Gerusalemme
Città della Spezia, 31 dicembre 2017 – La decisione del Presidente americano Donald Trump di riconoscere Gerusalemme capitale di Israele pone innanzitutto una grande domanda: una città che è stata per secoli “al centro del mondo” e della storia, la Città Santa delle tre fedi monoteistiche, la città che ebrei, cristiani e musulmani da secoli si contendono e nella quale, come figli di Abramo, si incontrano e si riconoscono, può appartenere in senso assoluto ed esclusivo a qualcuno? La risposta è no: non ce lo dice solo il diritto internazionale, ce lo dice una lunga storia. Nel suo bellissimo libro “Storia d’amore e di tenebra” lo scrittore israeliano Amos Oz ha definito quello israelo-palestinese come “lo scontro delle due ragioni”: due diritti legittimi, che vanno entrambi riconosciuti. Mai come a Gerusalemme la domanda “Chi ha ragione?”è urgente ma anche disperata, perché le ragioni sono due, non una.
Gerusalemme è al contempo Yerushalem, Jerusalem e al-Quds, è ebrea, cristiana e musulmana. Nulla come l’archeologia ce lo fa capire fino in fondo. Sono stato tante volte, prima da Sindaco, poi da cooperante, in Palestina e in Israele, e ho conosciuto e visto all’opera molti archeologi. Nel 2011 mi recai in Israele, sul lago di Tiberiade, ospite degli amici francescani della Custodia di Terra Santa, che, prima sotto la guida dello scomparso Michele Piccirillo, poi di Stefano De Luca, si stavano occupando degli scavi archeologici nell’area. Le sponde del lago, dove si svolse gran parte della vita pubblica di Gesù, sono costellate di rovine imponenti. Vi lavorava anche un’archeologa spezzina, Anna Lena, che avevo conosciuto nel 2007 -allora lei lavorava con l’Unesco- a Gerico, in Palestina. Lei e Stefano mi fecero camminare su un tratto di via lastricata dove era solito camminare Gesù, e mi fecero vedere la scoperta più importante, i resti dell’antico porto. Purtroppo gli israeliani hanno poi impedito gli scavi nelle aree attigue, destinate a un centro commerciale. Non lo hanno fatto solo per il business. L’archeologia, in Terrasanta, ha un forte legame con la religione, e quindi anche con la politica:Israele ha interesse ai resti delle presenze ebree, non a quelli delle altre religioni. Nella città vecchia diGerusalemme la presenza, nel sottosuolo, di più memorie c’è più che altrove, metro per metro. Chiunque scavi, si trova di fronte al problema di Dio. Privilegiare le memorie ebree, quando ci sono, significa scegliere le più antiche, situate negli strati più profondi. E quindi significa la conseguente distruzione della Gerusalemme ellenistica, romana, bizantina, araba, crociata, mamelucca, ottomana ed europea-coloniale. E disconoscere una grande parte della storia della Città Santa. Ecco perché la città vecchia di Gerusalemme dovrebbe essere dichiarata “Patrimonio mondiale dell’umanità”.
IL “CENTRO DEL MONDO”
Gerusalemme mi manca, anche se non so se è la città più bella del mondo. Per me lo è. Lo è per i suoi suoni: le campane delle chiese cattoliche, ortodosse, armene, i richiami alla preghiera dei muezzin, il mormorio delle preghiere degli ebrei, il frastuono del suk. Lo è per le sue pietre bianche, sulle quali è bello sedersi al tramonto quando sono ancora tiepide del giorno, e dal Monte degli Olivi (Ghetsemani)si ammira il sole che scende, rende dorate le pietre e incendial’oro della Cupola della Roccia. Lo è per la “spianata del Tempio”, che gli arabi definiscono Haramash-Sharif(“il Nobile Recinto”), con il fulgore dellaQubbatas-Sakhra (“la Cupola della Roccia”): una delle meraviglie del mondo. Lo è per la kasbah della Gerusalemme araba, tra vecchie botteghe e i banchi del suk riempiti dai colori e dai profumi delle spezie. Dovunque si sente il respiro di Dio, il Dio unico della giustizia sociale e ambientale di cui parla Francesco, il Dio di Abramo, di Mosè, di Gesù e di Muhammad, il Dio di chi lo sta cercando. Lo si sente nelle stradine dell’antico quartiere ebraico di Me’ a-She’arim, abitato dagli ebrei ortodossi con i loro cappelli tondi a larghe tese, o davanti al Muro del Pianto; nella basilica del Santo Sepolcroo quando i pellegrini cristiani percorrono la Via Crucis; sulla spianata del Tempio quando i musulmani si prostrano davanti alla moschea di el-Aqsa (“la Lontana”), il terzo luogo sacro dell’Islam. Ho avuto la fortuna di girare per Gerusalemme con gli israeliani nella parte ebrea e con i palestinesi nella parte araba, accedendo ai luoghi a cui non è permesso al turista di accedere. E di farlo anche durante l’Intifada, quando era pericoloso camminare alla sera nel labirinto delle sue stradine. Nella parte araba mi proteggevano i ragazzi palestinesi, nella parte ebrea i soldati israeliani. Anche in quelle sere, deserta, Gerusalemme era bellissima.
Gerusalemme è il “centro del mondo” perché per la tradizione ebraica il Tempio stava al centro del mondo, e perché i cristiani lo spostarono nella basilica del Santo Sepolcro, sul cui pavimento una pietra ancora esistente (anche se rimossa) segnava il punto che, secondo la tradizione e l’immaginario cosmologico medievale, Gesù avrebbe indicato come l’umbilicus mundi. Nei mappamondi dei secoli XI-XIII, e anche oltre, Gerusalemme figurava al centro del mondo. Per i cristiani nel coro della basilica c’era una piccola croce al centro di un circolo, che segnava il luogo in cui il corpo di Cristo, dopo la deposizione dalla croce, fu lavato, cioè la “Pietra dell’Unzione”. Ma queste erano le opinioni dei secoli andati. Ora Gerusalemme è il “centro del mondo” perché resta il centro della famiglia universale, il centro profondo della storia. E per questo non può appartenere a qualcuno in particolare: è di tutti.
LA STORIA. DAI GEBUSEI AI MUSULMANI
Non sappiamo ancora quando Gerusalemme fu fondata. Sappiamo che nel 1004 a.C. gli ebrei, che prima erano nomadi, si insediarono in Palestina conquistandola a scapito di coloro che la Bibbia chiama “gebusei”. Il conquistatore fu il re David; suo figlio Salomone costruì il Tempio a Gerusalemme, nella “spianata”. Poi la città fu conquistata dagli assiri, e Nabucodonosor distrusse il Tempio. Il popolo ebraico ebbe il permesso di tornare e ricostruì il Tempio nel 500 a. C. circa. Seguirono la conquista da parte di Alessandro Magno (la fase ellenistica) e poi da parte di Pompeo (la fase romana, durante la quale nacque Gesù). Anche i romani, con Tito, distrussero il Tempio, lo stesso giorno, il 29 agosto, in cui era stato distrutto da Nabucodonosor. Non fu mai più ricostruito. A Roma un grande altorilievo, sotto l’arco dedicato a Tito, commemora l’evento. Nel 325 d.C. Costantino iniziò a costruire la basilica della Resurrezione (Anàstasis): nacquero la Gerusalemme cristiana -una città-santuario- e il pellegrinaggio cristiano. Il centro religioso e culturale degli ebrei si spostò a Tiberiade. La croce di Cristo fu trasferita a Roma, nella basilica denominata appunto “di Santa Croce in Gerusalemme”; altre reliquie sono, sempre a Roma, nella basilica di San Giovanni in Laterano. Nel 614 d.C. i persiani occuparono e distrussero la città: la loro fu un’occupazione breve ma, almeno all’inizio, durissima. La crisi dell’impero persiano e di quello bizantino avvantaggiò l’offensiva arabo-musulmana. L’ingresso del califfo Umar in Gerusalemme, nel marzo-aprile del 638, scrive lo storico Franco Cardini, “è una delle più belle, commoventi ed esemplari pagine della storia del mondo”, che vede concordi tutte le fonti. Vestito di un umile abito da nomade, Umar entro in città assicurando che “la vita e le proprietà dei cristiani sarebbero state rispettate e i loro Luoghi Santi lasciati intatti. Visitò la basilica dell’Anàstasis dove lo colse l’ora della preghiera canonica, che egli recitò piamente fuori dall’edificio per evitare che i musulmani ne rivendicassero la proprietà; chiese poi di essere accompagnato dove sorgeva il Tempio, si addolorò vedendolo ridotto a un deposito di rifiuti e prese umilmente, aiutato dai suoi, a ripulirlo (alcune fonti sostengono che obbligò anche il patriarca cristiano a fare altrettanto), finché non riuscì a far affiorare, sotto lo spesso strato di lordure, la santa roccia del Moria. Qui egli fece edificare subito un piccolo oratorio di legno”. Nella “spianata del Tempio” furono costruite il santuario Qubbatas-Sakhra (“la Cupola della Roccia”) e la moschea el-Aqsa (“la Lontana”). Gerusalemme diventò, dopo La Mecca e Medina, la terza Città Santa dell’Islam. Dal VII secolo agli inizi dell’XI Gerusalemme visse in pace: la città venne ordinata in quartieri, ognuno con i suoi santuari e i suoi pellegrini: cristiani, musulmani, ortodossi, armeni, ebrei. Una ripartizione della città che è stata sostanzialmente rispettata, con la parentesi del regno crociato tra il 1099 e il 1187 e nonostante i numerosi conflitti, almeno fino alla guerra arabo-israeliana del 1967.
LA STORIA. DALLE CROCIATE ALLA FONDAZIONE DELLO STATO DI ISRAELE
Ai primi dell’XI secolo un califfo riconosciuto poi come eretico dallo stesso Islam, al-Hakim, si mise a perseguitare gli ebrei, i cristiani e i musulmani sunniti. Nel 1099 i crociati europei conquistarono Gerusalemme. Delle chiese costruite dalla Gerusalemme crociata ci resta la bellissima chiesa di Sant’Anna. I musulmani riconquistarono la città nel 1187, con Saladino: anch’egli, come Umar, rispettò i santuari originariamente cristiani ma restituì al culto musulmano le moschee che i cristiani avevano trasformato in chiese, prime tra tutte le due della “spianata”. Il Saladino favorì inoltre l’insediamento in Gerusalemme di una numerosa comunità ebraica, composta in gran parte da famiglie profughe da Francia e Inghilterra. Il governo dei sultani degenerò nel tempo, fino al declino e all’abbandono di Gerusalemmenel corso del Quattrocento. Nel 1516 cominciò l’era ottomana: Gerusalemme rimase per quattro secoli nelle mani dei sultani di Istanbul. Solimano “il Magnifico” valorizzò molto Gerusalemme: fu “un’età d’oro” per la città. Ma l’apertura e la simpatia si indirizzarono più verso gli ebrei e i cristiani ortodossi che verso i cattolici. Da allora a oggi le chiavi della basilica del Santo Sepolcro sono affidate a due antiche famiglie arabe musulmane di Gerusalemme. Tra Settecento e Ottocento la città conobbe un nuovo periodo di abbandono, fino alla svolta di Ibrahim Pascià, egiziano, che avviò Gerusalemme verso la modernità (quarto decennio del XIX secolo); e poial “Grande gioco” tra le potenze colonialiste occidentali per spartirsi il regime ottomano ormai sfasciato, alla fine del quale, nel 1920, la Palestina fu affidata a un “mandato” britannico. Era intanto nato il movimento sionista. Proseguiva l’esodo degli ebrei verso la Terrasanta, e il sionismo si reggeva su un malinteso di fondo: l’idea che la Terrasanta fosse “una terra senza gente per una gente senza terra”. Ma la gente palestinese c’era, eccome. Dal 1929 crebbero sempre più gli scontri tra britannici, ebrei e arabi. Dal 1937 si cominciò a parlare di due Stati, uno ebraico e uno arabo, ma senza successo. Gli ebrei crescevano di continuo, anche per la nascita del nazismo. L’esodo ebraico proseguì e si ampliò dopo la Seconda Guerra Mondiale e la Shoah. Il 14 maggio 1948 nacque lo Stato di Israele: per i palestinesi quella data è la Nakba(“Catastrofe”). La battaglia attorno e dentro Gerusalemme si concluse con l’estromissione degli ebrei dalla città vecchia e l’attestarsi di una linea di confine smilitarizzata. Il 9 novembre 1949 l’Onu votò una risoluzione che confermava a Gerusalemme lo status di città internazionale. Intanto il governo di Israele cominciò a spostare la capitale da Tel Aviv a Gerusalemme: ma la comunità internazionale non accettò e continuò a inviare a Tel Aviv i suoi ambasciatori. Il regno di Transgiordania si annetté Gerusalemme est e l’area a ovest del Giordano, trasformandosi in Regno di Giordania.
LA STORIA. DALLA GUERRA DEL 1967 A OGGI
Dopo la “Guerra dei Sei Giorni” (5-10 giugno 1967) l’intera Gerusalemme si trovò sotto il controllo di Israele, che vi trasferì definitivamente la sua capitale, nonostante le risoluzioni contrarie dell’Onu. Subito dopo fu distrutto il quartiere musulmano “Mughrabi”, con le sue moschee e madrase di età saladiniana. Israele cominciò la politica degli insediamenti dei coloni nei territori occupati e di “ebraicizzazione” della città vecchia, con l’espulsione deipalestinesie la loro sostituzione con residenti ebrei.Anche in questo caso la condanna dell’Onu rimase lettera morta. I palestinesi reagirono con la prima e la seconda Intifada. Nacque il movimento islamista Hamas, e la Resistenza palestinese da “nazionale” diventò in parte “religiosa”: i governi israeliani puntarono scientemente a rafforzare Hamas, per dividere e indebolire i palestinesi. Il resto è storia di oggi: una situazione che sembra senza via d’uscita (si vedano, in questa rubrica, gli ultimi tre articoli dedicati al conflitto israelo-palestinese: “Cinquant’anni dopo, la guerra senza fine”, “Israele e Palestina oggi, decisiva è la camera da letto”, “Raggi di luce in Terrasanta”, 20 e 27 agosto – 3 settembre 2017). La questione di Gerusalemme è centrale: uno Stato palestinese senza Gerusalemme est come capitale non avrebbe senso. Un obbiettivo che si scontra con la dichiarazione unilaterale israeliana di Gerusalemme eterna ed indivisa sua capitale, e con la problematica relativa alla “spianata del Tempio”, che ospita due luoghi di culto musulmano ed è di proprietà musulmana, ma che Israele considera “sua” perché l’area coincide con quella dell’antico Tempio.
UN ALTRO COLPO FATALE ALLA PACE
La decisione di Trump viola il diritto internazionale e le decisioni dell’Onu, rende superfluo il negoziato per i due Stati e favorisce le tendenze estremiste e fondamentaliste nel mondo arabo. Obama al Cairo nel 2009 disse: “Sento in cuor mio la disperazione del popolo palestinese ancora senza terra e senza patria”. Ma non riuscì a combinare nulla. Trump ne prende atto, rinuncia a mediare tra le parti e crea una situazione in cui Israele è sempre più forte e la debole Autorità Nazionale Palestinese esaurisce di fatto la sua funzione. Naturalmente la speranza è che da tutto questo, per paradosso, la questione palestinese riprenda slancio e forza. In fondo anche Israele si confronta oggi con una sfida da cui dipende la propria esistenza: non può controllare milioni di palestinesi in uno Stato di apartheid senza compromettere la propria natura ebraica e democratica. La fine della Palestina è anche la fine di Israele, di come Israele si era pensato. Ma è una speranza flebile.
AL CENTRO DOBBIAMO METTERE IL “NOI”
Alcuni decenni fa tanti giovani europei e americani, ebrei e non ebrei, volevano andare a vivere in Israele e a lavorare nei kibbutz: consideravano l’esperimento israeliano una forma di socialismo, alternativa alla società dove regna il solo mercato. Anche quel sogno si è infranto, come quello comunista sovietico e quello socialdemocratico. Dopo l’orrore della Shoah gli ebrei sono stati costretti a farsi il proprio Stato-nazione e ciò li ha resi simili agli altri popoli. L’onda lunga di Auschwitz ha travolto anche i diritti dei palestinesi, che certo hanno commesso errori ma non sono responsabili della radice storica del loro esilio in patria. Il Novecento europeo sembra aver prodotto un’unica idea: quella che non ci sono alternative allo stato di cose presenti, all’ingiustizia e alla guerra. Non ci sono più grandi progetti di cambiamento. Il linguaggio della politica è pervaso da tristezza e rabbia viscerali. Conta solo la ricerca del potere.
Eppure la storia di Gerusalemme ci dice che, insieme a tanto odio, c’è stato anche l’amore.Gerusalemme per me è la città più bella del mondo per le sue luci e le sue voci ma anche per la sua storia che è anche una storia d’amore. E soprattuttoperché a Gerusalemme, e in Medio Oriente, ho trovato, nonostante tutto, un senso del “noi”, uno spirito di solidarietà, un immedesimarsi nella sofferenza degli altri che l’Occidente ha dimenticato. Così in Africa, dove ho scoperto la straordinaria ricchezza dell’umanesimo africano.In fondo la vera differenza tra l’Occidente e gli altri mondi è che noi pensiamo in termini economici e tecnologici: siamo quelli dell’avere, del fare, del costruire. Mentre gli arabi e gli africanipensano di più a migliorare se stessi, non solamente a far soldi. Tra ‘400 e ‘500 noi europei ci siamo impadroniti del mondo, mettendo al centro non la naturae Dio, ma l’essere umano, l’”io”. Le altre culture pensano, invece, con categorie comunitarie: al centro hanno il “noi”. Ma queste categorie non sono a noi sconosciute, anzi. C’è anche un grande umanesimo italiano ed europeo. Qualcuno mi ha detto: “Strano, hai scritto un libro sull’Africa, e prima e dopo hai scritto due libri sulla Resistenza”. Ma in realtà sono capitoli dello stesso libro, della stessa ricerca. Ho passato molti mesi a raccogliere le testimonianze delle ultime partigiane e soprattutto, per la prima volta, delle donne delle nostre campagne e montagne, delle pastorelle, delle madri: donne cheoltre settant’anni fa uscirono dal silenzio a cui la storia le avevacostrette per secoli e irruppero nella vita per nascondere, proteggere, curare, assistere, combattere per gli altri. Donne semplici, come quelle di Sao Tomé e Principe o quelle dei campi profughi palestinesi. Testimonianze -le loro come quelle di tanti uomini semplici- che ci indicano la rotta per non far svanire la capacità di pensare un altro mondo, più umano e più giusto. Che ci insegnano che tutte e tutti, anche i più deboli e in ogni occasione, possono fare qualcosa.
Buon anno a tutte e a tutti
lucidellacitta2011@gmail.com
Giorgio Pagano ha collaborato a due puntate della trasmissione “Fuori casa – Una finestra sul mondo” di Radio Popolare Verona sul tema del conflitto israelo-palestinese:
* http://www.radiopopolareverona.com/old/sites/default/files/podcast/fuoricasa/20171206-Fuori%20casa.mp3
* http://www.radiopopolareverona.com/old/sites/default/files/podcast/fuoricasa/20171213-Fuori%20casa.mp3
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