E ora stop alla grande distribuzione commerciale
Città della Spezia – 3 Giugno 2012 – Con l’apertura del centro commerciale Le Terrazze è giunto a compimento un lungo ciclo di trasformazioni nel settore del commercio in provincia. Ricordo -sono stato, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, l’ultimo segretario provinciale del Pci e il primo del Pds- la grande discussione su come affrontare, nella realtà spezzina, il fenomeno, emergente su scala mondiale, della grande distribuzione. La sinistra intendeva evitare lo “spontaneismo localizzativo” e agire in una logica programmatoria, che connettesse strettamente piani del commercio e strumenti urbanistici. Consideravamo le zone commerciali dei centri storici “insostituibili nei loro livelli di specializzazione” e da “qualificare anche attraverso il concorso degli enti locali con l’arredo urbano e le zone pedonali con parcheggi esterni”. L’obbiettivo era “la realizzazione di una rete distributiva pluralistica che consenta alle diverse forme di impresa di competere e di confrontarsi continuamente sul concreto terreno dei prezzi, dei prodotti e dei servizi ai consumatori”. La citazione è dal documento del Pds spezzino “Un patto per un nuovo sviluppo” (gennaio 1992), che proseguiva indicando, in campo commerciale, “la scelta dei ruoli primari assegnati al Comune della Spezia e a quello di Sarzana”; “ipotesi di sviluppo e di ammodernamento in altri Comuni” erano opportune e necessarie, ma “in un quadro di compatibilità con la scelta dei due poli primari”.
Ora, a distanza di un ventennio, si può dare un giudizio sul cambiamento realizzato. In primo luogo va detto che si è certamente fermato e invertito l’esodo degli spezzini a fare acquisti in altre regioni e province. La controtendenza è in atto da tempo, e sempre più dalle province toscane, ma non solo, si viene a Spezia e a Sarzana.
Ancora: i piccoli esercizi si confermano una componente essenziale dell’economia provinciale. Sono calati, ma sono ancora ben 4319. Sono diminuiti quelli del settore alimentare, ma moda, abbigliamento, arredamento hanno tenuto. Bar e ristoranti sono molto cresciuti. Spezia e Sarzana hanno due centri storici di qualità, sempre più apprezzati anche dai turisti. Gli interventi dei Comuni sono stati importanti, ma hanno rappresentato solo la cornice che ha sostenuto un costante impegno innovativo dei commercianti. Il loro protagonismo è stato decisivo. Molti operatori hanno saputo specializzarsi ed arricchire la vendita del prodotto con elementi di servizio, fidelizzando un rapporto con il cliente che il supermercato e l’ipermercato non sono in grado di insidiare.
Infine: la presenza delle grandi strutture si è molto estesa. Non solo a Spezia e a Sarzana, come suggeriva quel documento del ’92, ma anche, dopo un confronto molto acceso, a Santo Stefano Magra. A Spezia, grazie alla presenza di Esselunga, si è innescato pure un processo positivo di concorrenza nella grande distribuzione.
E’ difficile fare previsioni in un’Italia e in un’Europa ancora prigioniere di un rigorismo che blocca la ripresa della domanda e dei consumi, ma forse il nuovo equilibrio della “rete pluralistica” proposta vent’anni fa è stato raggiunto.
Per consolidarlo, però, è indispensabile procedere in due direzioni. La prima è quella di sostenere ancor di più il piccolo commercio con le politiche pubbliche. Non bastano l’arredo urbano, le zone pedonali e i parcheggi; bisogna supportare la strategia dell’innovazione organizzativa, cioè la trasformazione di un’offerta indifferenziata in una proposta specializzata, con adeguate politiche creditizie e formative. E’ importante, perché ci siano queste politiche, che i commercianti si impegnino in prima persona: come è successo con la costituzione del consorzio “Spezia in centro”, che riunisce una cinquantina di operatori che vogliono “superare la storica frammentazione del settore per mettere insieme idee, progetti e contributi economici”. La logica è giusta: “il commercio è un’azienda con 500 addetti, una delle più grandi della città, e deve lavorare tutta la settimana”. E’ un segnale di vitalità e di resistenza, che ci fa capire come le classi medie percepiscano la crisi in modo ancor più drammatico del lavoro dipendente, perché meno abituate all’impoverimento.
La seconda direzione da intraprendere è quella, raggiunto l’equilibrio che ho descritto, del blocco di ogni autorizzazione a nuove grandi superfici di vendita, proposta su cui insisto da tempo (come si può leggere ora nel mio “Ripartiamo dalla polis”). E’ significativo, su questo punto, ciò che hanno scritto Moreno Veschi e Jonathan Marsella, coordinatori provinciale e comunale del Pd, in una nota pubblicata sul Secolo XIX nelle scorse settimane, anche se con scarso rilievo. Eppure si tratta di una “svolta”. Cito i passi essenziali, che condivido totalmente: “Non ci persuade l’idea di piazzare vicino alla porta di casa, al successivo casello autostradale, un concorrente che non solo non si integra, ma altera l’equilibrio dinamico raggiunto. Fare realizzare l’ipotizzato outlet di Brugnato in questo contesto non è solo una svista, è un errore. Abbiamo accompagnato e sostenuto un profondo processo di innovazione e trasformazione commerciale e poi non possiamo buttare tutto all’aria. Al termine di questa lunghissima riconversione non le si può mettere tra i piedi un concorrente piazzato dietro l’angolo. Vi è stata nel passato un’approvazione in sordina di questo inedito polo commerciale, non previsto da alcun piano territoriale o programma di settore… L’iter seguito dai vari enti che hanno concorso all’approvazione del progetto è apparso agli esercenti spezzini quantomeno discutibile ed ha sortito l’effetto di provocare un ricorso al Tar da parte di circa cinquanta commercianti della Spezia e del Tigullio… Dopo le alluvioni dello scorso autunno fu imposta dalla Regione una sospensiva all’inizio dei lavori in un’area che era stata attraversata dall’alluvione. Nel frattempo l’Autorità di Bacino Magra-Vara a cui, dopo le approvazioni intervenute, è stato predisposto il progetto già approvato per verificarlo sotto il profilo della sicurezza da inondazioni, ha correttamente lasciato agli enti che hanno concorso all’approvazione del progetto la scelta se insistere o rinunciare alla realizzazione dell’opera. Qualora gli stessi volessero proseguire ha imposto opere pubbliche in salvaguardia, necessari studi idraulici preliminari e comunque modifiche non irrilevanti al progetto stesso. E’ evidente che ad una nuova e più consapevole approvazione occorrerebbe comunque andare, pur prescindendo dall’esito del ricorso al Tar… Non è concepibile una nuova riapprovazione senza un ampio confronto con le istituzioni locali e con le categorie interessate, non solo a Brugnato, ma a Spezia e nei maggiori centri del territorio provinciale”. Meglio di così non si poteva dire. Alla riapprovazione non è chiamato solo il Comune di Brugnato, amministrato da un sindaco della Lega, ma anche la Regione Liguria, amministrata dal centrosinistra. Che ora non può più sfuggire da una vera discussione di merito, quella che non volle fare quando il progetto fu approvato la prima volta. Ricordo ancora la risposta del sindaco di Brugnato: “l’outlet non è un outlet, né un centro commerciale”. Ma che cosa diavolo è, allora? E come ha potuto essere approvato? La Regione non può non dare una risposta. Dentro un ragionamento più ampio: come evitare di colpire la rete commerciale esistente e come valorizzare e non spegnere i centri urbani; e nel contempo come garantire un futuro a Brugnato e alla Val di Vara che sia basato non su un’attività priva di radicamento come l’outlet ma su economie e lavori legati al patrimonio storico e naturale della valle. Tutti devono pronunciarsi con chiarezza. Il nuovo Presidente della Camera di Commercio Gianfranco Bianchi, per esempio. Che ha detto in un’intervista a Cronaca4 che “bisogna porre un freno al proliferare della grande distribuzione organizzata”. Giusto, ma l’outlet?
Soprattutto servirebbe una discussione nel centrosinistra, l’unica forza politica, anche nella nostra realtà, rimasta in piedi. Ma che, per avere un futuro, va rifondata. La vicenda dell’outlet richiama tanti nodi di fondo: è la politica che governa l’economia o viceversa? Chi prevale nella dialettica tra pubblico e privato? Come riconquistare una dimensione sociale della pianificazione e come darle una nuova dimensione, quella della sostenibilità ambientale? Quale modello di sviluppo per i centri urbani e quale per l’entroterra? Questa discussione farebbe bene al Pd, partito ibrido in cui convivono opzioni diverse. Ma anche a Sel, che a Spezia si è dilaniata sul punto “stare o no nel centrosinistra”. Io penso che Sel non debba ritirarsi in un atteggiamento testimoniale, che può essere dignitoso ma che alla fine è comunque minoritario, ma al contrario debba essere parte attiva di un processo grande -e terribilmente difficile- di ricostruzione della sinistra che vuole governare. Alla fine quello che importa non è Sel ma che ci siano contenuti programmatici sempre più “di sinistra, ecologisti e libertari”, e luoghi politici sempre più “di sinistra, ecologisti e libertari”. Sel è nata per questo.
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