Come Spezia fu liberata dai nazi-fascisti. Il testamento civile di Amelio
Città della Spezia – 17 Novembre 2013 – Anche Amelio Guerrieri, uno degli ultimi eroi della Resistenza, ci ha lasciati. Lui ormai se lo sentiva e lo diceva. Io lo stringevo e mi opponevo: “no, tu non puoi, tu non devi”. Speravo che il momento arrivasse il più tardi possibile.
Amelio era un uomo forte e fiero, un comandante ardito e coraggioso: quello di cui più si fidava il comandante della IV zona operativa colonnello Mario Fontana, quello a cui i suoi uomini ancora in vita obbedivano ancora, come settant’anni fa. Ho raccontato il suo ruolo nella battaglia di Valeriano (nell’articolo in questa rubrica “La battaglia del Gottero e l’eroismo di Amelio”, del 22 gennaio 2012), ma tanti altri sarebbero gli episodi da ricordare.
Amelio era un uomo altruista e generoso. A Ravenna, dove faceva il militare, aveva guadagnato un po’ di soldi al gioco e li spese tutti dopo l’8 settembre per comprare gli abiti civili per i suoi compagni, perché tornassero liberi e potessero fare la sua scelta, quella di andare ai monti, nelle prime bande. Nel dopoguerra, quando gli offrirono un posto di lavoro all’Amga, l’azienda dell’acqua e gas, rifiutò a favore di un suo partigiano in difficoltà.
Amelio era un uomo sobrio e discreto, che non volle mai apparire. Quando con Paolo Galantini, copresidente con me del Comitato Unitario della Resistenza, insistemmo per farlo parlare alla fiaccolata di Migliarina del 24 aprile 2011, resistette a lungo. Poi tenne un discorso bellissimo. Mentre lo accompagnavamo a casa ci disse: “Avranno mica pensato che volevo mettermi in mostra?” (l’ho raccontato in “La lezione politica di Nello e Amelio”, ora in www.associazioneculturalemediterraneo.com). In questo stile così rigoroso e asciutto c’è tutto il suo legame con il socialismo liberale dei fratelli Rosselli e del Partito d’Azione di Ferruccio Parri: “ Parri era in miseria, ma girò tutta l’Italia per chiedere ai suoi partigiani se era giusto che lui facesse il parlamentare”, e “quando fu eletto viaggiava di notte per risparmiare sulle spese d’albergo”, mi raccontò.
Amelio era un socialista liberale, ma non militò mai nei partiti, preferì l’impegno nelle associazioni partigiane. Fu vicino al Psi e a Sandro Pertini, poi votò i partiti eredi del Pci. “Berlusconi ha fallito, ma Bersani non è il leader adatto”, mi spiegò una volta: i fatti gli diedero ragione. “Peccato per il socialismo, l’idea più bella del mondo”, mi diceva. Ma non si era arreso, non era certo da lui. Deluso sì, ma fermo nella convinzione che bisognasse, diceva, “lottare di più, riprendere lo spirito combattivo, convincere le persone, unire la sinistra”.
Amelio era un cristiano, educato dalla madre: quando parlava dei valori della Resistenza insisteva sulla “solidarietà” e sulla “bontà d’animo”, parlava cioè da socialista ma ancor prima da cristiano. Scrivo subito dopo aver partecipato a un’appassionante discussione con il teologo Vito Mancuso: “chi è animato dal sentimento di giustizia ha trovato Dio”, ha affermato a un certo punto. Dopo gli ho spiegato che mentre lo diceva ho pensato a Amelio e ai ragazzi delle bande, anche a coloro che dicevano di non credere. Lui ha annuito: “la religione originaria è questa”, mi ha spiegato.
Amelio, nel dopoguerra, divenne un “mito”. I suoi coetanei lo ammiravano, e crearono il “mito” dell’uomo “forte” e “giusto”. Per Flavio “Walter” Bertone Amelio era il” frè” (fratello), e così “Walter” per Amelio. Gino Patroni, che era stato suo compagno di scuola, ne esaltava, conversando al bar Peola, il coraggio: di quando da terzino dell’Ausonia Brin (in serie B) resistette alla carica del violento Simontacchi, della Fiorentina, e lo intimorì, o di quando anche il terribile Giancarlo Pajetta, dopo una critica a Giustizia e Libertà in un convegno sulla Resistenza, si smontò incontrando gli occhi di Amelio. Ettore Alinghieri -ha fatto bene il Sindaco a ricordarlo nel discorso commemorativo- ha scritto sul talento persuasivo del linguaggio e sulla forza fisica del “mito” Amelio pagine straordinarie (“L’uomo di Nietzsche”, in “La Spezia: volti di un territorio”). Ogni tanto Ettore, quando era assessore alla cultura nella mia Giunta, mi rammentava questo o quell’episodio, come quello dello scacco di Amelio a due cavatori massesi venuti a Spezia per affrontarlo e umiliarlo, su cui scrisse un elzeviro il grande giornalista Manlio Cancogni (è ancora in gamba a 97 anni: bisognerebbe chiedergli il testo). Io ricordo un episodio più recente: nei primi anni ’70 i giovani spezzini si ritrovavano tutti in via Chiodo a fare le “vasche” (avanti e indietro per ore), e ci fu una fase in cui bisognava evitare di passare davanti alla birreria Dreher, frequentata da teppisti fascisti, per evitare minacce e pestaggi. La leggenda racconta che Amelio, minacciato, entrò, chiuse la saracinesca e li “sistemò” tutti a dovere. Accadde davvero? Mi rammarico di non averglielo mai chiesto. Ma certamente Amelio era un “mito”. C’erano, come oggi, gli “spacconi”: millantavano, allora, di aver fatto la Resistenza, e di aver compiuto gesta eroiche. Naturalmente con Amelio. Un giorno, dal barbiere Paolo Salustro di piazza Battisti, quello dove si incontravano al mattino Flavio Bertone, Angelo Landi e Franco Franchini (“per prendere le decisioni politiche sulla città”, recitava un altro “mito”) un cliente raccontò durante un taglio di aver compiuto ogni genere di atti ardimentosi sotto il comando di Amelio. Lui era il cliente seduto a fianco, lo fece parlare a lungo e poi lo “sistemò” davanti a tutti con una frase: “Smettila di raccontare delle balle, a te non ti ho mai visto!”.
Amelio era tutto questo: una personalità straordinaria, che non potevi non ammirare e a cui non potevi non voler bene. La memoria va a tanti momenti passati insieme, da Sindaco e dopo: le manifestazioni della Resistenza, un intero pomeriggio, triste e intenso, per l’ultimo addio a Paolino Ranieri, le presentazioni dei miei libri, con lui sempre in prima fila, il tifo per la nostra amata Juve, e gli sfottò all’interista Galantini… La politica, i ricordi dell’epopea partigiana, le donne e gli amori, la mia inutile lotta contro le sue sigarette, il calcio… Insomma, la vita…
Nell’epoca delle “passioni tristi”, in cui pare che il tempo delle grandi “scelte” morali, come quelle di Amelio e dei “ribelli della montagna”, sia tramontato, perpetuare il ricordo di Amelio e della Resistenza significa ritrovare la stessa scintilla che scattò allora in quanti oggi mettono in atto scelte consapevoli contro il conformismo imperante, si avventurano nei luoghi dell’emarginazione e del dolore sociale e sfidano il male. Ricordiamo, allora, Amelio con le parole di Italo Calvino in “Il sentiero dei nidi di ragno”: “Da noi, dai partigiani, niente va perduto, nessun gesto, nessun sparo va perduto. Tutto servirà, se non a liberare noi, a liberare i nostri figli, a costruire una umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi”. Perché, come diceva Amelio, “la bontà è il motore della storia, che è lotta per la libertà”.
Proprio perché “dai partigiani niente va perduto” io e Paolo Galantini abbiamo deciso di pubblicare il testo dell’intervento di Amelio alla fiaccolata di Migliarina del 24 aprile 2011. E’ lo straordinario racconto della Liberazione di Spezia, e soprattutto è il testamento civile di Amelio. Per leggerlo cliccate qui. Lo possedevamo solo noi, ma Amelio lo ha affidato, quella sera, ai giovani. A loro spetta, disse, di “assumere i nostri ideali affinché il nostro sogno di un’Italia giusta e democratica possa continuare a vivere”.
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