I poeti del legno
Città della Spezia, 7 agosto 2022
Lericino, poi migliarinese, figlio di un disegnatore navale: la cultura del mare l’ho sempre respirata.
A Lerici, nella chiesa di San Rocco, un ex voto bellissimo -ora nell’Oratorio di San Bernardino- era dedicato alla miracolosa salvezza, nel 1871, di un ragazzo travolto da tavole di legno precipitate da un cantiere di costruzioni navali nella piazza principale, l’attuale piazza Garibaldi. Lì fiorivano i cantieri: dal XIV secolo fino ai primi decenni del secolo scorso, quando le attività si spostarono nelle spiagge di Pertusola e del Muggiano. Al Muggiano lavorava Dino Grassi:
“Nel giugno 1940, a quattordici anni e mezzo, entrai in cantiere come apprendista carpentiere in legno. Il costruttore di barche Attilio Mori, una leggenda a San Terenzo, fu tra i miei maestri. Se non avevo l’attrezzo e dovevo mettere una linea, guardavo la linea d’orizzonte del mare: era perfetta… Bisognava saper costruire gli attrezzi, saperli arrotare… quando l’ascia è ben arrotata il legno canta… è una delizia ascoltarlo, così come assaporare il suo profumo o ammirare la bellezza dei disegni della sua fibra… ero felice, imparavo un lavoro ma anche la poesia del legno”.
Era davvero un mondo di “poeti del legno” e di “ingegneri senza laurea”.
Anche nel capoluogo. A Migliarina c’era il cantiere Moroni, oggi a Santo Stefano, che si specializzò nella manutenzione delle unità della Marina, Vespucci e Palinuro comprese.
I ricordi si affollano: le decorazioni realizzate dai maestri d’ascia nei portici di piazza Brin, l’Arsenale con la sua Officina Lanci e Remi … E il cantiere Beconcini, in viale San Bartolomeo, dove da dirigente del PCI incontravo gli operai nell’ora di pausa. I “padroni” Giancarlo e Angiolo acconsentivano che pranzassi in mensa. Restauravano barche d’epoca, era come entrare in un museo.
E nel ponente? Da ragazzo andavo a Portovenere qualche settimana d’estate, con la nonna materna. Il pensiero va al Tino, alla processione per San Venerio, alla barca a vela del santo: alla barca contenitore salvifico come la biblica Arca di Noè, il primo maestro d’ascia.
Da sindaco scoprii la storia di Exodus e dei cantieri delle Grazie, che avevano riadattato le piccole navi per il viaggio degli ebrei in Israele. Alle Grazie c’era il museo domestico di Pietro Ricci, a Cadimare c’è la “baracca” Faggioni, ultima testimonianza superstite del laboratorio del maestro d’ascia. Racconta Francesco Faggioni:
“Prima di costruire una barca facevamo i modellini, in scala da uno a dieci. Gozzi e lance per la pesca e il lavoro, e barche da famiglia per i più ricchi. Eravamo progettisti ed esecutori. Attenti ai boschi, ai legni, ai rami, in Val di Vara e sul monte Caprione, sopra Lerici. E poi agli attrezzi, che costruivamo noi, fino ai compassi più evoluti. La pelle dello squalo, che ci portavano i pescatori, era la miglior carta vetrata. Era una passione, una continua ricerca per migliorare. Un incontro creativo tra intelletto e manualità”.
I Faggioni costruirono il Gatto Nero, la barca che vinse il Palio -nato anche come competizione tra maestri d’ascia- nel 1934. Ivo Ghiggini, lericino, nipote di un maestro d’ascia di piazza Garibaldi, ha costruito le barche del Marola, sei volte vincitrici. Andrea Balistreri, in coppia con il padre Michele, quelle del Fezzano, due volte vincitrici: “Ci vuole quasi un anno per costruire la barca, quando vinci è come se vincesse tuo figlio”.
Gli elementi tecnici sono rimasti inalterati nel tempo, ma “ogni giorno è una sorpresa, una sfida”, spiega Andrea: “Continuo a imparare da mio padre, dopo vent’anni. Tutto è complesso, e va studiato prima. Ogni barca, ogni legno ha la sua storia. Non c’è mai nulla di predefinito, il cervello lavora il doppio. E’ quasi un’arte”. Serve pensare per fare, ma poi la stessa manualità genera immaginazione e nuova intuizione creatrice. Dice Ivo Ghiggini: “E’ il mestiere più bello del mondo… la barca nasce dalle tue mani e dal tuo cervello, che lavora di notte a trovare le soluzioni”.
Secondo il sociologo Richard Sennett “le capacità dell’artigiano di scavare in profondità si situano al polo opposto di una società moderna che preferisce la formazione veloce e il sapere superficiale.” L’orgoglio del maestro d’ascia per il “lavoro ben fatto” con occhio, mano e mente e la sua eccitazione per un “prodotto unico” ci fanno riflettere: stiamo andando nella direzione giusta? Ancora: l’allarme ambiente e la difficoltà di smaltire la vetroresina -il materiale del “tutto, presto e subito”- non spingono a ritornare al legno, risorsa naturale e biodegradabile? Certamente dobbiamo tornare a ragionare sul lavoro e su un nuovo rapporto di armonia tra l’uomo e la natura.
Post scriptum
L’articolo di oggi -un racconto scritto per il Blue Festival, riprodotto in un pannello collocato nei portici di via Chiodo- è un omaggio al Palio nel giorno in cui la comunità del Golfo torna finalmente a riviverne le emozioni.
Le due fotografie ritraggono la “baracca” Faggioni a Cadimare e Michele e Andrea Balistreri.
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