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Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
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Il Festival del Jazz, aspettando Keith Jarrett nel 2018

a cura di in data 21 Luglio 2017 – 17:55
La Spezia, Palco della Musica, Festival del Jazz 2009    (foto Enrico Amici)

La Spezia, Palco della Musica, Festival del Jazz 2009
(foto Enrico Amici)

Città della Spezia, 16 luglio 2017 – Cento anni fa, il 26 febbraio 1917, fu registrato a New York il primo disco della Original Dixieland Jass Band (scritta con due “s”) di Nick La Rocca, figlio di un emigrante siciliano originario di Salaparuta, il cui padre era stato trombettiere del generale La Marmora. Due facciate, “Livery Stable Blues” e “Original Dixieland one step”: il primo disco jazz della storia, la scintilla che diede il La a tanta parte della musica da un secolo a questa parte. La band si era formata a New Orleans grazie a un gruppo di amici di origine siciliana, che suonavano nelle bande delle bettole locali. Il jazz parlò dunque italiano fin dall’inizio, grazie al mix tra la nostra musica per banda e la musica africaneggiante dei neri, gli africani deportati negli Stati Uniti e schiavizzati, che cantavano per alleggerire il loro lavoro. Oggi che tanti chiamano “negri” i neri e distinguono sempre “casa” loro e “casa” nostra, è utile riscoprire che il melting pot c’è sempre stato, e che nella nostra unica “casa” che è il mondo abbiamo perfino inventato insieme la musica del Novecento. Lo facemmo in una band che si chiamava “Jass” perché “ass” è un termine volgare per dire sedere. Poi, temendo che il gioco di parole si trasformasse in parolaccia, si modificò in Jazz. Louis Armstrong ascoltò questa musica e la definì “suono nuovo”: nel 1925 il trombettista nero era già il simbolo del movimento.

In un secolo il jazz è stato tutto e il contrario di tutto, ma alla richiesta di scrivere una storia della musica jazz, Miles Davis rispose: “La storia del jazz si scrive in quattro parole… Louis Armstrong, Charlie Parker”. In realtà grandi musicisti jazz ci furono anche dopo Armstrong e Parker: generazioni di giovani musicisti infusero nuova vita al jazz perseguendo diverse tendenze. E’ difficile citare tutti i grandi, si farebbe offesa a qualcuno. Ne cito solamente tre, a cui sono particolarmente legato. Miles Davis, trombettista innovatore, autore di “Kind of blue” che non smetto di ascoltare. A lui mi lega un concerto memorabile, quello a Bussola Domani a Viareggio, il 13 febbraio 1989: andai con Tiberio Nicola, il mitico “Tibe” (ritratto nella foto in basso), e con Emanuele Di Matteo, che seguì il jazz per molti anni per il Secolo XIX spezzino. Davis suonò per oltre tre ore, fu straordinario. Poi il sassofonista John Coltrane: come non ricordarlo a cinquant’anni dalla morte, avvenuta il 17 luglio 1967? Coltrane è come Davis, la sua musica è una costante svolta. Da ragazzo amavo il Coltrane meditativo e cupo. Veniva da una famiglia di schiavi, c’è chi dice che tutta la sua musica sia, in fondo, il rimpianto del padre che morì presto e male. C’era anche lui nel gruppo che suonava “Kind of blue”. Infine il pianista Keith Jarrett: perché lo ascoltai due volte (1973 e 1974) al Civico in due grandi concerti, al nostro Festival del Jazz dove hanno suonato quasi tutti i grandi, e perché il suo “The Koln Concert” mi accompagna sempre. Anche lui iniziò con Davis, anche lui è un grande improvvisatore e sperimentatore. Suona ancora, ad almeno un altro suo concerto voglio proprio andare. All’inizio di “The Koln Concert” è possibile udire una risata di uno spettatore: oggi è impossibile, Jarrett chiede al pubblico in modo maniacale il più assoluto silenzio.

La Spezia, Tiberio Nicola al basso tuba, anni Sessanta     (Archivio fotografico Comune della Spezia - Mediateca Regionale "Sergio Fregoso")

La Spezia, Tiberio Nicola al basso tuba, anni Sessanta (Archivio fotografico Comune della Spezia – Mediateca Regionale “Sergio Fregoso”)

Importante è stato ed è tutt’oggi anche il jazz italiano. Negli anni Settanta il jazz era molto ascoltato in Italia. “Umbria Jazz” nacque nel 1973. Ricordo che il Pci organizzava i concerti jazz nelle Feste de l’Unità: faceva contratti per molti concerti a grandi artisti, come Charles Mingus e Don Cherry, e li faceva girare per l’Italia. C’erano anche i jazzisti italiani, il trombettista Enrico Rava in testa, legato alla Liguria e alle Cinque Terre. Ma i nostri talenti sono tanti, anche giovani come il sassofonista Francesco Cafiso. Il nostro è forse il jazz secondo al mondo, dopo quello americano.
E a Spezia? Tutto è legato al “Tibe”. Il 26 agosto 1966, come racconta Diego Sanlazzaro in “Rock, ribelli e avanguardie”, nel locale “Old Drake” di Portovenere si tenne il primo concerto ufficiale della Sprugolean New Orleans Jazz Band, con una personale visione del jazz tradizionale. I sette musicisti, che suonavano da tempo nella cantina del “Tibe” situata dopo via dello Zampino, erano, oltre a lui, Sergio Canalini, Mario Villani, Piero Borrini, Giorgio Mori, Dario Bevilacqua e Francois Lombardi. Molti altri furono – e sono – i bravi jazzisti spezzini, ma la Sprugolean fu il gruppo più longevo della storia musicale locale.
Il jazz aveva un buon seguito in città. In particolare da quando gli americani, nel dopoguerra, fecero dell’Alto Tirreno la loro base prediletta, contribuendo a diffondere i mitici vinili provenienti dagli Stati Uniti, che già da tempo alcuni lavoratori marittimi spezzini portavano da oltreoceano per i collezionisti locali. Al Teatro Monteverdi, il più grande della Liguria, il 19 maggio 1950 si era esibita l’orchestra di Duke Ellington. C’era dunque l’humus giusto per dar vita a un Festival a Spezia. L’idea di organizzarlo si concretizzò nell’estate del 1969 per iniziativa di Tiberio e di altri appassionati che, appena l’anno prima, avevano dato vita all’Associazione Amici del Jazz della Spezia. Per le prime tre edizioni il Festival fu organizzato a Lerici, nel parco di Villa Marigola, ospitando, da subito, musicisti di livello internazionale. Poi venne la grande stagione del Civico, che ho raccontato in questa rubrica nell’articolo “Quarant’anni di Teatro Civico” (10 giugno 2012). Da allora, con alti e bassi, il Festival non è mai mancato, ed è oggi il più longevo d’Italia. L’edizione del cinquantenario (2018) dovrà essere speciale. Per questo va preparata fin d’ora. Ovviamente propongo di far suonare Keith Jarrett. E’ sempre bene pensare in grande. Se lo si fa, poi si trovano anche le risorse. Il contrario della Festa della Marineria, insomma.

lucidellacitta2011@gmail.com

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