Presentazione di “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello – Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17 a Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
15 Dicembre 2024 – 19:29

Presentazione di
“Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”
di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello
Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17
Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
I due …

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Con un piede nel passato, per andare avanti ad occhi aperti

a cura di in data 18 Marzo 2022 – 21:32

Lerici, località Catene, lapide in memoria di Stefano Gabriele Paita
(2021) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 6 febbraio 2022 – Nella società dell’eterno presente, dove la maggior parte delle persone vive “in una sorta di presente permanente, nel quale manca ogni rapporto organico con il passato storico del tempo che viviamo” (lo scriveva, già nel 1995, lo storico inglese Eric Hobsbawm), anche il canto di una canzone può contribuire a far crescere la coscienza dell’importanza del ricordo, della memoria, della conoscenza storica. E anche una manifestazione come il Festival di Sanremo può fare per una volta -è successo nella serata dedicata alle cover- da “ponte tra le generazioni”. Dopo aver cantato con Sangiovanni la bellissima “A muso duro” di Pierangelo Bertoli, Fiorella Mannoia ha detto “Se non sappiamo da dove veniamo non sapremo nemmeno dove andiamo”. Lo stesso Bertoli era consapevole di come fosse importante avere “un piede nel passato” per voler “andare avanti ad occhi aperti”:

Canterò le mie canzoni per la strada
Ed affronterò la vita a muso duro
Un guerriero senza patria e senza spada
Con un piede nel passato
E lo sguardo dritto e aperto nel futuro
Ho speso quattro secoli di vita
E fatto mille viaggi nei deserti
Perché volevo dire ciò che penso
Volevo andare avanti ad occhi aperti

IN RICORDO DI GIACOMO BASTRERI
L’importanza del ricordo, della memoria, della conoscenza storica risalta più che mai in questo 2022, centenario dell’avvento del fascismo. Il fascismo nacque nel 1919, si affermò rapidamente. In particolare dai primi mesi del 1921: da allora non passò giorno senza una Camera del Lavoro incendiata, una cooperativa saccheggiata, dirigenti antifascisti uccisi, picchiati, “banditi” dalle loro città. Con l’omertà e la complicità delle forze dell’ordine e dei governi. Eppure c’è chi nega ancora. Il 12 giugno 1921 una spedizione fascista partì da Spezia per aggredire gli antifascisti portoveneresi: Giacomo Bastreri fu ucciso a pugnalate all’ingresso del borgo. L’Amministrazione Comunale di Portovenere, in occasione del centenario, ha rifiutato ogni proposta di commemorazione: “esiste già una piazza intitolata”, la richiesta è “ideologica e comunista”, ha detto il vicesindaco (“Città della Spezia”, 23 dicembre 2021). Ma in questo modo non si capisce da dove veniamo: in una democrazia sana il fascismo è messo al bando non per l’idea politica in sé, ma perché lo scopo di quell’idea è distruggere la democrazia con la violenza. E ogni volta che un fascista ha avuto la possibilità di farlo, lo ha fatto. Certamente in Unione Sovietica Stalin avrebbe costruito, dopo il 1922, uno Stato totalitario, in radicale antitesi con l’ideologia comunista, che è ideologia della società, mentre l’ideologia dello Stato è esattamente quella fascista. Ma l’equiparazione dello stalinismo al nazifascismo è una sciocchezza storica, anche infame se si pensa che fu l’Armata Rossa a liberare Auschwitz e a conquistare Berlino. In ogni caso i comunisti come Bastreri non erano agenti di Stalin, ma lavoratori indignati che si battevano per la giustizia e per la libertà.

IN RICORDO DEI FATTI DELLA SERRA
Cento anni fa, il 15 febbraio 1922, una spedizione di fascisti spezzini partì per La Serra di Lerici. All’evento, e alla sua collocazione nel contesto storico, è destinato il convegno di studi “Fascismo e antifascismo delle origini. A cento anni dai fatti della Serra”, che si terrà al Teatro Astoria di Lerici sabato 12 febbraio. L’obiettivo era colpire gli antifascisti del borgo, a partire dal loro capo: Angelo Bacigalupi, operaio del Muggiano, il primo deputato socialista eletto a Spezia (nel 1919, fino al 1921). Nello scontro perirono Stefano Gabriele Paita, comunista e Ardito del popolo della Serra, e il fascista spezzino Alberto Landini. Riccardo Borrini ha scritto, a questo proposito, di “strisciante guerra civile” e della necessità del “ricordo di tutti coloro che persero la vita” (“La Nazione”, 30 gennaio 2022). Certamente la pietà umana va a tutte le vittime. Ma ciò non significa mettere sullo stesso piano chi perseguitava e chi era perseguitato. La stessa categoria di “guerra civile” è del tutto inappropriata. E’ una categoria che vale per la Resistenza, quando il fascismo alleato con il nazismo si scontrò con l’esercito partigiano. Ma nel 1921-1922 non esisteva alcuna organizzazione armata del movimento operaio: i rivoluzionari non progettarono alcuna rivoluzione, né alcuna difesa armata. Lo storico Claudio Pavone, colui che più di tutti ha influenzato il dibattito storiografico sulla guerra civile del 1943-1945, scrisse che negli anni dell’avvento del fascismo non vi fu uno dei requisiti essenziali della guerra civile: la violenza fascista era organizzata, quella socialista no. Né lo furono quella comunista e quella anarchica. Certo, forme di resistenza si manifestarono, con un’unità dal basso di lavoratori socialisti, comunisti, anarchici, repubblicani, contro la volontà dei loro stessi partiti o formazioni, tutti in crisi e tutti divisi tra loro. Ma furono tentativi improvvisati, come quello degli Arditi del popolo, senza alcun coordinamento nazionale. Coraggiosi rivoltosi come Paita erano armati, ma un partito armato del movimento operaio non vi fu mai. Per il fascismo, al contrario, la violenza era un elemento identitario. La guerra civile la volevano i fascisti: ma non trovarono un avversario disposto a combatterlo. Non fu il sovversivismo “rosso” la causa del fascismo, che ha invece origini di lungo periodo nella società italiana. Aveva ragione Claudio Pavone a mettere in collegamento il primo dopoguerra con la violenza precedente e con la repressione nello Stato e nella società italiana, con la brutalità antisocialista e antioperaia compiuta dallo Stato. La storia spezzina è emblematica: una larvata dittatura militare fu anticipata proprio nella nostra città, piazzaforte militare, già durante la Prima Guerra Mondiale. Fu realizzata dalle stesse forze, legate a una parte della borghesia industriale e della Marina Militare, che sostennero poi la nascita del fascismo alla Spezia.

Veduta di Lerici dalla località Catene
(2021) (foto Giorgio Pagano)

QUANDO UN VIDEO DIMENTICA LA STORIA
La storia a volte è negata, a volte è dimenticata. “Mille Novecento Ventuno. La porta del XX secolo” è un video progettato e realizzato dall’assessorato alla Cultura della Regione Liguria e dal Teatro Nazionale di Genova. Negli ultimi giorni del 2021 è stato proiettato nelle principali piazze liguri, anche a Spezia e a Sarzana, ed è stato donato alle scuole. Gli autori premettono, all’inizio, che “gli stimoli, gli eventi e le svolte del 1921” fanno sì che l’anno vada considerato “il vero inizio del XX secolo”, “l’anno chiave che determina la nostra contemporaneità”: “siamo tutti debitori” del 1921.
A tal fine si citano Pirandello, Chaplin, il Bauhaus, Picasso, Wittgenstein, Freud, Puccini. In pochi secondi si ricorda anche che il 1921 fu l’anno della nascita del partito comunista in Italia, del partito nazionalsocialista in Germania (che in realtà nacque nel 1920) e del partito fascista in Italia.
Che il 1921 e in genere gli anni tra il dopoguerra e il 1929 siano stati anni di profondo rinnovamento culturale e artistico non c’è dubbio. Fu una grande fioritura: la ricerca si svolse sotto il segno dell’abbandono critico dei valori morali, civili e formali della tradizione e della crisi del rapporto tra individuo e società. La “Recherche” proustiana apparve tra il 1919 e il 1927, l’”Ulysses” di Joyce nel 1922, “La montagna incantata” di Mann nel 1924, “Il processo” di Kafka nel 1925. Nel cinema Lang girò “Il dottor Mabuse” nel 1922, Ėjzenštejn “La corazzata Potëmkin” nel 1925. L’arte e la cultura contemporanee si alimentano ancora dalle fonti del primo dopoguerra. Anche se va aggiunto che una serie di intellettuali, al di là delle loro intenzioni, seminarono pessimismo cantando il de profundis all’idea di progresso, svalutando la ragione e criticando la scienza. Spengler, tra il 1918 e il 1922, pubblicò un’opera in cui sosteneva l’inevitabile decadenza dell’Occidente, mentre negli anni Venti Ortega Y Gasset criticava la “ribellione delle masse” che pretendevano di soppiantare la guida delle élites. Un contesto culturale in cui nazismo e fascismo ascesero al potere agitando i loro messaggi di “rigenerazione”.
Furono anni di profondi sommovimenti sociali e ideali e di difficoltà economiche. In alcuni Paesi, dove le tradizioni liberali erano più forti, la crisi del dopoguerra fu superata senza gravi danni alle strutture politiche liberal-democratiche: fu così in Inghilterra e in Francia. Ma non in Germania e in Italia. Il 1921 fu un anno chiave per l’affermazione del nazismo e del fascismo, le due feroci dittature che portarono alla seconda guerra mondiale e all’Olocausto. Ancora una volta la storia di Spezia è emblematica: l’inizio fu il 27 febbraio, con l’assalto fascista alla Camera del Lavoro e l’uccisione, il giorno dopo, dell’operaio anarchico Adolfo Olivieri da parte delle guardie regie. Da allora fu uno stillicidio: dalla strage di via Torino alla Spezia il 16 maggio, ad opera dei carabinieri, alla spedizione fascista a Portovenere e all’uccisione di Bastreri il 12 giugno, fino alla spedizione fascista, respinta, del 21 luglio a Sarzana, e alle tante violenze successive.
Il 1921 non fu solo l’anno della fioritura dell’arte, fu anche e soprattutto un anno chiave per l’avvento del fascismo come prodotto delle tendenze eversive e antipopolari dello Stato italiano. Anche in questo senso siamo “debitori del 1921”: nel senso che iniziò una tragedia.
La storia è un immenso fiume in cui scorrono insieme acque limpide e acque terribilmente torbide. Senza fare i conti con queste ultime, gli uomini del presente non possono comprendere quali vie seguire.

“NELLA MIA ORA DI LIBERTA’”
Concludo, come ho iniziato, con una canzone che ci fa comprendere la storia. Nella serata delle cover, a Sanremo, l’hanno cantata Giovanni Truppi, sul petto un cuore rosso-nero simbolo dell’anarchia, al pianoforte, Vinicio Capossela, cappello e fiocco rosso al collo, alla chitarra, e sul finale Mauro Pagani, fazzoletto rosso nel taschino della giacca, all’armonica a bocca. E’ una canzone di Fabrizio De André tratta dall’album “Storia di un impiegato”, intitolata “Nella mia ora di libertà”, che amo molto. Non a caso è una delle tre canzoni che conclude i miei racconti sugli anni Sessanta e il Sessantotto, perché li simboleggia. Si può cercare di cambiare davvero solo con uno sforzo collettivo: alla fine di “Nella mia ora di libertà” i carcerati, tutti insieme, si ribellano ai secondini. L’impiegato non china la testa, lotta e spera.
Nella poetica del nostro cantautore più grande è forse la prima canzone “in direzione ostinata e contraria”: canto fermo e fiero di chi pensa con la propria testa (“volevo dire ciò che penso”, cantava Bertoli in “A muso duro”) e non si piega al pensiero dominante. Di questi tempi è di una bellezza che spaventa. Vinicio Capossela, dopo averla cantata, ha detto:
“De André è come la bibbia, la puoi leggere in chiesa come in carcere, sempre parlerà dell’umano che ci riguarda sempre e ci ricorda di essere ‘coinvolti’. Un umano che riapre i conti con noi stessi, che ci ricorda che ognuno può fare la sua parte, anche se piccola. Andrebbe sempre cantato, su ogni palco, perché la sua musica vive al di là della celebrazione del suo autore, che non è imbalsamata nel museo del culto della personalità. Le sue parole sono state donate al mondo e rinnovarle ci rende migliori”.

Post scriptum
Sui temi di oggi rimando agli articoli pubblicati su questo giornale:
Portovenere, difendiamo storia e memoria, 20 ottobre 2019
I fatti di via Torino, 30 maggio 2021
Sarzana, quando il fascismo poteva essere battuto, 21 luglio 2021
A cento anni dall’eccidio di Arpiola di Mulazzo, 22 dicembre 2021
Da Sarzana a Luni, la memoria dell’antifascismo cent’anni dopo, 28 dicembre 2021
E agli articoli:
Una popolazione fiera che seppe reagire ai fascisti, Il Secolo XIX nazionale, 21 luglio 2021 (leggibile su www.associazioneculturalemediterraneo.com)
Il primo antifascismo. A cento anni dai fatti di Sarzana, MicroMega.net, 21 luglio 2021
Tre libri da leggere (ma anche no), MicroMega.net, 30 dicembre 2021

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