I giovani angeli del fango
Città della Spezia – 3 dicembre 2011 – Li abbiamo visti alle Cinque Terre, in Val di Vara, in Lunigiana e poi a Genova: tanti angeli del fango, giovani soprattutto, che si sono dati da fare a spalare i detriti, ad aiutare concretamente le popolazioni colpite. Come a Firenze nel 1966, a Genova nel 1970… Alla fine, in questa Italia dalle mille emergenze, la vita vince sempre, quando tutto sembra perduto. Prima lacrime e dolore, poi slancio, generosità, solidarietà.
C’erano i giovani di sinistra, i ragazzi dell’associazionismo cattolico, ma anche tantissime persone solitamente non dedite a un impegno politico o sociale: pensiamo al contributo degli ultras, per esempio. Uno di loro, Federico Figoli, ha raccontato la sua esperienza di volontario a Monterosso in una lettera a Cds: “viverla è stata l’esperienza più bella e più forte della mia vita”. Una testimonianza significativa che vale un trattato, perché spiega molte cose. Leggendola mi è venuto in mente che il grande economista Adam Smith identificava nella “simpatia” la base fondamentale del funzionamento del mercato: “Quale che sia l’origine della simpatia, niente ci è più gradito dell’osservare in altri uomini una corrispondenza d’affetti con tutte le emozioni del nostro cuore, niente ci turba di più della manifestazione del contrario. Quelli che vogliono dedurre tutti i nostri sentimenti dall’egoismo più raffinato si trovano in difficoltà a spiegare, secondo i loro principi, sia questo piacere, sia questa pena”. Ormai il pensiero liberale si è ridotto alla teorizzazione dell’utilitarismo individualistico come elemento fondativo dell’agire economico e sociale: il motore della società umana sarebbe l’individualismo privatistico, indifferente agli altri e alla natura. Mentre altri pensatori, marxisti e cristiani, ma anche liberali come appunto Adam Smith e Luigi Einaudi, che fu nostro Presidente della Repubblica, considerano le diverse forme della solidarietà il mastice che tiene insieme la società. Gli angeli del fango danno loro ragione.
Il fenomeno solidaristico e comunitario ha, oggi, tante altre facce. Non potrebbe essere che così, perché la comunità è una delle forme costitutive del sociale. E il bisogno di comunità torna inevitabilmente -e giustamente- a riproporsi ogni volta che il legame sociale, come sta avvenendo oggi, è esposto al pericolo di erosione. Davvero l’idea chiave per il futuro è la contaminazione, il meticciato, l’aprirsi al rischio dell’incontro con l’altro, il riconoscimento solidale tra diversi. E’ la formazione del soggetto solidale e responsabile, che è in relazione con gli altri, che si preoccupa per gli altri e si prende cura di loro e del mondo, quel mondo che non è una totalità di mercato ma una totalità di senso, fondata sull’essere in comune degli uomini.
Utopia? No, realtà già in essere. Praticano ogni giorno questa idea chiave le tante comunità solidali e le tante persone altruiste che operano silenziosamente e scorrono come un fiume carsico nelle maglie di una società spesso ignara e indifferente, moltiplicando gli spazi di mutuo soccorso, affrontando emergenze, opponendosi a progetti distruttivi, curando ciò che è vittima dell’oblio delle istituzioni. Sono le realtà del volontariato, dell’economia solidale, dell’associazionismo che opera sulla base di valori alternativi rispetto allo stato di cose esistente. Sono gli individui che, contro l’individualismo, arricchiscono la propria identità di istanze solidali, donative, partecipative. Che vanno controcorrente, “in direzione ostinata e contraria”, come direbbero i due liguri più grandi, Fabrizio De Andrè e il mio amico fraterno don Andrea Gallo (a proposito, qualche giorno fa ero con lui a Roma in Campidoglio mentre ritirava il Premio Elsa Morante, consegnato anche ad altri personaggi famosissimi, Lilli Gruber per fare un nome: ma l’affetto della platea era tutto per lui, segno che la “simpatia” di cui parla Smith alla fine davvero vince sempre!).
Ci sono anche fenomeni opposti, lo so bene: la “società incivile” dell’individualismo, dell’arricchimento facile, della demonizzazione dell’immigrato, dell’adorazione populista verso il capo decisionista. Ma ci sono anche le altre spinte. Giovani puliti e generosi, come Federico. Come quelli che incontro quotidianamente nel mio impegno associativo e civico, a Spezia e in giro per l’Italia. Ecco, allora, la domanda centrale: perché non riusciamo a mobilitare di più le loro energie, la loro generosità, la loro giovinezza? Perché questi ragazzi sono così lontani dalla politica e dalle istituzioni? Che cosa dobbiamo cambiare? La risposta a me sembra questa: il superamento della politica come attività delegata a un ceto sempre più autoreferenziale, la sua apertura e un suo nuovo rapporto con la società civile. Bisogna tentare di unire la politica alla vita reale. “Andando a cercare la politica nei luoghi dove può rinascere”, come ci raccomandava Vittorio Foa, antifascista, intellettuale, sindacalista e politico sempre curioso della vita reale. Cercarla, quindi, anche tra la meglio gioventù con le mani nel fango di Vernazza o di Brugnato.
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