I nuovi spezzini
Città della Spezia, 29 marzo 2015 – Il problema della convivenza tra diversi, per fortuna, è più della generazione dei genitori e dei nonni, che non dei ragazzi e delle ragazze. Gli amici dei nostri figli sono spesso immigrati, si sposano sempre di più giovani di nazionalità diverse e i nuovi spezzini non si chiamano più soltanto Cozzani o Vergassola ma anche Jimenez e Stoian. La società, e la storia, sono sempre in movimento. Non si torna mai indietro. Bisogna essere informati e consapevoli: è la condizione per essere accoglienti e solidali.
Un primo strumento di conoscenza è rappresentato dalla ricerca “La nostra città multi-identitaria: passati, presenti e futuri possibili”, realizzata per conto del Comune dal Comitato Solidarietà Immigrati e in particolare dalla Cooperativa Mondo Aperto, presentata venerdì scorso: “un’indagine di sfondo, solo un primo step”, mi spiega Gilda Esposito, ricercatrice. Un insieme di dati e di interrogativi e proposte comunque utile, perché la conoscenza del fenomeno migratorio nella nostra città è molto limitata: ma senza conoscenza non c’è consapevolezza dei bisogni, delle priorità, delle cose da fare. Vale per gli enti pubblici, per le scuole, per le associazioni, per gli immigrati e per tutti i cittadini.
Intanto vediamo i dati: 11.098 immigrati nel 2014, l’11,7% della popolazione cittadina. In maggioranza donne: 53,2%. Su 100 cittadini residenti a Spezia 12 sono stranieri, 7 donne e 5 uomini; 14 sono bambini, di cui tre con almeno un genitore straniero; 12 sono persone tra 18 e 30 anni, di cui tre con almeno un genitore straniero. Gli immigrati sono di più tra i giovani: sono il 18,5% degli under 18. E nelle scuole sono oltre il 10%, il 12,8% nella scuola media di primo grado (il livello di scuola con la percentuale più alta). La maggioranza degli immigrati è sempre dominicana (22,3%). Poi vengono gli albanesi (20,5%), i rumeni (15%), i marocchini (10%) e così via.
Dopo questo primo step ora servono tanti approfondimenti. Sui dati delle scuole, per esempio: perché gli immigrati frequentano tantissimo gli istituti professionali e pochissimo i licei? Come migliorare l’impegno di cura, accompagnamento, formazione dei ragazzi? Come affrontare il problema dei mediatori culturali, che devono essere di più ma anche più qualificati? Vanno studiati anche i dati dei servizi sociali: gli immigrati sono il 26% degli utenti; perché, per esempio, i marocchini lo sono in percentuale più alta? Quali sono i dati e i problemi riguardanti l’accesso alla salute o l’accesso alla casa? Mancano inoltre i dati del Centro per l’Impiego, essenziali per capire come attivare politiche formative e del lavoro più adeguate. Venendo al lavoro: l’esercito degli immigrati dove lavora, quanta ricchezza produce, a quanto sfruttamento è sottoposto? Perché ci sono gli imprenditori dell’edilizia, del commercio, dei servizi, ma anche i precari sottopagati.
Ora la ricerca non deve rimanere in un cassetto, bisognerebbe presentarla in tanti ambienti mirati: mondo della scuola e della formazione, associazioni, sindacati, patronati, Asl, Camera di Commercio… E farla diventare il primo passo per creare anche a Spezia l’Osservatorio delle Migrazioni, come in tante altre città italiane ed europee. E forse il Comitato Solidarietà Immigrati dovrebbe trasformarsi in questo Osservatorio, al servizio di tutti: del Sindaco come di ogni parroco o di ogni preside. Certo, il Comitato è anche un prezioso “sportello di servizi”: ma questi servizi sono offerti anche da tanti altri enti e associazioni, in modo frammentato, e a volte poco qualificato. Una rete, una sorta di “centralizzazione” a fini di coordinamento è indispensabile. La ricerca mette in evidenza anche un altro nodo: la debolezza delle comunità degli stranieri e delle loro associazioni, che potrebbero e dovrebbero avere un ruolo più incisivo nel dibattito cittadino. Conosco l’esperienza toscana: la Consulta degli Immigrati è secondo me lo strumento giusto, che consente autonomia e crescita delle comunità, e un maggiore lavoro in comune tra loro.
Credo che parlare di dati e di proposte concrete ci faccia bene. Ci fa discutere di che cosa hanno bisogno “loro” ma anche di che cosa abbiamo bisogno “noi”: perché i nostri figli sono in scuole multietniche, perché i nostri genitori vivono con badanti straniere, e così via. Siamo una sola città dalle tante identità che convivono assieme, come ha dimostrato la piazza del 31 dicembre, dove c’erano tutte le nazionalità a festeggiare, e tutte ascoltavano le canzoni di De Andrè. So bene che ci sono diffidenze e paure: ma la convivenza non è solo un dovere morale, è una realtà di cui anche Spezia non può fare a meno. Pensiamo solo all’aspetto strettamente economico: l’invecchiamento della popolazione rende gli immigrati una risorsa indispensabile per il sistema economico, fiscale e previdenziale. Il mondo è diventato più piccolo ed è anche qui a Spezia. Facciamone un’occasione per costruirlo a misura di tutte e di tutti, senza distinzioni e mettendo al bando ogni discriminazione. Reagiamo alla paura con la conoscenza, alla solitudine con l’incontro, alla violenza con la nonviolenza.
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