Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
14 Novembre 2024 – 21:22

Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
Massa, Palazzo Ducale – Sala della Resistenza
Il libro di Dino Grassi “Io …

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Che fare nell’Italia e nella Spezia senza figli

a cura di in data 17 Settembre 2023 – 20:13

“Cadimare nascosta”, presentazione fotografica multimediale a cura del Gruppo Fotografico Obiettivo Spezia, Cadimare – Sagra dell’anciua – 13 agosto 2013
(2013 (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 12 aprile 2023

La demografia ci ha consegnato l’ennesimo allarme per l’Italia, per la Liguria, per La Spezia. Mai così grave.
Secondo i dati diffusi nei giorni scorsi dall’Istat la popolazione residente al 1° gennaio 2023 è scesa di 179.000 unità rispetto al 2022. Stiamo diventando una società sempre più vecchia: gli ultrasessantacinquenni costituiscono il 24,1% della popolazione, il 28,9% in Liguria, il 27,7% alla Spezia. L’età media in Liguria è 49,5 anni, 49 alla Spezia. Enrico Ivaldi, docente di Demografia all’Università di Genova, ha spiegato la tendenza: “La Liguria rischia di perdere 184.000 abitanti da qui al 2040. Sarebbe quasi come se sparissero le città di Imperia, Savona e La Spezia”.
Tra le cause del declino c’è l’aumento dell’età in cui le donne fanno il primo figlio: 32,5 anni, alla Spezia 32,1. E’ chiaro che se si fa tardi il primo figlio è più difficile fare il secondo, per non dire il terzo. Non siamo davanti, però, a una libera scelta delle donne e delle coppie. Chiediamoci, come ha fatto la statistica Linda Laura Sabbadini:
“Perché una donna nel nostro Paese deve lei pagare il prezzo dell’interruzione del lavoro se ha un figlio? Come fa a progettare un percorso di maternità se è precaria lei o il suo compagno? Perché una donna deve essere messa nelle condizioni di scegliere tra carriera e maternità come tante volte succede? Perché nel nostro Paese non si è fatto come in Svezia, dove già dagli anni ‘50 con l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro si sono attuate politiche di condivisione delle responsabilità familiari? Dove sono i congedi di paternità come si deve, i congedi parentali retribuiti almeno all’80%, che il governo Meloni ha introdotto per un mese, dove sono i servizi educativi per l’infanzia, i servizi per l’assistenza di anziani e disabili? Apriamo gli occhi e non facciamo finta di non vedere. Tutto questo non c’entra con la bassa fecondità?”
La Sabbadini ha ragione. I Paesi avanzati, che hanno livelli di fecondità più alti, sono anche quelli dove i tassi di occupazione femminile sono più elevati. Sono quelli dove si è investito di più su politiche di condivisione. Siamo il Paese dove le donne non riescono a trovare lavoro, anche se lo vorrebbero, ma se lo trovano sono più precarie, più a part time, più irregolari. E siamo il Paese dove le donne non riescono neanche ad avere i figli che desidererebbero.
Ci sono tanti altri temi su cui riflettere. Un secondo tema è questo: dobbiamo abbandonare la pretesa di dettare alle famiglie come devono organizzarsi. Il mondo cambia, io ho imparato dal mio “mestiere” di persona impegnata nelle associazioni e nelle reti associative tante cose che non conoscevo: sulle preferenze delle persone, sulle famiglie omogenitoriali, sul diritto che hanno tutte le persone e tutte le famiglie di sentirsi accolte. Dobbiamo accettare una società plurale: diversi ma uguali.
Un terzo tema è l’immigrazione. Senza immigrati saremmo ancora di meno e ancora più vecchi. Dobbiamo accogliere, integrare, governare i processi. Non ostinarci a frenare il loro arrivo. Poniamoci questa domanda: possiamo fare a meno di loro? La risposta è no. E’ la demografia che ci spiega che l’Italia, la Liguria, La Spezia hanno bisogno di nuovi ingressi costanti per compensare la riduzione della popolazione attiva. Ha ragione Marco Trovato, direttore di “Africa”:
“Chi porterà avanti l’economia? Chi pagherà le pensioni? Già oggi, interi comparti produttivi stanno in piedi grazie alla manovalanza immigrata: pensiamo ai settori agroalimentare, edile e manifatturiero. Pensiamo ai riders, ai corrieri dell’e-commerce, alle ‘badanti’ (sono un milione e mezzo, quasi tutte donne straniere: se non ci fossero loro, il nostro welfare collasserebbe). Sebbene agli immigrati siano in genere riservate le mansioni meno qualificate e retribuite, il loro contributo alla crescita della ricchezza nazionale vale un tesoretto: oltre 8 punti di Pil. Non solo. Gli immigrati versano ogni anno 8 miliardi di contributi sociali e ne ricevono solo 3 in termini di pensioni e altre prestazioni sociali. Gli imprenditori lamentano la carenza di manodopera per spingere la ripresa. Servirebbero almeno 160.000 (secondo gli studi più prudenti) nuovi ingressi annui di lavoratori stranieri. Ma l’ultimo decreto flussi ne prevede 27.700 (più 42.000 a termine dedicati al lavoro stagionale). Il mondo economico vorrebbe aumentare le quote, quello politico tende a innalzare muri. Ma poiché le migrazioni fanno parte della storia dell’umanità – impensabile e irragionevole pensare di bloccarle –, la gente continuerà a spostarsi per vie illegali e insicure”.
Ancora un tema: perché Oslo o Londra sono attrattive per i giovani e per i migranti, e le città italiane no? Perché molti nostri giovani fuggono, perché dall’estero non arrivano giovani di altre nazioni, perché molti migranti ci considerano solo un Paese di transito?

“Cadimare nascosta”, presentazione fotografica multimediale a cura del Gruppo Fotografico Obiettivo Spezia, Cadimare – Sagra dell’anciua – 13 agosto 2013
(2013) (foto Giorgio Pagano)

Infine un altro tema, anch’esso rivelatoci dall’Istat. Nell’Italia sempre più vecchia il cambiamento climatico uccide i più fragili. Non è un caso che il picco di decessi del 2022 (quasi il 40%) si sia registrato nei mesi più caldi (luglio e agosto) e in quelli più freddi (dicembre e gennaio). Roberto Bernabei, direttore del dipartimento Scienze dell’invecchiamento del Policlinico Gemelli a Roma, ha commentato: “A questo punto è del tutto evidente che bisogna inventarsi una politica sanitaria per la fragilità. L’assistenza domiciliare, che richiede uno sforzo titanico da un punto di vista culturale, metodologico e organizzativo, adesso è la vera scommessa del Sistema sanitario nazionale”.
Eccoci allora alla domanda di fondo, che riassume tutte le altre: dove sono in Italia le politiche per le donne, per tutte le famiglie, per i migranti, per i giovani, per il lavoro, per il nuovo e il vecchio welfare, per la nuova e la vecchia sanità, contro la povertà? Spendiamo di più solo per le armi, sul resto tagliamo tutto! E la Regione cosa fa? E i Comuni?
C’è davvero una cecità impressionante. Classe dirigente cercasi, è davvero il caso di dire.

Post scriptum
Dedico l’articolo di oggi a Giorgio Bucchioni. Con lui, quando ho amministrato, ho molto collaborato. Ho avuto anche scontri e divergenze, che abbiamo cercato di ricomporre nell’interesse della città. Era una persona di grande intelligenza e lealtà. Quando discutevo con lui, capivo che dovevo cimentarmi con idee e argomenti, non solo con interessi e poteri. Le classi dirigenti si costruiscono solo così: con idee, argomenti, conflitti, sintesi. Non con politici scadenti, chiacchieroni, molti dei quali incapaci di tenere la penna in mano, per cui contano solo interessi e poteri.

Le fotografie di oggi fanno parte di “Cadimare nascosta”, presentazione fotografica multimediale a cura del Gruppo Fotografico Obiettivo Spezia, Cadimare – Sagra dell’anciua – 13 agosto 2013.

lucidellacitta2011@gmail.com

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