Daniele Bucchioni e la carica di giovinezza, allora e oggi
Città della Spezia, 5 novembre 2017 – Daniele Bucchioni nacque cento anni fa a Borseda di Calice. Fu, con il nome di battaglia “Dany”, uno dei grandi comandanti della Resistenza sui nostri monti. Aveva tutta la consapevolezza del ruolo. Leggiamo un brano della sua introduzione al libro di Sirio Guerrieri e Luigi Ceresoli “Dai Casoni alla Brunella. La Brigata Val di Vara nella Storia della Resistenza”, un testo che si basa essenzialmente sul suo diario e sui suoi documenti:
“Ciascuno fissa, generalmente, la propria memoria su ciò che lo impegna direttamente e che gli sta immediatamente di fronte, mentre il comandante vede il tutto in una visione d’insieme più ampia… Ritengo sia non ultima dote di un comandante proprio il far sì che ciascuno, anche il più umile, si senta protagonista. E i partigiani della ‘Val di Vara’ furono veramente tutti protagonisti in quel fatto morale, prima ancora che militare, che fu la Guerra di Liberazione”.
Ma chi erano i giovani combattenti guidati da “Dany”? Erano in grande maggioranza contadini del Calicese. Il primo atto per la costituzione del gruppo fu la riunione tenuta nella cascina “Buscini” sopra l’abitato di Debeduse, la notte tra il 19 e il 20 settembre 1944, a cui parteciparono i nuclei di Borseda, Debeduse e Villagrossa. A questi si unirono successivamente gli altri sorti a Santa Maria, Calice, Ferdana, Veppo e Suvero. In collegamento con quelli formatisi a Piana Battolla, Follo, Madrignano costituirono la struttura portante di quella che fu inizialmente la “Brigata d’Assalto Lunigiana”, che ebbe nel colonnello Giulio Bottari l’infaticabile coordinatore e organizzatore. Da questa Brigata nacque in seguito la Colonna “Giustizia e Libertà”, di cui fu parte decisiva la Brigata “Val di Vara” comandata da “Dany”.
Dal marzo 1944 cominciarono le azioni del gruppo calicese. Il 20 marzo Dany e Emilio Del Santo -che fu uno dei medici della formazione, presso l’Ospedale Partigiano di Villagrossa- penetrarono nella Caserma dei Carabinieri di Calice e si impossessarono della mitragliatrice e di alcune cassette di munizioni. La reazione fascista non tardò: nella notte di Pasqua 1944 i repubblichini catturarono, a Debeduse, Aldo Bucchioni, il fratello di Daniele. Ma i fascisti volevano “Dany”, che si presentò e ottenne il rilascio di Aldo. “Dany” fu rinchiuso nel Castello di Calice e affidato alla Caserma dei Carabinieri. I partigiani circondarono il paese minacciando uno sterminio. Dalla cella Bucchioni chiese di conferire con il comandante della Caserma e lo convinse a liberarlo: il carabiniere si sentiva legato agli stessi ideali di giustizia e libertà, e successivamente entrò nella formazione.
Dal giugno 1944 Calice fu dichiarata zona partigiana. Si pose il problema dell’approvvigionamento alimentare per la popolazione locale, gli sfollati e i partigiani. Si provvide al controllo dei prodotti e dei consumi mediante nuclei di polizia partigiana. Il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) ebbe il compito di curare la ripartizione dei viveri.
Il ruolo della Brigata “Val di Vara” fu decisivo durante il rastrellamento del 3 agosto 1944: quasi tutto lo schieramento partigiano sbandò, il gruppo di Bucchioni fu tra i pochi che resistette e inflisse pesanti perdite al nemico. Su questo episodio e su quello successivo dell’8 ottobre 1944 -quando i fascisti organizzarono un nuovo rastrellamento teso a distruggere la “Val di Vara”- ho scritto in questa rubrica, dando la parola a “Dany”, allora ancora in vita (“Il comandante Dany e il rastrellamento del 3 agosto 1944”, 29 luglio 2012). Dato il mantenimento della compattezza della Brigata, essa divenne il naturale centro di attrazione e recupero di quanti, sbandati o nuovi arruolati, cercavano di raggiungere le proprie formazioni. Era inoltre il naturale posto di sosta e ristoro e il centro informazioni dei vari nuclei in transito.
La “Val di Vara” si distinse anche nel rastrellamento del gennaio 1945 e in numerose azioni di sabotaggio lungo la via Aurelia, la statale della Cisa e la ferrovia. Da Calice partivano inoltre le varie “missioni” per il Fronte degli Alleati. Fino al 22 aprile 1945: i partigiani della “Val di Vara” raggiunsero Podenzana e, dopo tre giorni di combattimenti asprissimi e ininterrotti, la sera del 24 aprile iniziarono la liberazione di Aulla, completata il 25 aprile.
“Dany” fu protagonista anche dell’”operazione mine”, che impedì ai tedeschi la totale distruzione degli stabilimenti militari e civili e delle attrezzature portuali e delle vie di accesso alla nostra città, che erano stati tutti minati (ne ho scritto, in questa rubrica, in “Il giovane William e il tragico duello tra Facio e Salvatore”, 1° marzo 2015).
Ma ritorniamo alla citazione iniziale di “Dany”: la Resistenza fu “un fatto morale, prima ancora che militare”. “Un fatto morale” che vide protagonista tutto un popolo, non solo quello combattente. “Dany” cita espressamente “la nostra gente, che ci sorresse, ci incoraggiò, ci ospitò, ci nutrì incurante dei sacrifici, delle minacce, dei ricatti, delle rappresaglie” e “le donne, trepide e coraggiose”. Bucchioni ricordava sempre che, l’8 ottobre 1944, le ragazze e gli uomini di Borseda raggiunsero i partigiani anche nelle postazioni più avanzate, incuranti del grandinare dei proiettili, per distribuire a ciascuno una ciotola di minestra, pane e vino. E che questo gesto di solidarietà commosse i combattenti e ne aumentò lo spirito combattivo. Così come ricordava sempre l’impegno delle insegnanti a dare lezioni gratuitamente nelle scuole della zona partigiana libera.
Sorge allora la domanda: ma la Resistenza fu un fatto “spontaneo” o “organizzato”? Certamente il ruolo dei gruppi dirigenti delle formazioni, dei CLN e dei partiti fu decisivo. Ma non avrebbe potuto esercitarsi senza un’insurrezione spontanea nella società, in quella di campagna e di montagna in particolare. Vi fu, si può rispondere, un forte intreccio tra “spontaneità” e “organizzazione”: le élites ebbero un peso, indicarono una politica e una prospettiva, ma poterono farlo perché stava nascendo e crescendo nella società e nelle persone l’”ardir”, l’ardimento morale con la sua carica di dirompente rottura.
E oggi? Restano ancora valide le parole di Ada Gobetti, dette poco prima di morire, nel marzo 1968. A chi le chiedeva che cosa pensava delle celebrazioni della Resistenza, lei rispose:
“Mi sembra che la stiano impacchettando con un bel cartellino per mandarla al museo. Perché tagliarla fuori come un momento unico e irripetibile, parlarne come di un punto di arrivo invece che di un punto di partenza? La sua validità sta nel fatto che in essa non poteva esistere conformismo: situazioni sempre nuove imponevano soluzioni sempre nuove, e questo bisogna farlo capire ai giovani. Se sapremo analizzare spregiudicatamente quel periodo con i suoi contrasti, i suoi limiti, i suoi errori, daremo loro la possibilità di una scelta. Ritroveranno quella stessa carica che avevamo noi: come ogni età dell’uomo ha la maturità che le è propria, così ogni epoca della storia ha la propria carica di giovinezza, che si può esprimere in forme e aspetti completamente diversi, ma avrà sempre uno stesso impeto creatore e rinnovatore”.
Post scriptum:
Questo il link alla mia relazione “La Colonna Giustizia e Libertà”, presentata nell’iniziativa tenutasi in occasione del centenario della nascita di Daniele Bucchioni
lucidellacitta2011@gmail.com
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