Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
14 Novembre 2024 – 21:22

Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
Massa, Palazzo Ducale – Sala della Resistenza
Il libro di Dino Grassi “Io …

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Come cambia la città della Luna

a cura di in data 19 Dicembre 2022 – 09:15

Luni, l’Anfiteatro
(2022) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 27 novembre 2022

DALLA CAVA ROMANA AL PORTO
Il punto di partenza del racconto di oggi è la cava romana di Fossacava, poco prima di Colonnata. Guidati da Stefano Genovesi, archeologo della cooperativa culturale Artemisia, andiamo alla scoperta di un’area archeologica di grande interesse culturale e paesaggistico, per l’eccezionalità delle testimonianze antiche conservate. Fossacava è una delle poche cave di marmo dell’Impero Romano -risale al I secolo a. C.- ad essere stata oggetto di uno scavo archeologico. Può essere visitata grazie a una serie di ponti e passatoie di legno che attraversano il sito: sono ancora visibili i piani di estrazione e la roccia riporta i segni delle antiche tecniche di escavazione.
Fu Augusto a dare il via allo sfruttamento dei bacini marmiferi, per costruire gli edifici della sua nuova Roma. Divenne egli stesso proprietario di cave. L’amministrazione imperiale romana, probabilmente proprietaria della cava, la sfruttava appaltandola a società private; queste vendevano i semilavorati e davano al proprietario della cava una cifra convenuta, il resto andava nelle loro tasche. Entrambe le categorie, in questo modo, si arricchivano. Gli “affaristi” appaltatori si affidavano, per dirigere il lavoro nelle cave, a schiavi o liberti, persone spesso più colte del padrone, che conoscevano il greco e il latino, le tecniche di lavorazione della cava, la contabilità. Gli schiavi e i liberti cercavano a loro volta la mano d’opera: persone libere, che passavano alla loro dipendenza. Erano gli schiavi e i liberti a organizzare il lavoro e a pensare a vitto e alloggio dei lavoratori.
A Fossacava e nelle cave vicine lavoravano alcune migliaia di persone, spesso stagionali. Se si scavasse tutto attorno troveremmo i resti dei villaggi dove vivevano i cavatori.
E Luni? Nata come colonia militare, divenne la città dell’aristocrazia, una classe che viveva dei proventi di un’attività fortemente speculativa come quella delle cave, in cui si guadagnava assai: i profitti erano molto più alti rispetto a quelli derivanti dall’attività agricola. Luni era dunque una “città vetrina”, dove abitavano pochissime persone, i ricchi che guadagnavano sfruttando le cave. Tutti, a Roma e nelle città del Mediterraneo, volevano il marmo di Luni.
Ma dov’era il porto di Luni? Era nella zona di Marina di Carrara, sostiene Genovesi. I ritrovamenti di alcuni vecchi scavi lo confermerebbero. Probabilmente c’erano diversi porti: ma quelli della città di Luni erano in zona lagunare, con fondali bassi, che impedivano alle navi per il marmo di arrivare in rada. Oggi non vediamo più quest’area perché, a causa delle piene del Magra, la vallata si è lentamente modificata e la linea di costa si è spostata: il mare dista circa due chilometri. Va aggiunto che si facevano troppi chilometri per trasportare i blocchi di marmo dalle cave a Luni: Marina di Carrara era più vicina, per questo era molto probabilmente il vero Portus Lunae.
Mentre invece dove ora c’è Carrara, e nelle zone interne limitrofe, c’erano probabilmente, come dicevo, i villaggi dei cavatori, ma anche le fattorie per produrre l’olio, il vino e il cibo, i laboratori per il vestiario, i santuari dedicati alle divinità dei lavoratori.
Le fonti letterarie di epoca romana testimoniano la notorietà dei prodotti tipici della zona: il vino era il migliore di tutta la Regio Etruriae, scrisse Plinio Il Vecchio, mentre Marziale citò il caseus lunensis, formaggio probabilmente ricavato da latte bovino.

L’ANFITEATRO
Da Fossacava scendiamo all’anfiteatro di Luni, collocato fuori dal centro della città, nella parte orientale, perché i giochi che vi si svolgevano non dovevano sconvolgere la vita di Luni, spiega Senovesi. La ricca aristocrazia della città era in grado di finanziare di tasca propria gli edifici pubblici, come l’anfiteatro, e gli spettacoli che vi si svolgevano: due gladiatori in lotta tra loro, spesso in modo non cruento. Vinceva chi per primo feriva, non uccideva, l’avversario. E poi le venationes, ovvero gli spettacoli che comprendevano gli animali. Nelle tribune, che ospitavano circa 7.000 spettatori, assistevano ai giochi gli aristocratici, seduti in prima fila, poi i liberi, in gran parte cavatori, e più in alto gli schiavi e i liberti. Nell’anfiteatro si ristabilivano cioè le gerarchie sociali, con gli schiavi e i liberti, che pure dirigevano il lavoro dei cavatori, collocati più distanti.
L’intera costruzione -il calco in miniatura dei grandi anfiteatri di epoca classica- risale al II secolo d. C. e fu realizzata in conglomerato cementizio. Alcuni elementi, però, furono rivestiti in pietra, in particolare le volte delle scale. Le porte principali, invece, furono rivestite con blocchetti regolari di calcare grigio e ciottoli di arenaria. Dell’anfiteatro si conservano le sostruzioni delle gradinate. Come si conveniva al massimo edificio del capoluogo della regione produttrice del marmo preferito da Augusto, il suo fronte esterno ne era parzialmente rivestito, prima della probabile terminazione a portico.
Dal 2021 è il Comune a gestire le aperture del monumento.

Luni, la zona archeologica
(2022) (foto Giorgio Pagano)

IL MUSEO E LA ZONA ARCHEOLOGICA
Il racconto termina con la visita del Museo Archeologico Nazionale di Luni e della zona archeologica, ora raggiungibili anche dall’autostrada, con una passerella e un bel percorso pedonale tra i vigneti.
La prosperità della città si riconosce ancora oggi nelle antiche pavimentazioni delle domus, negli affreschi parietali e negli edifici pubblici e religiosi. Luni, circondata da mura e prospiciente al mare, era organizzata in isolati rettangolari allungati e aveva un’ampia zona pubblica, il foro, nel quale si intersecavano cardo e decumano che ancora oggi sono parzialmente percorribili.
Sul foro si affacciava il Capitolium intitolato alla triade capitolina Giove, Giunone e Minerva; più a nord era invece ubicato il Grande Tempio, dedicato al culto della dea Luna, i cui frontoni -conservati al Museo Archeologico di Firenze- curiosamente non erano in marmo frequentemente usato a Luni, ma in terracotta. Poi le epigrafi e il teatro. A sud del Museo le domus.
Ho ammirato per la prima volta, dopo l’estensione degli scavi, la domus degli affreschi, la sua ricchezza decorativa e la sua maestosità. Tra i punti più suggestivi ci sono i giardini, quattro aiuole circondate da canalette in cui si riversavano gli zampilli di nove fontane. Su questo spazio verde si affacciano la sala da pranzo estiva, con pavimento in marmo decorato con motivi geometrici, e altre due sale. Poi un altro giardino, e le sale invernali, anch’esse con pavimenti in marmo. Il nome della domus deriva dai numerosissimi frammenti d’intonaco dipinto rinvenuti durante gli scavi, alcuni dei quali fanno pensare a una “Stanza delle sfingi”, per il repertorio figurativo egizio. I reperti marmorei della domus sono collocati nel Museo.
Attualmente nella zona fervono i lavori. Si sta demolendo la vecchia sede del Museo, che sarà trasferito nel Casale Gropallo: il primo piano sarà dedicato alle statue e ai principali reperti, il secondo piano alla storia della città. Il Museo è già visitabile. Al termine dei lavori i suoi punti espositivi, che erano un centinaio nella vecchia sede, diventeranno 268. Insomma, bisogna proprio tornare. Ma non c’è solo il Museo. La direttrice Antonella Traverso, della Direzione regionale Musei Liguria, mi spiega:
“Stiamo acquistando l’ultimo immobile privato situato all’interno dell’area demaniale, qui verrà realizzato il polmone didattico, con i laboratori. Costruiremo un punto ristoro, raddoppieremo il magazzino per la raccolta dei materiali e sistemeremo l’area dove c’è il Museo in corso di demolizione, lì c’era il tempio principale della città, dedicato a Giove, Giunone e Minerva… Conosciamo il 25% di Luni, gli scavi proseguono, faremo sondaggi, ma le parti principali della città sono state scoperte, vanno rese comprensibili. Prima di tutto dobbiamo comunicare e valorizzare”.
La Traverso dà valore alla sezione museale sulla storia di Luni, e ha ragione. La vita della colonia romana grazie al commercio del marmo fu prospera e lunga nonostante che il ”gusto dei ricchi” a un certo punto abbia privilegiato il marmo colorato rispetto a quello bianco della zona, e sebbene un violento terremoto l’abbia distrutta parzialmente nel IV secolo d.C.; la città fu abbandonata solo in età medievale quando le piene del fiume Magra modificarono la piana spostando molto più avanti la linea di costa. Dante rese celebre la decadenza di Luni, e dopo di lui Petrarca. Ma negli ultimi decenni le evidenze archeologiche e le fonti documentarie hanno restituito un’immagine più articolata del territorio lunense nell’alto Medio Evo, che era ancora vitale. Aveva prossimo un porto funzionante: non sappiamo se collocato nella stessa sede del porto romano o ricollocato a Bocca di Magra o ancora più lontano, a San Venerio nel Golfo dei Poeti. “Nell’alto Medio Evo Luni governava ancora dalla Corsica a Livorno. Il declino fu segnato dal trasferimento della Diocesi da Luni a Sarzana, nel 1204”, spiega la Traverso.

NON PIU’ “UN NOME VANO E NUDO”
I dati testimoniano che il lavoro fatto finora sta dando i suoi frutti. La Traverso, con riferimento all’anno precedente il Covid, dà il dato di un + 42% di visitatori dopo la realizzazione della passerella autostradale, per un totale di 20 mila. Ora, dopo il Covid, siamo già a 14 mila. “Tutto sta ruotando attorno al termine Lunae, è un sintomo indiretto”, afferma. Sta funzionando il rapporto con il Comune di Carrara, che gestisce Fossacava e il Museo del Marmo. Luni significa poi simbiosi con gli altri Musei del territorio, che hanno collezioni che da Luni provengono: il Museo Formentini del Castello San Giorgio alla Spezia e l’Accademia delle Belle Arti a Carrara. Per la visita alla villa romana del Varignano vige il biglietto cumulativo.
Tra Stato e Comune il rapporto è ottimo, dice la Traverso. Lo conferma il Sindaco di Luni, Alessandro Silvestri. Anche lui è ottimista: “Stiamo facendo una rivoluzione copernicana”, mi spiega, con al centro l’anfiteatro gestito dal Comune, in partenariato con il Canale Lunense, la Camera di Commercio, la Fondazione Carispezia. “L’anfiteatro e la zona archeologica sono il fulcro, abbiamo fatto una campagna identitaria forte, che integra Luni antica, i centri storici, le chiese, i sentieri collinari a monte, i vigneti, la pista ciclabile lungo il Canale Lunense, per creare un sistema contro il turismo ‘mordi e fuggi’”, spiega. Le presenze turistiche negli alberghi, agriturismi e affittacamere sono aumentate, ora “bisogna rilanciare il Distretto turistico della Val di Magra, da Pontremoli a Marinella, contro ogni logica municipalistica, e riattivare la stazione di Luni lungo la direttrice Firenze-Genova, o Versilia-Cinque Terre”. No, Petrarca non scriverebbe più il verso “Luni, una volta potente e famosa ed oggi solo un nome vano e nudo”.

Le fotografie di oggi sono dell’Anfiteatro e della zona archeologica di Luni.

lucidellacitta2011@gmail.com

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