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La bogia

a cura di in data 10 Novembre 2014 – 12:41
Mostra fotografica "Sixty", 18 ottobre - 22 novembre 2014, Archivi multimediali Sergio Fregoso: Paesaggi urbani, Milano

Mostra fotografica “Sixty” di Giorgio Pagano,
18 ottobre – 22 novembre 2014,
Archivi multimediali Sergio Fregoso:
Paesaggi urbani, Milano

Città della Spezia, 2 novembre 2014 – A Spezia, giovedì scorso, i militanti della Cgil hanno simbolicamente occupato la sede provinciale del Pd, in segno di protesta contro le misure del Governo Renzi, definite dal segretario provinciale della Cgil Lorenzo Cimino “pienamente inserite nell’ideologia neoconservatrice e neoliberista”. A Genova migliaia di lavoratori hanno invaso la città: il corteo era aperto dallo striscione della Fiom “Se Renzi è di sinistra Berlusconi è femminista”. La rabbia popolare è forte. A Spezia, nel ’69 operaio e nelle lotte degli anni Settanta, i cortei sindacali erano aperti dai metalmeccanici, con il loro slogan urlato in dialetto: “la bogia” con la “o” trascinata a lungo. La pentola “bolle”, gridavano gli operai di fabbriche oggi scomparse o quasi, come l’Inma e la San Giorgio. E’ uno slogan che viene da lontano, dal proletariato genovese; ancor prima, “la boje” è il nome con cui vengono ricordati i moti contadini del 1882-1885 in Veneto. Anche in questi giorni “la bogia”. La piazza di sabato 25 ottobre a Roma è stata la piazza della lotta e della speranza: un milione e forse più contro la politica di questo Governo. Di tutte le generazioni, con una fortissima presenza giovanile, alla faccia della propaganda secondo cui chi difende l’articolo 18 spenge il futuro dei giovani. C’era il lavoro vivo, il lavoro vero, di questo Paese.

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Nel mio libro “Non come tutti” duello a distanza con Francesco Piccolo, lo scrittore vincitore, con “Il desiderio di essere come tutti”, del Premio Strega 2014. Molti hanno visto nel suo libro il romanzo di formazione di una sinistra riformista finalmente post ideologica, in coincidenza con l’avvento di Renzi alla guida del Pd e del Paese. La sua tesi è che la sinistra ha iniziato a perdere quando si è isolata in una diversità sterile e non si è posta la questione della responsabilità del potere. E’ una tesi che Piccolo ha riproposto in un articolo pubblicato il 28 ottobre sul “Corriere della Sera” (“Purezza o riformismo, le sinistre al bivio”): ”La sinistra italiana degli ultimi venti, anzi trenta anni, è stata reazionaria e ha inseguito il mito della purezza, e cioè degli ideali da difendere senza nessuno sconto… La questione è se imboccare davvero la strada del riformismo; e cioè fare e non invocare riforme”. Io ho visto e vedo una realtà completamente diversa. Io, che ero un riformista già nel Pci, ho visto il mio partito trasformarsi per abbandonare il riformismo di sinistra e diventare una forza neoliberale, che si è sempre più adattata alle idee, ai programmi, al modo di governare, agli stili di vita stessi della destra. Venticinque anni fa Nanni Moretti girò il film “La Cosa”, che raccontava lo spaesamento delle sezioni comuniste alle prese con il cambio del nome proposto dal segretario Achille Occhetto, nell’inverno del 1989. “Repubblica” ha intervistato nei giorni scorsi i militanti che furono protagonisti di quel film. Io, allora, avrei risposto come Roberto Martini di Testaccio, Roma: “Compagni, non fermiamoci ai risentimenti. Vediamo la sostanza politica: ora potremo finalmente creare l’alternativa in Italia”. Ma, oggi, risponderei come lui: “Non ho mai creduto nel Pd. Sognavo un partito socialista. Voglio stare in un partito chiaramente di sinistra, non in un’accozzaglia di anime”. Allora avrei risposto come il “migliorista” Luigi Savoia, di Francavilla in Sicilia, che apriva il film con queste parole: “Partendo da questo grande patrimonio, si pone l’obbiettivo di costruire una cosa che è più grande, e se mi consentite l’espressione, più bella”. Oggi Savoia consegna questo paradosso: “Ho la tessera del Pd, ma alle europee ho votato Tsipras. Renzi non mi rappresenta. E’ stato un errore mortale puntare tutto sulle riforme istituzionali, prima veniva il lavoro, la lotta alla povertà”. Dal 1989 a oggi, con uno slittamento progressivo, i partiti eredi del Pci hanno messo al bando ogni purezza, si sono giustamente posti l’obbiettivo del governo ma hanno governato in modo del tutto subalterno all’ideologia neoliberista dominante. Renzi ha rottamato i dirigenti protagonisti di quelle stagioni, e la sua vittoria è il frutto del loro fallimento: ma non rottama, anzi continua e estremizza le loro idee, la loro subalternità. Riformismo, dice Piccolo? Ma quale riformismo? Ormai il termine è così inflazionato da essere inutilizzabile. Oggi viene maneggiato con significato opposto, rispetto a quello coniato dalla grande tradizione della sinistra comunista, socialista e cattolica, dai vertici di Bruxelles e dagli epigoni della propaganda neoliberista. Le riforme sono oggi dirette contro il lavoro, per trasformarlo definitivamente in merce.

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Mostra fotografica "Sixty", 18 ottobre - 22 novembre 2014, Archivi multimediali Sergio Fregoso: Paesaggi urbani, Roma

Mostra fotografica “Sixty”
di Giorgio Pagano,
18 ottobre – 22 novembre 2014,
Archivi multimediali Sergio Fregoso:
Paesaggi urbani, Roma

Il Governo Renzi, addirittura, estremizza la subalternità: realizza infatti politiche contro il lavoro che non sono la semplice prosecuzione del neoliberismo dell’austerity ma producono più divisione di prima. Ho cercato, all’inizio, di guardare a Renzi senza pregiudizi. Ma i fatti, purtroppo, parlano chiaro. Li ha ben riepilogati Giorgio Airaudo su “Il Manifesto” del 24 ottobre: il Governo “ha messo insieme gli 80 euro risarcitori, ma non per tutti e soprattutto non per i più deboli e i più colpiti dalla crisi, gli incapienti, i pensionati al minimo, le partite Iva, spesso più subordinate dei lavoratori subordinati; ha adottato il decreto Poletti sui contratti a termine, la vera riforma del mercato del lavoro, che ha aumentato la precarietà reale, lasciando su uno sfondo vago e lontano nel tempo, affidato alla legge delega, il contratto a tutele progressive che dovrebbe sostituire, forse e solo dopo sperimentazioni, una parte di non si sa quali delle attuali molteplici forme di contratti di lavoro; dichiara con presunzione di voler estendere in maniera universale gli ammortizzatori sociali, ma con le risorse stanziate riuscirà a farlo solo per i collaboratori a progetto, e forse neanche tutti, lasciando fuori le partite Iva e tutte le altre forme di lavoro precario e determinando una guerra tra poveri, visto che le risorse derivano dalla cassa integrazione in deroga, per la quale a oggi sono stanziati solo 400 milioni di euro, mentre i sindacati stimano che servirebbero almeno 1,7 miliardi di euro per evitare ulteriori licenziamenti”. E ancora: abolizione dell’articolo 18 e svuotamento dei diritti; riduzione delle tasse alle più forti tra le imprese e aumento delle tasse con i 6 miliardi di tagli a Regioni e Comuni, cioè ai cittadini più deboli e alle piccole imprese.

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Ma, si dice, non c’è un’alternativa. Non è vero, la Cgil la propone: superare i vincoli di bilancio e mettere in discussione il fiscal compact, redistribuire dall’alto verso il basso. Servono la lotta all’evasione fiscale, una tassazione dei grandi patrimoni con aliquote progressive e una maggiore progressività della tassazione dei redditi: in Italia, nel 1980, l’aliquota della fascia di reddito più bassa era del 10%, mentre quella sulla fascia più alta era del 72%; oggi l’aliquota sui redditi più bassi è salita al 23%, quella sui redditi più alti è scesa al 41%. In questo modo -e anche, aggiungo, tagliando i finanziamenti destinati agli F35 e alla Tav- si troverebbero le risorse per gli investimenti pubblici e per un New Deal che faccia “guerra” alla povertà e alla disoccupazione, che non sia affidato alla carità compassionevole e a un mercato che dà per ineluttabili la diseguaglianza e la perdita di cittadinanza reale di una parte grande di italiani. Questo è il riformismo, radicale e di sinistra, fedele alla parola originaria.

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Per Renzi, novello Tony Blair, la dialettica destra-sinistra va sostituita con quella innovazione-conservazione. Ma quali sono i contenuti dell’innovazione? A favore dei sempre più ricchi o dei sempre più poveri? Tertium non datur! Qualcuno ha informato Renzi che è finita l’epoca dei “liberal”, di Blair e delle “pari opportunità”? La “terza via” blairista si è mossa all’interno del pensiero unico dominante, tant’è che la totale liberalizzazione della finanza, che ha accelerato la finanziarizzazione dell’economia mondiale e la degenerazione della finanza e ha portato alla “Grande Crisi”, fu decisa dai Governi di Clinton e Blair. Ed è negli anni della “terza via” che le diseguaglianze sono aumentate fortemente, sia negli Usa che in Gran Bretagna: il che è all’origine dell’indebitamento privato che portò alla crisi. Certamente c’è del vecchio anche a sinistra: io mi batto per superarlo, per una sinistra nuova, che inserisca la difesa dei diritti di chi ce l’ha in una prospettiva nuova, con al centro i diritti per tutti, per incontrare la “nuova umanità” prodotta dalla crisi (“Ricostruire la sinistra” si intitola il saggio introduttivo di “Non come tutti”). Ma il vecchio sta soprattutto nel renzismo! Il neoliberismo, il blairismo, l’idea della crescita illimitata sono i veri vecchi arnesi del Novecento, che hanno fallito e oggi sono del tutto inservibili. La risposta della piazza di Roma è l’inizio del cammino per una vera modernità civile. Dalla Leopolda dei vincenti, tutta ottimismo e sorrisi, questa realtà non si vede: ma non riusciranno mai a consegnarla agli archivi. Quest’anno la Biennale di Venezia è curata da Okwui Enwezor, africano, una “stella” molto “moderna”. Ebbene, “Il Capitale” di Karl Marx sarà al centro della Biennale: la lettura del testo sarà inframmezzata da altre letture e interpretazioni, e sul tema verranno invitati a misurarsi artisti, compositori, drammaturghi. Perché, dice Enzewor, “Il Capitale non è solo un libro, è un monumento. Nulla come quest’opera ha anticipato il dramma della contemporaneità”. Ci sono le classi, o parti di società che dir si voglia: e bisogna scegliere da che parte stare, quella che sta in basso o quella che sta in alto.

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A proposito di vecchio e nuovo, Renzi dice che “non vuole tornare al Pd del 25%”. Ma, come ricorda sempre Ilvo Diamanti su “la Repubblica”, il Pd di Renzi è arrivato al 40%, a parte l’astensionismo, non perché abbia “abolito” il passato, ma perché, al contrario, l’ha incanalato nel suo progetto. Il 40% è frutto del 15% che ha votato per Renzi “nonostante” il Pd, e del 25% del vecchio Pd, che ha votato Pd “nonostante” Renzi. Scrive Diamanti: “Per queste ragioni penso che il Pd di Renzi debba guardarsi dal presentarsi come un “antipartito”, raccolto attorno al suo leader. Che stigmatizza il passato e la memoria, in nome del “nuovo” a ogni costo. Ma rischia, in questo modo, di perdersi nel presente”.

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La “perdita nel presente” comporta, tra l’altro, che uno spazio per la mediazione tra le due anime del Pd sia sempre più difficile, anzi impossibile. Il panorama ora è più chiaro. Ognuno può e deve scegliere. Per chi sta a sinistra il problema è questo: “la bogia”, il popolo della sinistra si sta ritrovando, ed è alla ricerca di una forza politica di sinistra popolare che ancora non c’è. C’è una grande domanda che non trova una risposta. L’assillo di tutte le persone di sinistra, dentro, fuori e oltre i partiti, deve essere quello di trovare la risposta.

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