Giovani, leggete Gramsci. Sarà una bellissima scoperta
Città della Spezia, 24 febbraio 2019 – Scrivo questo articolo subito dopo aver visto, al Teatro degli Impavidi di Sarzana, lo spettacolo teatrale “Un Gramsci mai visto – Il pensatore rivoluzionario tra teatro, musica e poesia”, ideato e portato in scena dallo storico Angelo d’Orsi, con musiche di Davide Giromini. La sezione Anpi di Sarzana ha avuto davvero un’ottima idea: lo spettacolo, adoperando diversi registri e linguaggi, ricostruisce la vita e il pensiero di Gramsci in modo efficace e coinvolgente, adatto anche a chi di Gramsci non sappia nulla.
In particolare i giovani. Far conoscere Gramsci ai giovani di oggi è uno degli obbiettivi dello spettacolo. Mentre assistevo, pensavo che conoscere e leggere Gramsci possa essere davvero, per un giovane, una bellissima scoperta. Come lo è per un classico del pensiero? Sì, certamente. Ma non c’è solo questo. Ci sono molti motivi. Tra i tanti su cui potrei soffermarmi ne scelgo tre.
UNA TRAGEDIA PERSONALE
Il primo motivo è la straordinaria ricchezza e drammaticità umana delle “Lettere dal carcere”. Forse sbaglio a suggerire a un giovane di leggere prima le “Lettere” che i “Quaderni”. Nei “Quaderni” si trova senz’altro il pensiero di Gramsci. Ma nelle “Lettere” c’è sempre il primo spunto di un’idea poi sviluppata nei “Quaderni”. Soprattutto nelle “Lettere” il giovane ricostruisce l’andamento di una vita, di una tragedia personale, di una visione del “mondo grande e terribile”. Nello spettacolo questo profilo umano “eroico”, la sua moralità, la sua spiritualità, emergono molto bene.
D’Orsi ha letto, tra l’altro, il testo della lettera scritta da Gramsci alla madre il 10 maggio 1928, poco prima della sua condanna a 20 anni, 4 mesi e cinque giorni di reclusione:
Carissima mamma, non ti vorrei ripetere ciò che ti ho spesso scritto per rassicurarti sulle mie condizioni fisiche e morali. Vorrei, per essere proprio tranquillo, che tu non ti spaventassi o ti turbassi troppo qualunque condanna siano per darmi.
Che tu comprendessi bene, anche col sentimento, che io sono un detenuto politico e sarò un condannato politico, che non ho e non avrò mai da vergognarmi di questa situazione.
Che, in fondo, la detenzione e la condanna le ho volute io stesso, in certo modo, perché non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione. Che perciò io non posso che essere tranquillo e contento di me stesso. Cara mamma, vorrei proprio abbracciarti stretta stretta perché sentissi quanto ti voglio bene e come vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho dato: ma non potevo fare diversamente.
La vita è cosí, molto dura, e i figli qualche volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il loro onore e la loro dignità di uomini.
Ti abbraccio teneramente.
Nino
Tutta la vita carceraria di Gramsci fu una lotta durissima. Contro i fascisti: il Pubblico Ministero Isgrò concluse la sua requisitoria con una frase rimasta famosa: “Per vent’anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare”. Non ci riuscirono, grazie a una resistenza “eroica”. Ma la lotta di Gramsci fu durissima anche contro le malattie che lo assalivano inesorabili: D’Orsi ci racconta il dramma quotidiano della “mutazione biologica” di cui Gramsci parla tra il 1932 e il 1933, gli anni più tremendi del suo calvario. La lotta fu inoltre contro l’isolamento politico dal suo partito, il Partito Comunista. La lotta fu infine contro le difficoltà nel rapporto con la moglie, vittima di una grave malattia nervosa. Una lotta su più fronti, piena di speranza, poi sempre più disperata, fino alla morte. In una lettera alla cognata Tania del 19 maggio 1930 Gramsci scriveva:
Io sono sottoposto a vari regimi carcerari: c’è il regime carcerario costituito dalle quattro mura, dalla bocca di lupo, ecc. ecc.; era già stato da me preventivato e come probabilità subordinata, perché la probabilità primaria, dal 1921 al novembre 1926, non era il carcere, ma il perdere la vita. Quello che da me non era stato preventivato era l’altro carcere, che si è aggiunto al primo ed è costituito dall’essere tagliato fuori non solo dalla vita sociale, ma anche dalla vita familiare ecc. ecc. Potevo preventivare i colpi degli avversari che combattevo, non potevo preventivare che dei colpi mi sarebbero arrivati anche da altre parti, da dove meno potevo sospettare.
“UNA SIMPATIA PIENA DI AMORE” VERSO I GIOVANI
Un secondo motivo di fascino verso i giovani è proprio il Gramsci giovane, il Gramsci combattente e rivoluzionario della giovinezza, quello dell’apprendistato socialista del 1914-1917, decisivo per la sua formazione ideale, che emerge molto bene nello spettacolo di D’Orsi. Gramsci diventa rivoluzionario nel crogiuolo della crisi della Prima Guerra Mondiale; lo diventa come giovane, come militante della gioventù socialista e come intellettuale, scaldandosi alla fiamma della rivoluzione russa dell’Ottobre 2017 e delle lotte degli operai torinesi che vogliono “fare come in Russia”. E’ il Gramsci de “La città futura”, de “L’Ordine Nuovo”, della critica al marxismo deterministico, dell’odio per l’indifferenza. Il Gramsci che sempre nel 2017 scrive:
Noi ci sentiamo solidali con questo immenso pullulare di forze giovanili e non ne rinnegheremo quello che i filistei chiamano un errore. Il proletariato non vuole predicatori di esteriorità, freddi alchimisti di parole, vuole comprensione, intelligenza e simpatia piena di amore.
“Simpatia piena di amore” è una espressione molto bella. Ci parla di un sentimento che ogni generazione dovrebbe avere verso l’irrequietezza dei giovani.
L’INTELLETTUALE DEVE SENTIRE LE PASSIONI DEL POPOLO
Il terzo motivo è il pensiero politico di Gramsci, che interessa ai giovani proprio in quanto essi avvertono più degli anziani il bisogno di un “ancoraggio teorico”. Tra i tanti concetti su cui ci si potrebbe soffermare scelgo una definizione complessiva che è nel secondo dei “Quaderni”, che D’Orsi ha avuto ben presente nello spettacolo:
L’errore dell’intellettuale consiste nel credere che si possa sapere senza comprendere e specialmente senza sentire ed essere appassionato (non solo del sapere in sé, ma per l’oggetto del sapere) cioè che l’intellettuale possa essere tale (e non un puro pedante) se distinto e staccato dal popolo nazione, cioè senza sentire le passioni elementari del popolo… In assenza di tale nesso i rapporti dell’intellettuale col popolo-nazione sono o si riducono a rapporti di ordine puramente burocratico, formale; gli intellettuali diventano una casta o un sacerdozio (così detto centralismo organico). Se il rapporto tra intellettuali e popolazione, tra dirigenti e diretti, tra governanti e governati, è dato da una adesione organica in cui il sentimento-passione diventa comprensione e quindi sapere (non meccanicamente, ma in modo vivente) solo allora il rapporto è di rappresentanza, e avviene lo scambio di elementi individuali tra governanti e governati, tra diretti e dirigenti, cioè si realizza la vita d’insieme che sola è la forza sociale, e si crea il “blocco storico”.
Post scriptum:
Su Antonio Gramsci si veda il mio “L’importanza di Gramsci nel pensiero democratico e popolare italiano”, in www.associazioneculturalemediterraneo.com, 13 aprile 2015.
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