fu poi nominato, a trentuno anni, parroco di Barbiana, isolato e sperduto paesino del Mugello. Fu un esilio, un atto molto duro. Ma Lorenzo obbedì, e a Barbiana rimase dal 1954 fino alla morte, nel 1967. Nel dicembre 1966, consapevole della sua fine imminente, scrisse alla mamma una lettera con un bilancio della sua esperienza: “Oggi abbiamo celebrato dodici anni di Barbiana. E’ una bella cifra. Se era per la curia potevo essere distrutto”. Ma nello stesso giorno a Francesco Gesualdi scrisse che erano stati “dodici anni meravigliosi di cui non mi lamento davvero”.
A Barbiana don Lorenzo aveva creato una scuola a tempo pieno, modello di solidarietà. Ai poveri insegnò a comprendere la parola, quella della Bibbia ma anche quella della Costituzione e dei contratti di lavoro.
Il suo motto era “I Care”, me ne occupo: “Ho imparato che il problema degli altri è eguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia”. La politica non era quella dei partiti e dei giochi di potere, ma una dimensione di vita quotidiana. Mi avvicinai alla politica, a quattordici anni, leggendo “Lettera a una professoressa” di don Milani e della scuola di Barbiana, il mio primo libro “politico”, il più letto in quegli anni dalla mia generazione. Scritto in un italiano semplice e insieme ricco, divenne uno strumento fondamentale di assunzione di responsabilità. Era la presa di coscienza che nessuno di noi era solo, che il problema di ognuno di noi faceva parte di una realtà collettiva. Fu la condizione per il coinvolgimento di massa degli studenti nella “contestazione” e nel Sessantotto, fenomeni che don Milani non fece in tempo a conoscere, ma che anticipò su due punti chiave: l’irruzione della vita quotidiana nella politica e la critica alla scuola e alla società di classe.
Sono due temi ancora attualissimi, così come le sue coraggiose parole sulla guerra, la nonviolenza e l’obiezione di coscienza, a cui ho accennato nell’ultimo articolo della rubrica.
Ritorno sul tema della scuola e dei “ragazzi che perde” perché è di dirompente attualità. Non c’è merito nel talento, dono del caso e di condizioni sociali spesso ereditate. Leggiamo le parole del sacerdote di Barbiana: “E’ più onesto dire che tutti i ragazzi nascono eguali e se in seguito non lo sono più, è colpa nostra e dobbiamo rimediare”.
La scuola serve a fare in modo che i poveri possano uscire dal loro stato di minorità senza dover dire grazie a nessuno, senza dover dipendere da nessuno.
La scuola non serve a “produrre un nuova classe dirigente, ma una massa cosciente”.
Eppure questa eredità è stata dimenticata. I tentativi di impiantare una didattica inclusiva, all’insegna del motto “nessuno resti indietro”, mentre negli altri Paesi del mondo sono diventate indicazioni normative, in Italia non hanno avuto seguito. Ma all’inizio sembrò non essere così.
Ho già ricordato l’influenza di “Lettera a una professoressa”: nel 1972 aveva già venduto oltre un milione di copie. Fu uno strumento che contribuì grandemente alla riflessione degli insegnanti e degli intellettuali sul proprio ruolo e la propria funzione.
Alla Spezia l’influenza fu enorme. In tutti gli ambienti. Nell’Indice dei nomi di “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” quello di don Milani è di gran lunga il nome più citato (l’Indice è leggibile su www.associazioneculturalemediterraneo.com).
Nel mondo cattolico don Milani stimolò il “dissenso”: il 25 novembre 1967 fu formato il Circolo don Milani, che nelle elezioni politiche del 1968 indicò di non votare per la DC. Pietro Lazagna, giovane insegnante arrivato nella nostra città, era stato a Barbiana, e con don Milani era stato in corrispondenza epistolare. Don Giorgio Mazzacua, assistente spirituale dei giovani universitari della FUCI e della gioventù femminile dell’Azione Cattolica, punto di riferimento per il radicale rinnovamento dell’associazionismo cattolico, era stato a Roma nel 1966 in segno di vicinanza a don Milani, nel processo che lo accusava di apologia di reato per le sue posizioni favorevoli all’obiezione di coscienza. Con don Mazzacua, quel giorno, c’era don Sandro Lagomarsini, “il nostro don Milani”: esiliato nel 1965 nel paesino montano di Càssego e punito nel 1968 con l’esclusione dall’insegnamento nel seminario vescovile di Sarzana, con lo stesso spirito e lo stesso fine del sacerdote di Barbiana trasformò la sua parrocchia in una scuola. Il doposcuola di Càssego fu, per molti anni, un’esperienza educativa e culturale di grandissimo valore. Alcuni ragazzi di Càssego sono proprio simboli dei “Pierini” di cui scriveva don Milani. Come Sergio. Parlando di lui, don Sandro disse:
“Come insegna don Milani, ogni ragazzo, se aiutato, può crescere fino ad una maturità che lo faccia camminare da solo”.
O come Antonio. Il numero 2 del giornale del doposcuola di Cassego “Insieme” (febbraio 1970) si apriva con l’articolo “Viva quelli dell’ultima fila”:
“L’altro giorno è venuto da noi Angelo. Ha visto che i più grandi aiutavano i più piccoli. Ha chiesto: ‘Ma qui si viene per imparare o per insegnare?’. Da noi si viene per imparare e per insegnare. Non andiamo proprio d’accordo con quella maestra di prima elementare che mette i più bravi nella pri¬ma fila e i peggiori nell’ultima. Quello che impara con meno difficoltà deve aiutare chi si trova in difficoltà, perché chi è bravo a scuola non lo è per merito suo. E anche chi riesce di meno a scuola ha qualche cosa da insegnare agli altri. Da Antonio, bocciato tante volte, abbiamo imparato che se uno di noi rimane indietro, questo è un danno e una vergogna per tutti. Qualcuno non accetta queste idee e verrebbe da noi solo per migliorare per conto suo. O cambia o siamo contenti che se ne vada. Diventerà un egoista. Lo ritroveremo tra quelli che imitano i borghesi e si danno arie di cittadini. Sarà sempre servo. E non avrà imparato la cosa più importante: che bisogna unirsi per essere liberi”
Anche nel mondo della “contestazione” don Milani pesò moltissimo: nella elaborazione dei primi gruppi sorti in provincia, da “La Voce Operaia” a “Il Potere operaio” (Andrea Ranieri e Franco Pisano ne furono i rispettivi leader), così come nei doposcuola alternativi e nelle tante esperienze di militanza pedagogica dal basso sorte tra 1967 e 1969, che ebbero in “Lettera a una professoressa” il faro ispiratore.
Anche le istituzioni scolastiche e quelle amministrative locali spezzine ne furono toccate e la nostra città, grazie a figure come Luigia Cordati Rosaia, Pietro Cavallini e Cesare Godano, divenne un polo innovativo di valore nazionale.
Ma poi tutto finì presto. Nessuna forza politica, nemmeno il PCI e i gruppi della sinistra extraparlamentare, misero la scuola al centro. Il classismo operaista sembrava bastare, ma non era così: senza il contributo dei lavoratori intellettuali, senza cambiare la scuola e la cultura, non si cambia lo Stato. Spiega Luigia Cordati Rosaia in “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”:
“Don Milani ci diceva dell’importanza della scuola, ma il PCI dimenticò la scuola, non recepì le vere istanze del Sessantotto”.
Fu così per tutti. Ma se è così, vuol dire che non è fallita la scuola di don Milani. La sua non è la scuola che è già stata, è la scuola che ancora non abbiamo realizzato. Le parole di questo prete ci possono ancora scomodare. A Barbiana, piccola località fuori dal mondo, c’è una luce sul monte visibile da ogni parte del mondo.
Post scriptum
Le foto di oggi sono entrambe dell’archivio di don Sandro Lagomarsini e sono state scattate a Barbiana: quella in alto nel 1971 (don Sandro è il terzo da destra), quella in basso nel 2012 (don Sandro è il terzo da destra)
Su don Sandro Lagomarsini si vedano:
“Il parroco che ama la gente quasi più di Dio”, “Città della Spezia”, 21 agosto 2022
“Il doposcuola di don Sandro, il parroco di Càssego”, “Città della Spezia”, 4 settembre 2018
“Don Sandro Lagomarsini, un saggio scomodo”, dicembre 2021-gennaio-febbraio-marzo 2022, leggibile su
www.amegliainforma.it e www.associazioneculturalemediterraneo.com
lucidellacitta2011@gmail.com
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