Contro l’abbandono del mondo del lavoro
Città della Spezia, 31 luglio 2023
I dati più recenti sul lavoro in Liguria confermano un apparente paradosso: più occupazione e più povertà possono convivere. L’Istat delinea una regione in cui diminuisce la disoccupazione e nel contempo aumentano la povertà e il lavoro povero. Una ricerca della CGIL regionale rivela che 73 mila lavoratori liguri guadagnano una cifra inferiore ai 9 euro lordi l’ora. In Italia sono 3,5 milioni. I nuovi “occupati-poveri” sono soprattutto nel settore servizi-turismo-ristorazione: precari, stagionali, a chiamata. Sono lavoratori definiti “a bassa intensità” – salariale o per tempo di lavoro – e sono passati, in Liguria, dal 9,1% all’11,6%: più di un lavoratore su dieci. Mentre i liguri a rischio povertà sono passati dal 17,6% al 24,3%.
“Generazione P”, un blog che si occupa di precariato, spiega che tra i 140 mila liguri all’estero più della metà, 55 mila, hanno meno di 35 anni. Significa che dal lavoro povero – elemento strutturale che caratterizza la nostra regione e la distanzia nettamente dal nord ovest avvicinandola al sud – i giovani fuggono. Il fatto che a una crescita quantitativa del lavoro non corrisponda una crescita qualitativa costituisce quindi un problema molto serio.
Lo dimostra anche una ricerca della CISL spezzina, che ha approfondito il fenomeno delle dimissioni volontarie dal lavoro. Scrive la CISL:
“Nel 2022 nella provincia della Spezia secondo i dati dell’INPS sono state 7.898 le cessazioni del rapporto di lavoro a causa delle dimissioni volontarie del lavoratore, nel dettaglio 4.121 riguardano contratti a tempo indeterminato mentre 1.957 quelli a termine. E’ interessante il confronto rispetto al 2021 quando le dimissioni totali sono state 6.820, in particolare 3.675 per quanto riguarda i contratti a tempo indeterminato e 1.671 per quelli a termine”.
“Sono dati che devono far riflettere – spiega Antonio Carro, Responsabile AST Cisl La Spezia – è un fenomeno che anche nel nostro territorio sta crescendo e bisogna ragionare per capire le motivazioni. In particolare c’è un problema legato alla qualità del lavoro”.
I dati liguri e spezzini che ho citato hanno una loro specificità ma rientrano in un fenomeno più generale, nazionale e internazionale, di caduta della qualità e, aggiungerei, della dignità e della libertà del lavoro. In Italia, per restare al caso delle dimissioni, il numero è impressionante: oltre due milioni nel 2022, 180 mila al mese.
Il problema non sono i lavoratori ma il lavoro, questa è la grande questione.
Francesca Coin, la sociologa autrice del libro “Le grandi dimissioni”, spiega:
“Negli ultimi trent’anni è stata richiesta una efficienza sempre più elevata. Una pressione che è andata di pari passo con un impoverimento del lavoro, un aumento della precarietà e una crescita di situazioni di stress… I lavoratori hanno cominciato a lasciare il lavoro quando si sono accorti che i costi economici o emotivi diventavano troppo elevati”.
Un fenomeno osservato molto prima dagli psicologi che dagli economisti, e che riguarda le nuove generazioni ma anche gli over 50. E che ha a che fare anche con la pandemia, che ci ha fatto riflettere sulle finalità del lavoro. E’ stata un’occasione per chiederci se la vita che stiamo vivendo è quella che vogliamo vivere. Per molti la risposta è stata no. Perché è cresciuta l’indisponibilità a sottostare a regole tossiche e vessatorie che numerosi contesti lavorativi impongono.
Da un lato, quindi, un lavoro sempre più competitivo, con aspettative crescenti sulle performance del singolo lavoratore. Dall’altro lato un lavoro impoverito e scarsamente retribuito nei settori della ristorazione, del turismo, della sanità, della vendita al dettaglio, della cultura ed altri ancora.
Dello stress dei lavoratori della sanità ho scritto più volte in questa rubrica. Altre situazioni sono sotto i nostri occhi: l’Italia, non solo la Liguria, sembra un enorme villaggio turistico. Ogni piazza, marciapiede, angolo di spiaggia sono occupati. Ma i lavoratori hanno retribuzioni al di sotto della soglia vitale. Io mi sono battuto perché Spezia avesse anche una vocazione turistica, ma non ho mai pensato che la salvezza la desse il turismo. Senza la ricchezza della tecnologia e della manifattura si resta poveri. Ricordate quando Berlusconi vagheggiava il miracolo economico dicendo che ovunque andasse trovava i ristoranti pieni? Peccato che pochi mesi dopo scoppiò una crisi finanziaria ed economica devastante, che lo costrinse ad abbandonare Palazzo Chigi.
Il tema è quindi il lavoro di qualità: meglio retribuito, meno “performante”, più sicuro, più umano. Il tema è la dignità e la libertà del lavoro. Siamo di fronte a una grande possibilità riformista: ma del riformismo vero, quello che fa avanzare e non retrocedere il lavoro, come ha fatto invece il riformismo falso della destra e anche della sinistra che è stato egemone in questi anni.
Il “decreto primo maggio” della destra al governo ha allargato il lavoro precario e ha massacrato il reddito di cittadinanza, dividendo poveri e poveri. La sinistra, ora all’opposizione, ha posto finalmente l’obiettivo del salario minimo. Chi dice che questo è “massimalismo” e che bisogna tornare al “riformismo pragmatico” o “di governo”, dimentica, e non spiega, i suoi risultati disastrosi: per lo stesso partito “del riformismo pragmatico” o “di governo”, che ha dimezzato i suoi voti perdendo sei milioni di elettori; e per la democrazia, perché l’incapacità politica di contrastare le diseguaglianze ha condotto le classi popolari all’astensionismo.
In fondo, in Spagna, Pedro Sanchez ha resistito perché è riuscito a mantenere un radicamento tra la parte povera della popolazione. I dati sembrano confermare la ragione sociale del suo partito, il PSOE, il cui nome significa “Partito Socialista Operaio di Spagna”.
Si tratta – nel PSOE come in altre socialdemocrazie europee – di un processo certamente contraddittorio e non compiuto. Ma in Italia questo processo non è nemmeno mai davvero cominciato. E non può non fare i conti con il fatto “anomalo” che, piaccia o non piaccia, il M5S è più simile al PSOE, come radicamento sociale, che non il PD. Per cui è dall’unità di queste due forze, oltre che dalle spinte dal basso che nascono nella società, che forse la sinistra può rinascere: il suo futuro si basa tutto sulla lotta alle diseguaglianze e sulla capacità di rappresentare forze escluse e abbandonate da tempo, su un terreno che oggi non può che essere quello della “giustizia sociale e ambientale”.
Dino Grassi, nel suo bellissimo libro “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” – che sarà presentato la prossima settimana a Sarzana, Lerici e La Spezia, definisce il dramma della parte finale della sua vita di operaio e di militante con il termine “abbandono del mondo del lavoro”, operato dalle forze della sinistra. In questo modo invita a indagare su un problema irrisolto della politica e della cultura della sinistra e a recuperare una parte almeno della ricchezza della presenza passata per cercare di uscire da un presente povero. Con un progetto certamente nuovo, ma che metta alle sue spalle l’”abbandono del mondo del lavoro”. Dino e i suoi compagni sono stati sconfitti, ma non avevano tutti i torti. Però i vincitori non sono andati molto lontano, perché non avevano ragione.
Post scriptum
Su questi temi rimando all’articolo della rubrica “Il compito di Elly Schlein per rispondere alle attese” (5 marzo 2023) e agli interventi di presentazione dei libri di Salvatore Biasco, di Antonio Floridia e di Stefano Fassina, pubblicati su www.associazioneculturalemediterraneo.com
Le fotografie di oggi sono esposte nella mostra “Arte, storia e natura nelle terre del Gottero”, allestita a Sesta Godano, nell’Aia della corte (27 luglio-6 agosto 2023). La foto in alto è stata scattata a Cornice nel 2016, quella in basso a Nasceto nel 2023.
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