Bruno Brizzi e la Costituzione come bussola
Città della Spezia – 20 Ottobre 2013 – Un uomo sotto i riflettori, che passeggia sul palco con il microfono in mano, e il pubblico, sotto, ad applaudire. Mi sta bene a teatro, ma non in politica: perché vuol dire che la massa è diventata pubblico e ha un ruolo subordinato e passivo, e che il leader è l’unico titolare della scena, in una sorta di spazio vuoto nel quale sviluppa e afferma il suo potere. Per questo non sono berlusconiano, né grillino, e nemmeno renziano (anche se ovviamente vedo bene le differenze tra i tre). Non metto certo in discussione la necessità del leader, ma la modernità è davvero una figura di leader di questo tipo? E’ in questa direzione che deve andare la democrazia italiana? La verità è che la maggioranza di questo Paese oggi non si sente rappresentata. Né da Berlusconi, né da Grillo, né da Renzi. La verità è che qualsiasi progetto politico e sociale, se non si fonda sulla partecipazione, non va da nessuna parte. Ma noi paghiamo il fatto che in questi ultimi vent’anni la cultura del leaderismo ha preso il posto della partecipazione diffusa: ecco perché i poteri dell’economia e della finanza e le lobbies hanno molta più forza della rappresentanza democratica (per giunta eletta con il Porcellum), e degli stessi Berlusconi, Grillo e Renzi. Loro parlano sul palco o in tv, ma il potere vero sta altrove. L’importante, quindi, è soprattutto costruire partecipazione. Per questo mi sono sentito meglio sabato 12 ottobre a Roma, alla manifestazione “La via maestra”: grazie a Gustavo Zagrebelsky che diceva “Io vorrei che foste tutti qui, sul palco”, e a Maurizio Landini che concludeva con un “Prendiamoci per mano” rivolto al nostro comune cammino futuro. Mi ha fatto venire in mente don Andrea Gallo, che è stato con noi grazie allo striscione della Comunità di San Benedetto al Porto, e poi al ricordo di don Ciotti. Il vero leader, dunque, è colui che suscita partecipazione. E che mostra di saper rappresentare una storia che diventa futuro. Zagrebelsky, Landini, Ciotti, Rodotà sabato lo hanno fatto, mettendo al centro di una grande manifestazione di popolo la Costituzione.
E’ alla Costituzione che vorrei dedicare la seconda riflessione. “La difesa della Costituzione -è scritto nel documento “La via maestra”- non è un assurdo atteggiamento conservatore, superato dai tempi. Non abbiamo, forse, oggi più che mai, nella vita d’ogni giorno di tante persone, bisogno di dignità, legalità, giustizia, libertà?”. Invece “si è fatta strada, non per caso e non innocentemente, l’idea che questa Costituzione sia superata; che essa impedisca l’ammodernamento del nostro Paese; che i diritti individuali e collettivi siano un freno allo sviluppo economico; che la solidarietà sia parola vuota; che i drammi e la disperazione di individui e famiglie siano un prezzo inevitabile da pagare”. Le riforme da fare, insomma, sono quelle che attuano la Costituzione, non quelle che la stravolgono. Si pensi solo a come gli articoli della Carta consentano di affrontare tutti i problemi del nostro tempo: la povertà e le diseguaglianze (Art. 3), il diritto al lavoro (Art. 4), la laicità (Art. 7), la cultura e il paesaggio (Art. 9), i diritti degli immigrati (Art. 10), la guerra (Art. 11), l’umanità nelle carceri (Art. 27), l’istruzione (Art. 33), il diritto allo studio (Art. 34), la salute (Art. 32), le retribuzioni (Art. 36), la libertà sindacale (Art. 39), il fisco giusto (Art. 53)… Articoli scritti al presente, 65 anni fa, per sottolinearne l’urgenza. Ma non è servito. La Carta è stata calpestata. E oggi si vorrebbe stravolgerla. Non si nega l’esigenza di quella che il professor Alessandro Pizzorusso ha definito “la buona manutenzione costituzionale”: superare il bicameralismo perfetto e ridurre il numero dei parlamentari, per esempio. Ma per questo non c’è alcun bisogno di mettere in moto, come ha fatto la maggioranza delle “larghe intese”, un processo di revisione della Costituzione: bastava approvare le leggi in Parlamento! Se non si è fatto, è perché si vuole attaccare al carro di riforme condivise altre riforme che condivise non sono e che alterano il sistema costituzionale, per spostare ulteriormente il potere in direzione accentratrice, aziendalista e presidenzialista. Rimettere al centro la Costituzione, interpretabile come un progetto politico e sociale di società più giusta, è dunque fondamentale. Non a caso venerdì scorso Nina Leone, operaia Fiat, delegata Fiom, nel riprendere possesso della saletta sindacale da cui le tute blu della Cgil erano state sfrattate nel gennaio 2012 da Marchionne, ha alzato la Costituzione prima di varcare il cancello della storica porta 2 di Mirafiori: “Se non ci fosse stata la nostra Carta non saremmo rientrati. Torniamo grazie a lei”.
La terza riflessione nasce da una frase del Presidente della Repubblica Sandro Pertini, pronunciata in occasione del messaggio di fine anno agli italiani del 1979, citata da Antonio Padellaro nella manifestazione romana: “Dietro ogni articolo della Carta Costituzionale stanno centinaia di giovani morti nella Resistenza”. E’ una frase che meglio di ogni altra evidenzia il nesso indistruttibile, di “consanguineità”, tra Resistenza e Costituzione. Alla manifestazione sono andato con gli amici e compagni dell’Anpi di Lerici: il nostro striscione è stato il più applaudito, dietro ad esso hanno sfilato tre partigiani, Luigi Fiori “Fra Diavolo”, Piero Guelfi “Danilo” e Giuseppe Cargioli “Sgancia”. Simboli di quella “consanguineità”. Quel giorno, purtroppo, abbiamo appreso della scomparsa di Bruno Brizzi “Cammello”. Gli ero molto affezionato, l’ho conosciuto da ragazzo. Lui era il segretario della sezione Pci di Strà – Marinasco, un militante molto legato al popolo, infaticabile nelle Feste dell’Unità: il ristorante gestito dalla sua sezione era un vero e proprio mito, inventarono loro, mi diceva sempre, le “penne mari e monti”. Dirigente dell’Anpi, fu lui a propormi di sostituire, alla sua scomparsa, Varese Antoni come copresidente del Comitato Unitario della Resistenza: per me era un onore, e gli dissi di sì. E’ l’unico incarico che ho accettato da quando non sono più Sindaco, e il merito è suo. Bruno era malato da tempo, ma fino all’ultimo si è impegnato per raccontare la sua esperienza e consegnarla ai più giovani. Prima che una visione del mondo, o una tesi, era una storia – la sua. Su questa storia ho raccolto un testo inedito, che va dall’adolescenza alla partenza per il parmense e alla costituzione della Banda Beretta, che poi assumerà il nome di Brigata Garibaldi Cento Croci: l’ho pubblicato su questa rubrica il 28 luglio 2013 (“La pastasciutta della memoria e la difesa della Costituzione”). Il resto della storia è nella raccolta di lettere di partigiani italiani “Io sono l’ultimo”: il primo scontro armato, le azioni di disturbo e i feroci rastrellamenti nazifascisti, il ferimento nel luglio del ’44, il ricovero a Albareto e l’umanità protettiva della gente di montagna, l’incontro con Maria “Mery”, che diventerà la compagna della sua vita, la morte eroica dell’amico Nino Siligato, Medaglia d’Oro… La storia di Bruno ha anche una tesi, espressa alla fine: “Chi ci chiamava a partecipare a una guerra non conosciuta, dove non vi erano caserme per proteggerci, approvvigionamenti sicuri, riforniti di niente? Sicuramente la nostra scelta non era l’avventura, ma la ribellione contro un regime oppressore della libertà. Nessuno di noi, comprese le donne, ricevette una cartolina di precetto per salire ai monti. E’ stata una nostra libera scelta”. Bruno ci spiega così la lezione più bella della Resistenza: nella vita noi possiamo e dobbiamo scegliere la libertà, non rassegnarci alle fatalità (oggi si chiamano “necessità”). L’ultima volta che ci vedemmo, a casa sua, lui mi disse: “Siamo purtroppo una razza in estinzione”. Con lui, nei mesi scorsi, se ne sono andati in tanti: ricordo, per tutti, Pietro Zuccarelli, eroe del’epica battaglia del Lago Santo, e Folco Giromini, che fu poi segretario della Cgil scuola, poeta e scrittore. C’è un pensiero che ci riguarda tutti: chi testimonierà per i testimoni? Chi raccoglierà la loro memoria? Come ha detto lo scrittore Paolo Di Paolo: “Bisognerà fare i conti sempre più spesso con queste assenze, con l’idea che il paesaggio della nostra memoria novecentesca viva queste mutilazioni. I nostri padri e nonni partigiani se ne vanno, e ci lasciano su una strada su cui è difficile non sentirsi disorientati”. Ci restano i libri e i dvd, ma bisogna riflettere su come tener viva la storia. Per evitare che qualcuno un giorno si svegli e dica “non è vera”.
Popularity: 6%