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Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
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I fratelli Rosselli, la giustizia e la libertà

a cura di in data 13 Aprile 2019 – 10:34
La Spezia , Monte Gottero, gennaio 1945: Partigiani del Comando della IV Zona Operativa (foto archivio Istituto Storico della Resistenza)

La Spezia , Monte Gottero, gennaio 1945: Partigiani del Comando della IV Zona Operativa
(foto archivio Istituto Storico della Resistenza)

Città della Spezia, 7 aprile 2019 – Qualche settimana fa ho dedicato l’articolo della rubrica allo spettacolo teatrale su Gramsci, portato in scena a Sarzana grazie all’Anpi. Oggi mi soffermerò sulla mostra storico-documentaria sulla vita e la tragica morte di Carlo e Nello Rosselli, organizzata dalla Fondazione Circolo Rosselli. In entrambi i casi le iniziative hanno visto la partecipazione di tante persone. La mostra, in particolare, è stata visitata da tantissimi studenti. Me ne ha parlato uno degli organizzatori, la vera e propria “anima” della mostra, l’amico Paolo Galantini, Presidente provinciale della FIAP -una delle tre associazioni partigiane- e copresidente del Comitato Provinciale Unitario della Resistenza, insieme a me e, fino a pochi giorni fa, al compianto Franco Bernardi. I ragazzi “hanno voluto cogliere il testimone di chi da anni si impegna per rimarcare il messaggio e per fare memoria di due vite esemplari che tanto hanno dato all’Italia in termini di lotte e di ideali”, ha scritto uno di loro, Francesco Ferrari del Liceo Classico Costa, su “Città della Spezia”. In effetti, nonostante che tutto li spinga a perdere il senso della storicità del reale e ad appiattirsi su un “presentismo” senza memoria, i ragazzi si interrogano sulla storia e hanno ansia di conoscere se e in quale misura i volti sbiaditi del passato hanno ancora delle parole valide per l’oggi. Alcuni di noi adulti li incoraggiano. Altri no, temono la storia, e fanno di tutto perché i ragazzi non la conoscano.

PERCHE’ NACQUE IL FASCISMO?
In questo caso la storia temuta è quella del fascismo e dell’antifascismo. Una domanda oggi attualissima è questa: perché nacque il fascismo? Anche per questo per l’”Anno Tematico 2019” il Comitato Unitario della Resistenza ha scelto il tema “Dalla crisi dello Stato liberale all’avvento del fascismo. 1919-1922”. E’ il tema attorno a cui ruotano le nostre iniziative nell’anno in corso. Riflettere su come e perché nacque il fascismo, perché non accada più. Riflettere sul peso della crisi economica, della disoccupazione, delle diseguaglianze sociali: non portarono alla rivoluzione ma alla reazione, alla dittatura. Riflettere sul peso della divisione delle forze politiche popolari, sull’incapacità di queste forze di unirsi nel nome di una visione del destino del Paese. Riflettere sul fallimento delle classi dirigenti dello Stato liberale, che ebbero propensioni autoritarie o furono comunque subalterne, pronte a chiudere entrambi gli occhi, verso chi i disegni autoritari li aveva. Riflettere sulle origini del bisogno dell’uomo forte, da acclamare come spettatori nella piazza, a cui baciare le mani. Riflettere sulla deriva antidemocratica a cui portano i nazionalismi, le chiusure autarchiche e razziste. Riflettere, infine, sui disperati tentativi di retroguardia, come nella nostra Sarzana nel luglio 1921: tentativi in cui però veniva salvato l’onore popolare e proletario e si ponevano le premesse per la lunga lotta antifascista, che cominciò nel ventennio della dittatura e culminò nella Resistenza.

PIERO GOBETTI E CARLO ROSSELLI
I fratelli Rosselli ci parlano innanzitutto per questo: perché si posero subito il problema del perché nacque il fascismo. Nel 1927 i più vecchi tra gli emigrati politici, costretti all’esilio dalla dittatura, Filippo Turati, Giuseppe Emanuele Modigliani, Claudio Treves, Francesco Saverio Nitti, costituirono in Francia una Concentrazione antifascista. In sostanza il loro obbiettivo era quello del ritorno all’Italia prefascista. Un po’ come il grande filosofo Benedetto Croce, la cui “Storia d’Italia” significativamente si arrestava al 1915, quasi a sottolineare che dopo era arrivata la follia, e che la salvezza era la restaurazione dell’Italia liberale.
Ma per i giovani ciò non bastava. Valse per Piero Gobetti, giovanissimo liberale torinese, che sostenne il libero mercato, ma ammirò nondimeno Lenin e collaborò all’”Ordine Nuovo” di Gramsci, prima di dare vita alla sua rivista “Rivoluzione liberale” (1922). Quello di Gobetti fu un liberalismo che invitava gli operai a conquistare il potere dal basso e a diventare i nuovi governanti della società, come la sola classe sociale in grado di trasformarla. Pensando a se stesso come a un rivoluzionario, nel senso pieno della parola, Gobetti, con il suo liberalismo, snobbava il socialismo italiano perché troppo moderato ed esprimeva piena simpatia al comunismo russo. Era dunque un liberale che non voleva tornare all’Italia liberale prefascista, perché in essa, nei suoi limiti ed errori, vedeva il perché della nascita del fascismo. Gobetti morì nel 1926, per scompensi cardiaci provocati o aggravati dalle violenze subite dai fascisti.
La posizione di Carlo Rosselli era molto simile. Anche lui giovanissimo, era stato, insieme a Ferruccio Parri, l’organizzatore della fuga di Turati. Fu confinato a Lipari, e anche lui riuscì fortunosamente a fuggire in Francia.
Scrive lo storico Giuliano Procacci:
Il problema del perché il fascismo avesse vinto appariva come la premessa indispensabile per il successo della lotta antifascista. La conclusione cui Gobetti e Rosselli giungevano era che la vittoria del fascismo era stata largamente propiziata dalla debolezza e dalla complicità della classe dirigente liberale e che quindi l’Italia prefascista avrebbe dovuto essere radicalmente diversa da quella prefascista. Il movimento politico fondato da Rosselli in Francia -Giustizia e Libertà- si ispirava appunto a questi principi, il suo programma era chiaramente rivoluzionario e la sua ideologia quella di un socialismo libertario”.

La Spezia, Monte Picchiara, 1944: la partigiana Carmen Bisighin di Giustizia e Libertà (foto archivio Istituto Storico della Resistenza)

La Spezia, Monte Picchiara, 1944: la partigiana Carmen Bisighin di Giustizia e Libertà
(foto archivio Istituto Storico della Resistenza)

CONTRO L’ATTESISMO
Un altro motivo del distacco che ben presto si verificò tra gli emigrati della vecchia generazione e i giovani di Giustizia e Libertà riguardava il che fare: come contrastare il fascismo? I giovani rimproveravano agli uomini della Concentrazione il loro attesismo e sostenevano, invece, forme radicali di lotta. Era naturale, quindi, che questi giovani incontrassero il Partito Comunista, pur respingendo il socialismo non libertario -o non più libertario- esistente in URSS. L’incontro con i comunisti avvenne anche sull’analisi del perché del fascismo. Le Tesi di Lione del PCI, presentate da Antonio Gramsci nel 1926, criticavano il blocco industriale-agrario che aveva dominato da sempre lo Stato italiano e del quale il fascismo era stato la più recente e brutale espressione e proponevano un blocco alternativo, formato dall’alleanza tra gli operai e i contadini.
L’intesa si trovò sulla necessità di non tornare all’Italia liberale e di praticare la lotta senza attendere.

IN SPAGNA, POI L’ASSASSINIO
Nel 1936 tutto l’antifascismo italiano si unificò nella partecipazione alla guerra di Spagna, a fianco della Repubblica aggredita dalla reazione interna capitanata da Francisco Franco, appoggiato da Hitler e da Mussolini. Gramsci non poté andare, perché in carcere dal 1926. Nello Rosselli nemmeno, era in confino. Carlo andò, tra i primi.
Leggiamo ancora Giuliano Procacci:
“Fu questa la battaglia più bella dell’antifascismo italiano: furono 5.000 i volontari italiani delle Brigate garibaldine e internazionali che combatterono per la libertà della Spagna. Nel marzo 1937 a Guadalajara questi autentici volontari si trovarono di fronte i falsi volontari inviati dal fascismo a sostegno di Franco e li sconfissero: così la prima delle sconfitte militari del fascismo avveniva per opera di italiani.
Ma dopo Guadalajara vennero anche i giorni tristi e le esperienze amare: l’assassinio dei fratelli Rosselli perpetrato a Bagnoles-sur-Orne da sicari francesi al soldo dei fascisti l’11 giugno 1937, la caduta della repubblica spagnola, il riaffiorare delle divergenze tra i partiti antifascisti, il patto germano-sovietico. Ma i legami e la solidarietà di lotta che si erano formati nel corso della guerra civile spagnola non andarono del tutto perduti e ben presto essi avrebbero dato i loro frutti nella Resistenza”.
La squadra degli assassini dei fratelli Rosselli era composta da elementi appartenenti alla Cagoule, una setta fascista spietata collegata con i servizi segreti italiani (Ovra) e della Spagna franchista. Secondo gli storici il mandante fu Mussolini, tramite il genero Galeazzo Ciano.
Il 27 aprile 1937 era morto, in una clinica di Roma nella quale era stato trasferito dal carcere, Antonio Gramsci. Al suo funerale non c’era nessuno. Il 23 maggio, a Parigi, Carlo Rosselli intervenne alla sua commemorazione affermando: “Con la morte di Gramsci, l’umanità ha perso un pensatore di genio e la rivoluzione italiana il suo capo”.
Il funerale dei fratelli Rosselli a Parigi fu un’imponente manifestazione di massa, l’ultima dell’antifascismo europeo, prima dell’occupazione della Francia da parte della Germania di Hitler, cui si accodò come sempre Mussolini.
Giustizia e Libertà fu poi il nome delle formazioni partigiane legate al Partito d’Azione, che diedero un contributo decisivo alla Resistenza, anche e in particolare nella nostra IV Zona Operativa. Un solo nome per tutti: Piero Borrotzu, Medaglia d’oro al Valor Militare, ucciso dai nazifascisti a Chiusola di Sesta Godano 75 anni fa, il 5 aprile 1944. Ho avuto l’onore di commemorarlo venerdì scorso, in quella piccola comunità di donne e di uomini dell’alta Val di Vara, ai piedi del Monte Gottero, che lui salvò sacrificando la propria vita. Il sacrificio del “Tenente Piero” ci fa capire che cosa vi fu alla radice di tutta la Resistenza, armata e civile: la scelta morale per la giustizia e la libertà, la vita intesa come farsi carico della sofferenza degli altri. E’ questa la lezione perenne di Piero Borrotzu e dei resistenti. La lezione che spiega perché la nostra Repubblica è nata dall’antifascismo e perché i suoi principi sono -e saranno per sempre- quelli dell’antifascismo.

IL SOCIALISMO LIBERALE
Ma il contributo di Carlo Rosselli non fu solo quello della lotta. Nel 1924 il settimanale di Piero Gobetti aveva pubblicato un saggio di un giovane socialista critico verso la tradizione del PSI: era proprio Carlo Rosselli. Nel periodo del suo confino politico, nel 1928, Rosselli scrisse un libro -“Socialismo liberale”-, prima di evadere e rifugiarsi in Francia. Ammiratore di ciò che conosceva dell’esperienza laburista inglese, Rosselli tentava di spurgare il socialismo dalla sua versione sovietica e recuperava al suo interno le tradizioni della democrazia liberale che egli reputava fossero la sintesi delle conquiste fondamentali della civiltà moderna.
Su queste posizioni si ritrovò poi gran parte della sinistra italiana. Ora che è finita una pagina della sua storia, la sinistra italiana non può che ripartire da ciò che è vivo oltre le macerie: la giustizia e la libertà, il socialismo libertario.

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