Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
14 Novembre 2024 – 21:22

Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
Massa, Palazzo Ducale – Sala della Resistenza
Il libro di Dino Grassi “Io …

Leggi articolo intero »
Crisi climatica e nuove politiche energetiche

Economia, società, politica: anticorpi alla crisi

Quale scuola per l’Italia

Religioni e politica

Ripensare il Mediterraneo un compito dell’Europa

Home » Rubrica Luci della città di Giorgio Pagano

La dittatura turca e il silenzio dell’Occidente

a cura di in data 14 Settembre 2016 – 11:01

LA DITTATURA TURCA E IL SILENZIO DELL’OCCIDENTE
Città della Spezia 11 settembre 2016

Un “Sultano” ad Ankara

Tramonti, 2012, foto Giorgio Pagano

Tramonti, 2012, foto Giorgio Pagano

Il silenzio della comunità internazionale e dell’Europa sulla “democrazia illiberale” in Turchia (ma sarebbe meglio chiamare le cose con il loro nome e parlare di “dittatura”) è assordante. Sono tra coloro che non hanno atteso il tentato golpe del 15 luglio e la reazione del “Sultano” Recep Tayp Erdogan per dubitare della qualità della democrazia in Turchia. Ma gli eventi seguiti al tentativo di colpo di Stato sono di una gravità eccezionale, resa più inquietante, appunto,dal nostro silenzio. I paradossi sono due: il primo è che un colpo di mano antidemocratico ha tentato di rovesciare un Presidente non democratico; il secondo è che un colpo di Stato fallito ha provocato un colpo di Stato riuscito. Già in passato Erdogan attaccava la libertà di espressione del pensiero, in ogni sua forma, con la chiusura dei giornali di opposizione e l’incarceramento o l’uccisione degli oppositori. Senza parlare del non troppo lontano sostegno all’Isis, o della persistente politica di persecuzione della minoranza curda. Gli ultimi rapporti delle più importanti organizzazioni umanitarie, da Human rights watch a Amnesty International, erano stati molto chiari: “Spari ai profughi, curdi arsi vivi e legge antiterrorismo troppo dura”.

Ma nelle ultime settimane, con il pretesto del colpo di Stato, Erdogan ha messo in atto la più feroce e sistematica azione di repressione che si ricordi nella storia recente del mondo: epurazioni di massa (sulla base di liste evidentemente già pronte) di magistrati, ufficiali, insegnanti, poliziotti, decine di migliaia di incarcerati, uccisioni, sospetti suicidi, in un clima di caccia alle streghe che rinvia a tristi precedenti storici. In questa vasta repressione non è difficile intravvedere il progetto di fare della Turchia una repubblica islamica, cancellando una volta per tutte la “parentesi” kemalista (cioè laica: Kemal Ataturk fu il fondatore della Turchia moderna e il suo primo Presidente, dal 1923 al 1938), e pure quella in cui Erdogan aveva fatto sperare nella coniugazione tra islamismo e democrazia. Così si è espresso il “Sultano” arringando la folla:“Le moschee sono le nostre caserme, i minareti le nostre baionette, le cupole i nostri elmetti e i veri credenti i nostri soldati”. Un disegno “neoottomano” che ha bisogno di un controllo assoluto all’interno, da ottenere con ogni mezzo.

Il gendarme alla frontiera

Ma perché assistiamo alla disfatta morale dell’Europa sul fronte turco? Sappiamo fin troppo bene chi ci ha trascinati a questo punto: la scelta di Angela Merkel di imbastire con Erdogan un disonorevole contratto di affitto di esseri umani per contenere un flusso di migranti che rischia di esporla in casa propria a sgraditi contraccolpi elettorali. Non è la prima volta che le iniziative di Berlino operano per la decomposizione dell’Europa: già era successo con i micidiali ritardi imposti alla soluzione della crisi greca. Purtroppo né Matteo Renzi né Francoise Hollande hanno avuto il coraggio, a Ventotene, di dirle “Adesso basta”. La Merkel ha trasformato la Turchia nell’antemurale dell’Europa, affidandogli di fatto il controllo e la gestione della nostra frontiera esterna più vulnerabile; e ha quindi consegnato nelle mani di Erdogan un potere contrattuale enorme. Renzi e Hollande avrebbero dovuto dire alla Merkel: se la Turchia non ferma la sua deriva autoritaria e non ripristina al più presto le istituzioni democratiche e le libertà civili, non solo i negoziati di adesione all’Unione europea dovranno essere congelati, ma pure gli accordi per il rinvio dei rifugiati siriani in Turchia andranno revocati. Anche la realpolitik della cancelliera deve darsi limiti politici e morali. Lo spettacolo umiliante di una grande potenza che si fa intimidire e maltrattare da un caudillo  mediorientale aggrava drammaticamente la crisi dell’Europa.

Il “Sultano”, lo “Zar” e la lotta contro il popolo curdo

Il Tino e la Palmaria da Tramonti  - 2013, foto Giorgio Pagano

Il Tino e la Palmaria da Tramonti – 2013, foto Giorgio Pagano

Ma a preoccupare il mondo deve essere anche la nuova politica estera turca. Finora Erdogan non aveva certo scherzato: collaborava con l’Isis, cui assicurava la permeabilità della frontiera e il contrabbando di petrolio; era alleato dell’Arabia Saudita, finanziatrice dell’estremismo islamista; bombardava sul campo i curdi, uniche forze terrestri a combattere il califfato. Ma ora il suo gioco è ancora più ambizioso: l’alleanza con la Russia dello “Zar” Putin. A incontrarsi sono due leader che hanno moltissimo in comune: la concezione autoritaria del potere e il nazionalismo, anche religioso. Anche in Putin non c’è solo il nazionalismo, ma anche la tradizione russa legata alla religione ortodossa. In entrambi i casi è la democrazia a non avere ossigeno.

E’ un’alleanza pericolosa, come dimostra la guerra in Siria. Prima, in questo disgraziato Paese, si fronteggiavano tre fronti: il dittatore siriano Assad, Putin e l’Iran da una parte; Usa, curdi e opposizione siriana ad Assad dall’altra parte, con il gioco ambiguo della Turchia, che era contro Assad ma anche, come ho ricordato, contro i curdi e con l’Isis; e, infine, l’Isis. Ora l’alleanza tra il “Sultano” e lo “Zar” ha ribaltato il tavolo portando Ankara a fianco dell’ex arcinemico Assad e ha costretto gli Usa a sconfessare i curdi, seguiti naturalmente dall’Europa. I campi sono mischiati, ma c’è un solo obbiettivo sul quale sono concordi tutti: bloccare i curdi, portatori di un’idea di nazione democratica federalista, socialista e femminista. Il popolo curdo insieme agli altri gruppi etnici, religiosi e culturali ha costituito una Confederazione Democratica nel nord della Siria, il Rojava, dove coesistono pacificamente e nel rispetto reciproco popoli e fedi religiose diverse tra loro: assiri, siriani, armeni, arabi, turcomanni.Kobane è la città che ha intrapreso una storica resistenza contro la brutale invasione del nord della Siria da parte dei terroristi dell’Isis nel 2014. E’ stata il faro della resistenza e della vittoria.Va sostenuta: non possiamo lasciarla in mano alla violenza turca.

lucidellacitta2011@gmail.com

Popularity: 4%