Buone e cattive notizie per Spezia – prima parte
Città della Spezia, 16 febbraio 2020 – Qualche buona notizia per Spezia ogni tanto arriva.
La Soprintendenza ligure Archeologia Belle Arti Paesaggio ha bocciato il progetto della cosiddetta “piazza sospesa” su viale Italia, che avrebbe distrutto la memoria storica di una parte della città, caratterizzata dai luoghi più cari a noi spezzini: passeggiata Morin, i Giardini Storici con il monumento di Garibaldi, via Diaz. E’ un intervento che auspicai nell’articolo di questa rubrica “Perché sto con Garibaldi” (14 luglio 2019), che registrò il consenso di molti lettori.
Resta aperto il problema del collegamento tra città e mare e del superamento della barriera rappresentata da viale Italia. Ma non c’è alternativa: l’unica soluzione è quella che prevede l’interramento del viale per consentire il deflusso del traffico veicolare sotto la superficie pedonale ed il sistema del verde -i Giardini- come elemento di connessione tra la città storica ed il fronte a mare. In modo che il verde, come succedeva un tempo, quando c’era il “prado”, arrivi al mare
E’ un’opera costosa? Certamente. Proprio per questo ha bisogno di finanziamenti pubblici consistenti, regionali ed europei tramite la Regione. Non è impossibile: a patto che la Regione superi la logica, tutta politica, della dispersione delle risorse a pioggia in tanti micro progetti finalizzati al consenso elettorale.
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A proposito di Soprintendenza: merita l’elogio anche per il vincolo posto all’edificio di via Biassa 93, la “casa torre”. E’ un’altra buona notizia. Rimando all’articolo di questa rubrica “La Spezia medievale, il palazzo di via Biassa e l’enigma della Loggia” (5 maggio 2019), scritto perché l’edificio “non venga demolito o ne vengano almeno preservate le testimonianze di epoca medievale”. La Sovrintendenza ha riconosciuto che si tratta di un edificio che conserva almeno 700 anni di storia, con una prima impronta medievale.
La “casa torre” era stata classificata come edificio di valore storico dal Piano Urbanistico Comunale approvato nel 2003. Purtroppo il Piano casa approvato dalla Regione nel 2009 ha consentito, in deroga al Piano Urbanistico Comunale, la presentazione di un progetto di demolizione-ricostruzione ad opera del privato proprietario. Ora, grazie alla Soprintendenza, il progetto non può più essere attuato nella forma originaria.
Ma qual è il rischio? E’ che ora il privato rinunci ad ogni intervento perché troppo costoso, e che il bene resti abbandonato. Nell’epoca in cui si teorizza che il mercato possa e debba fare tutto, anche questo piccolo caso dimostra invece che non è così. Servono risorse pubbliche, ma con una progettualità più estesa, che ambisca non solo a recuperare un edificio privato ma anche e soprattutto a ridefinire un ambito della città, quello medievale. Serve che torni in campo l’urbanistica civile, come si fece a cavallo del millennio con il POI (Piano Organico Integrato) del centro storico, con il quale il Comune finanziò, dentro un disegno unitario, interventi sia pubblici che privati. Si tratta, anche in questo caso, di scegliere: non è che le risorse non ci siano, è che bisogna decidere come utilizzarle.
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Un’altra notizia è che il progetto per la realizzazione di una centrale a turbogas a Vallegrande dovrà essere sottoposto a Via (Valutazione di impatto ambientale). Lo ha deciso la Commissione tecnica del Ministero dell’Ambiente. Il pronunciamento, che dovrà essere tramutato in decreto dal Ministero, stabilisce che anche se la riconversione consente una “riduzione degli impatti ambientali rispetto all’attuale configurazione impiantistica è necessaria una puntuale analisi da eseguirsi nell’ambito di una procedura di Valutazione di impatto ambientale”.
E’ una buona notizia? Sì, la è. La città potrà sostenere, in sede di discussione della Via, la sua argomentazione di fondo: che “oggi è del tutto inconcepibile che si possa anche solo pensare di costruire una centrale elettrica di grossa taglia, anche a gas, nel cuore di un centro abitato, in mezzo alle case, in un territorio stretto tra mare e colline” (si veda, in questa rubrica, l’articolo “Enel, i due argomenti forti della città”, 2 febbraio 2020).
Ma non dobbiamo illuderci: la Via potrebbe concludersi con un parere positivo, in virtù di quella che la Commissione ministeriale definisce “riduzione degli impatti ambientali”. Quindi la notizia è buona, ma fino ad un certo punto.
La città deve sostenere la sua argomentazione di fondo, al di là della Via. E’ la prima volta che può farlo dal 1957, quando fu autorizzata, dal Governo di allora, la centrale a carbone. Dopo il 1957 si è sempre potuto agire per diminuire l’impatto ambientale di una centrale autorizzata, ma non per dismetterla. Oggi l’Enel chiede una nuova autorizzazione, per costruire una nuova centrale. E’ un’occasione che non possiamo perdere: se la perdessimo, significherebbe avere una nuova centrale in città per altri sessant’anni.
La novità, rispetto al 1957, è che, in materia energetica, non decide solo il Governo. Serve, dopo una legge, del 2002, l’intesa con la Regione: il Ministro delle attività produttive non può per legge -nel caso di mancata intesa con la Regione- emanare l’autorizzazione finale alla costruzione di un impianto energetico (si veda, in questa rubrica, l’articolo “Un po’ di luce sull’Enel”, 22 settembre 2019). La Regione, invece che aspettare la Via, dovrebbe dire subito che non darà mai l’intesa al Ministero per realizzare un’altra centrale a Spezia in mezzo alle case: questa sì che sarebbe una buona notizia.
In attesa di questa buona notizia, dalla Regione arrivano intanto cattive notizie sulla sanità e sul nuovo Ospedale. Ne scriverò domenica prossima.
Post scriptum:
Da tredici anni non pratico la politica “tradizionalmente intesa”. Ne sono quindi molto lontano. In particolare, sono lontano anni luce dal modo di fare politica del consigliere comunale di Forza Italia Cenerini. Non rispondo mai, quindi, ai suoi frequenti attacchi, sempre aggressivi e scomposti, alla mia persona. Lo faccio oggi, in risposta al suo articolo “Pci, la follia comunista sulle foibe”, apparso su “Città della Spezia” il 14 febbraio, solo per il rispetto che porto alla comunità di esuli istriani della Spezia, alla quale, da Sindaco, sono sempre stato vicino, ancor prima che fosse istituito il Giorno del Ricordo. Per simboleggiare questa vicinanza il 10 febbraio 2007 accompagnai al Quirinale Giuseppe Sincich, un amico nel frattempo purtroppo scomparso. Sincich, quel giorno, ricevette dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in memoria del padre Giuseppe, un diploma e una medaglia commemorativa. Fu una partecipazione, la mia, alla quale diedi la giusta e dovuta risonanza politica. Giuseppe Sincich, nativo di Fiume, antifascista, esponente dell’autonomismo fiumano, fu prelevato dalla sua abitazione di Fiume dalla polizia segreta jugoslava il 3 maggio 1945 e passato per le armi, probabilmente il giorno stesso. Con il figlio e con altri esuli, come Vittorio Sopracase, ho discusso a lungo, per molti anni, delle loro vicende. La prima ricerca sull’esodo risale al 1980, e fu opera dell’Istituto Storico della Resistenza di Trieste. Il momento più alto della riflessione vi fu dieci anni fa, nel 2010, quando Napolitano ed i suoi colleghi sloveno e croato resero omaggio, a Trieste, al monumento dedicato all’esodo degli italiani provocato dai comunisti titini ed alla casa del popolo slovena incendiata dai fascisti nel 1920. Due simboli delle tragedie subite da entrambe le comunità. Nessun popolo è stato solo vittima o carnefice: se non si dice questo, il Giorno del Ricordo si trasforma in un brutto giorno di propaganda e di strumentalizzazione.
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