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La cosa migliore che abbiamo avuto, e che abbiamo

a cura di in data 2 Ottobre 2023 – 20:23

San Terenzo Monti, 21 agosto 1944, fotografia di Almo Baracchini

Città della Spezia, 20 aprile 2023

All’inizio dell’aprile 1944 i tedeschi occupanti erano sempre più preoccupati per la guerriglia partigiana. Heinrich Himmler, il numero due con Hermann Göring del regime nazista, dichiarò l’Italia occupata “zona infestata dalle bande”, e pochi giorni dopo la Wehrmacht e le SS si accordarono per collaborare nella lotta ai “ribelli”. I fascisti della Repubblica Sociale, con sempre meno autonomia, svolsero un ruolo di complemento, sotto il comando dei tedeschi. Ma con ferocia non minore.
“La giustizia negata” di Daniele Rossi, presidente della Sezione Anpi di Fivizzano-Casola, insegnante in una scuola superiore spezzina, è un libro di grande interesse: documenti, testimonianze, immagini spiegano che cosa fu la lotta ai “ribelli” nelle zone, confinanti con La Spezia, del settore occidentale della Linea Gotica. E’ il racconto di tutte le terribili stragi compiute in quest’area, un atto accusa verso i responsabili, una denuncia della loro impunità nel dopoguerra.
Il primo rastrellamento che si concluse con una strage fu quello nell’area attorno al passo del Cerreto, a Sassalbo e soprattutto a Mommio. L’operazione fu condotta il 3, 4 e 5 maggio 1944 dalla 135a Brigata da fortezza tedesca di guarnigione nello spezzino, da altre truppe tedesche e da reparti fascisti della GNR (Guardia Nazionale Repubblicana) e della X Mas, che aveva sede nella nostra città. A Mommio e nella zona circostante furono uccise 21 persone. Aristide Giuseppe Alberini di Magliano raccontò: “I più tremendi furono i fascisti garfagnini”. Tra i caduti ricordo il partigiano spezzino Ottavio Manfroni, detto “Speza”, perché era spezzino, del Felettino. In sua memoria la futura III Brigata Garibaldi prenderà il nome di “La Spezia”. Il paese di Mommio fu dato in fiamme, i suoi abitanti furono fatti prigionieri, radunati nel campo di smistamento di Marinella di Sarzana (nella colonia Fiat, poi Olivetti) e poi in molti casi avviati al lavoro forzato in Germania. Qualcuno fu impiegato alla Spezia a recuperare i morti che erano rimasti sotto i bombardamenti. A guerra finita, i criminali nazisti condannati all’ergastolo non scontarono alcuna pena, perché la Germania non accettò la richiesta di estradizione. I fascisti di carcere ne fecero pochissimo.

Il 9 giugno i partigiani costituirono la “libera Repubblica di Forno”, nel territorio di Massa. Il 13 giugno, per rappresaglia, i nazisti della 135a Brigata e i fascisti della X Mas, al comando di Umberto Bertozzi, organizzarono il massacro: 60 morti. Bertozzi appare la figura più sanguinaria e crudele dell’intero gruppo nazifascista. Se la cavò con soli sei anni di carcere.
Il 17 agosto la banda “Ulivi” di Carrara fu chiamata da un gruppo di paesani di Bardine di San Terenzo Monti, esasperati per le requisizioni del bestiame da parte delle SS. L’azione provocò 16 caduti tedeschi, un morto tra i partigiani. Il 19 agosto uomini della divisione di Walter Reder e altri reparti SS rastrellarono l’area. I morti furono 159. Le vittime furono legate agli alberi e ai pali di sostegno delle vigne e poi uccise e lasciate a decomporsi nel caldo agostano. I responsabili tedeschi non furono mai estradati.
Il 24 agosto ebbe inizio un rastrellamento dell’intera area apuana, ad opera del gruppo di Reder e di altre truppe tedesche e di un centenario di fascisti della Brigata Nera apuana. Tredici i morti a Guadine, 6 a Castelpoggio, altri nei paesini vicini. Vinca fu sterminata: 143 morti, nella stragrande maggioranza donne, anziani e bambini. Perché Vinca? Nella memoria della comunità, racconta Rossi, la responsabilità ha un nome: Giovanni Bragazzi, sergente della Brigata Nera di Carrara, che aveva sposato una donna di Vinca e da lei si era separato, con molti contrasti. Una sorta di vendetta privata. Undici fascisti carrarini furono condannati all’ergastolo nel 1950, le pene furono ridotte nel 1952. Al resto pensò l’amnistia: Bragazzi fece solo cinque anni di carcere.
Walter Reder fu arrestato nel 1948 in Baviera dagli americani ed estradato in Italia, dove venne processato a Bologna per le stragi di San Terenzo e di Vinca e poi di Sant’Anna di Stazzema e di Marzabotto e condannato all’ergastolo. Scarcerato nel 1985 per volontà del governo Craxi, rientrò in Austria accolto come un eroe. Nel 1986 dichiarò a un settimanale: “Non ho bisogno di giustificarmi di niente!”. Negli atti processuali contro Reder si legge, riguardo a Vinca:
“Il cadavere di una povera vecchia mendicante è stato ritrovato con un palo conficcato nel didietro. Un’altra donna che era in stato di gravidanza assai avanzato, dopo essere stata uccisa fu sventrata ed il feto schiacciato con i piedi. Un’altra donna è stata ritrovata con un palo conficcato nei genitali. A Vinca i bimbi in fascia venivano lanciati in aria e poi fatti segno con arma da fuoco”.

San Terenzo Monti, 21 agosto 1944, fotografia di Almo Baracchini

Il 13 settembre l’orrore arrivò a Tenerano, dove furono bruciate vive due famiglie. Il 17 settembre a Bergiola Foscarina, 71 vittime. Nello stesso giorno i circa 160 detenuti del carcere di Massa furono presi in consegna dalle SS: 147 fra loro furono portati sull’argine del torrente Frigido, fucilati e interrati in alcuni crateri provocati da un bombardamento.
In tutti questi casi la violenza fu estrema: una bestiale caccia all’uomo, o meglio alle donne e ai bambini. Le pagine del libro di Rossi sono di una grande tragicità narrativa. Tra le vittime ci furono anche degli spezzini, che erano sfollati in quei luoghi. Così tra i sopravvissuti. Nella memoria i tedeschi sono considerati responsabili al pari dei fascisti, ma le uccisioni più crudeli furono fatte dai fascisti.
Ognuno ha il diritto di condividere la propria memoria. Ma le istituzioni democratiche possono stare da una parte sola, contro l’altra parte. Dalla parte dell’umanità, della libertà, della giustizia. I “ragazzi di Salò” non esprimevano alcun valore, se non quello della violenza e della morte.
Il 25 aprile va festeggiato perché la Resistenza, quell’esperienza nata quasi ottant’anni fa, difficile, fragile, romantica, coraggiosa, nonostante tutto è lì, e riemerge come un appiglio. Come ha scritto la storica Chiara Colombini, è la cosa migliore che abbiamo avuto, e che abbiamo.

Le fotografie di oggi furono scattate da Almo Baracchini il 21 agosto 1944 a San Terenzo Monti.
Ringrazio Daniele Rossi, che me le ha fornite.

lucidellacitta2011@gmail.com

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