Autunno 1943. La nascita del CLN e la tipografia clandestina
Città dalla Spezia, 22 ottobre 2023
VERSO L’UNITA’ ANTIFASCISTA
Pochi giorni dopo il 25 luglio 1943 – il giorno della caduta del fascismo – le organizzazioni politiche antifasciste si riunirono anche alla Spezia, creando un Comitato. Si riunivano a casa del professor Piero Morelli, liberale: c’erano anche i rappresentanti dei partiti democristiano, socialista e comunista. Manifesti e volantini antifascisti unitari furono affissi e diffusi in vari punti della città, come ho raccontato nell’articolo di questa rubrica “25 luglio 1943, non fu solo un’illusione”. Le strutture dei partiti erano però ancora molto deboli.
Dopo l’8 settembre 1943 le riunioni ripresero in casa del maestro e industriale Giovanni Bissi, socialista. Conosciamo questa storia grazie ai documenti di archivio e agli scritti di Pietro Beghi, dirigente d’azienda, socialista, che fu a lungo segretario del CLN, fino alla Liberazione.
Il CLN nacque in ottobre. Oltre a Beghi c’erano il prof. Ennio Carando per il PCI, l’avv. Paolo Borachia per la DC, il dott. Carlo Alberto Naef per il Partito Liberale. Si riunivano presso la sede della banca Naef o a Levanto a casa di Carando. All’inizio i democristiani erano titubanti, preoccupati per il ruolo dei comunisti e contrari alla resistenza in armi, ma poi le divergenze in parte si appianarono e la DC diede l’adesione. I tedeschi avevano occupato l’Italia e riportato Mussolini al potere: la necessità della resistenza in armi risultò a poco a poco evidente a tutti. Mancavano i rappresentanti del Partito d’Azione, giudicato scarsamente attento alle norme cospirative: la loro adesione avvenne soltanto nella primavera del 1944. All’inizio il CLN fu comunque diviso e poco attivo: conquistò un ruolo solo con il passare dei mesi grazie alle spinte dal basso. Un brano del “Diario in tempo di guerra” di Paolo Borachia ci fa cogliere bene le difficoltà della fase iniziale:
“Nei primi momenti si trattava di decidere quali forme extra legali avrebbero potuto essere iniziate. Erano discussioni molto vaghe; Carando sosteneva che queste iniziative bisognava prenderle qualunque fosse stato il risultato pratico. Gli altri, ed io tra questi, non erano affatto d’accordo. La mentalità appariva diversa; noi sentivamo che non si dovevano affrontare dei rischi solo ‘per affrontarli’. E lui rispondeva con una mentalità rigida e dura: ‘Tutte le persone che si fossero compromesse in episodi extralegali, sarebbero poi state impegnate a continuare sulla stessa via’”.
In una delle prime riunioni si decise di dar vita a un Comitato di agitazione sindacale. Il PCI vi designò Mario Ragozzini, il PSI Rolando Locori, la DC Augusto Ravecca.
Ma nel testo “Note sull’organizzazione del partito nella Liguria”, non firmato e senza data, scritto certamente dal dirigente comunista Giancarlo Pajetta, probabilmente a fine 1943, si legge:
“A La Spezia vi è un CLN che non funziona bene”.
Tuttavia, come vedremo nell’articolo di domenica prossima, sabotaggi e iniziative non mancarono sia in città che nei centri principali della provincia – non ancora ai monti – da ottobre fino a tutto il 1943. Azioni effettuate innanzitutto dai comunisti. Antonio Bianchi, nel suo libro “Storia del movimento operaio di La Spezia e Lunigiana”, scrive che “ai primi di novembre si tiene una importante riunione presenti i fratelli Ballani, Giovanni Albertini, Anselmo Corsini, Tommaso Lupi ed il prof. Ennio Carando”, in cui si decisero azioni importanti, tra cui l’organizzazione di una tipografia per la stampa clandestina, della quale fu incaricato Tommaso Lupi, operaio, appena uscito dal carcere fascista di Lucera (Foggia).
TOMMASO LUPI ALLA ROCCHETTA DI LERICI
Lupi non fu liberato, a differenza di altri, dopo il 25 luglio. Fece lo sciopero della fame e uscì solo l’11 settembre. Dopo un viaggio di quindici giorni a piedi, poi in treno, tra mille insidie, tornò nella sua Lerici in ottobre. Leggiamo brani di una sua testimonianza, rilasciata nel 1964: un dattiloscritto dal titolo “La stampa clandestina antifascista e antinazista alla Spezia. Dal novembre 1943 al settembre 1944 (Storia di una tipografia)”. La riunione citata da Bianchi viene confermata:
“Dopo alcuni giorni presi contatto con un gruppo di comunisti, parte reduci dal carcere e dal confino, parte compagni che avevano diretto il partito nella clandestinità negli ultimi tempi.
Fu ad una riunione in casa del compagno Mario Pelacchi che vi trovai il Prof. Ennio Carando, Anselmo Corsini, Terzo Ballani ed altri, ove venne deciso di costituire un’organizzazione efficiente di partito con il proprio apparato direttivo, con la nomina di alcuni rappresentanti del partito nei vari Comuni più importanti e prendere contatto anche con elementi di altri partiti per un’azione più vasta. La lotta si profilava durissima con l’occupazione nazista; con la costituzione della Repubblica di Salò e con la famigerata X Mas alla Spezia. A me venne dato l’incarico di costituire il partito e la lotta nel Comune di Lerici e venne pure discusso di impiantare una tipografia clandestina per poter stampare tutto il materiale occorrente per alimentare la battaglia e la lotta antinazifascista, sia essa condotta dal partito comunista, sia condotta con organismi politici unitari, la cui costituzione anche alla Spezia si stava effettuando.
Venne dato incarico ai compagni Luciano Albertini e Anselmo Corsini di trovare una macchina tipografica e il posto dove collocarla. Mancava però l’elemento idoneo che avrebbe dovuto dirigere tale tipografia e farla funzionare regolarmente. Mi si chiese se ero disposto a dirigere questo importante lavoro e se anche tecnicamente ne avevo la capacità. Accettai l’incarico senza esitare affermando che anche dal punto di visto tecnico potevo svolgere questo lavoro avendo lavorato da giovane come tipografo a Lerici nella tipografia ‘Santonè’.
Dopo una quindicina di giorni mi venne comunicato che la macchina tipografica era stata acquistata e che era già sul posto ove avrebbe dovuto funzionare.
Ci recammo sul posto per prendere visione della località e della macchina e venne anche con noi il compagno Bertella Argilio della Serra di Lerici che doveva essere il mio diretto collaboratore. Il compagno Bertella era un vecchio antifascista e perseguitato politico.
[…] La macchina tipografica venne installata in un’antica Villa situata in un posto delizioso in una piccola valle del Monte Rocchetta, sopra la Serra di Lerici.
La Villa apparteneva ad una nobile famiglia di conti, la cui ultima discendente aveva sposato un avvocato di Carrara che aderiva al movimento antifascista. Interpellato, diede il suo consenso a metterla a disposizione.
La Villa era composta di due piani e sotto le cantine. Vi era un’ampia cisterna di acqua piovana con rubinetti interni in cucina. Ad un lato della casa vi era un’antica cappella gentilizia in piena efficienza, ove gli antichi padroni, durante la loro permanenza estiva, facevano dir messa dal parroco della Serra. La casa era circondata da un vastissimo parco di alberi secolari, che nascondevano addirittura la casa per buoni tre quarti. Si accedeva alla Villa attraverso un’antica mulattiera, e soltanto a cinquanta metri di distanza ci si trovava di fronte al fabbricato, come un’improvvisa scoperta. Si entrava da un cancello di ferro e si entrava in casa dopo aver attraversato un grande spiazzo, una specie di ‘aia’ pavimentato da grandi lastre di pietra, ed in centro a questo vi era un’apertura quadrata coperta con una pietra. Da questa apertura ci si calava dentro una grande cisterna asciutta e da molti anni fuori uso.
Ma ritornando alla macchina tipografica, era una vecchia pedalina ma ancora in ottime condizioni e vi si poteva stampare regolarmente anche dei giornali a formato ridotto.
I compagni che erano stati incaricati di questo acquisto avevano provveduto a comperare una grande quantità di caratteri tipografici di varie misure, ‘nuovi di zecca’ e pertanto mai usati. Feci costruire diversi appositi cassetti con i vari comparti e stabilimmo chi dovevano essere i compagni che avrebbero mantenuto il collegamento diretto con noi per il rifornimento della carta, inchiostro, ecc.; per le direttive e il materiale da stampare e per il ritiro della stampa prodotta. I compagni scelti furono Armando Isoppo e Alfredo Ghidoni, residenti nel Comune di Lerici e che erano dei bravi attivisti del movimento comunista e antifascista. La macchina la installammo nelle cantine e dopo alcuni giorni di prove e di preparativi stampammo il primo manifestino che era un appello ai lavoratori delle fabbriche, alla popolazione, alle donne, ai giovani. Specie a questi ultimi erano rivolti degli appelli particolari per la loro adesione alle formazioni partigiane e per non aderire alla chiamata della RSI. Si iniziò pure a stampare alternativamente ‘L’Unità’ in quattro paginette e anche per il Comitato di Liberazione Nazionale di La Spezia che aveva iniziato la sua attività.
Erano migliaia e migliaia di copie di volantini, di giornaletti, di appelli che alimentavano la lotta; validi strumenti di informazione e di direttive politiche che penetravano ovunque; nelle fabbriche, nelle case, nei locali pubblici.
La macchina quando era in moto faceva un certo rumore e ce ne preoccupavamo per il fatto che la strada mulattiera passava proprio davanti alla casa e, facendo alcune prove, dalla strada si sentiva il rumore. Rari erano quelli che transitavano da quella strada perché tutti ormai si servivano di quella carrozzabile per andare alla Rocchetta, ma il pericolo esisteva anche se stampavamo negli orari più idonei. Studiammo pertanto di cambiare posto e decidemmo di collocare la macchina entro la grande cisterna fuori uso che si trovava sotto il grande spiazzo sopra citato. Decidemmo di turare la vecchia apertura e di crearne una ex novo. Questo spiazzo era stato formato da un terrapieno che tutto attorno era circondato da mura. Stabilimmo di bucare un muro di fianco e di scavare una galleria orizzontale che ci portasse direttamente alla cisterna; cosa non molto difficile perché si trattava di terra riportata, e la cosa più difficile fu bucare il muro della cisterna che era fatto in piena regola di pietra calcarea e di una buona calce che era diventata più dura del cemento. Ci vollero parecchi giorni per bucare questa parete, per collocare la galleria sotterranea, per collocare la macchina e per chiudere l’apertura superiore. Riprendemmo a stampare. Poiché eravamo privi di corrente elettrica, adoperavamo una lampada acetilene che andava a carburo e che, per dir la verità, non funzionava troppo bene; a volte sembrava che si spegnesse, a volte sprigionava una luce accecante.
Il lavoro aumentava e forti e pressanti erano le richieste del partito e del CLN”.
La tipografia operò fino al settembre 1944, quando fu scoperta. La sua produzione fu importantissima: manifestini che invitavano la gioventù spezzina a non presentarsi alla chiamata alle armi della Repubblica Sociale; appelli per gli scioperi operai; volantini in lingua tedesca che invitavano i fascisti a disertare.
C’ERANO ANCHE LE DONNE
A dare una mano alla tipografia c’erano anche le donne. Come Lina Isoppo, sorella di Armando e moglie di Alfredo Ghidoni. Leggiamo il racconto della figlia Graziella:
“In quel periodo mio padre talvolta portava a casa dei pacchi di cui inizialmente non conoscevamo il contenuto, in seguito lui ci informò che si trattava di risme di carta. La sera, dopo cena, quando faceva buio egli si allontanava da casa con uno zaino sulle spalle in cui aveva riposto parte di quelle risme, rientrava qualche ora dopo portando nello zaino altri pacchi del cui contenuto la mamma fu messa al cor-rente. Si trattava di stampa clandestina che, sotto la for¬ma di volantini, veniva distribuita nelle fabbriche della città. Chiaramente si trattava di propaganda antifascista. Talora la carta arrivava con il vaporetto che faceva servizio tra Lerici e La Spezia, con la complicità di un marinaio che provvedeva a scaricarla sul pontile di attracco; la mamma, dopo averla presa in consegna, tornava a casa mescolandosi con gli operai e i passeggeri che erano scesi dal battello. Spesso, dopocena, quando mio padre con il suo carico usciva di casa, ci univamo a lui per un buon tratto di strada lungo la collina, poi ci salutavamo, e mentre la mamma e io tornava¬mo a casa, lo vedevamo allontanarsi nel crepuscolo con il suo passo cadenzato, curvo sotto il peso che aveva sulle spalle”.
Post scriptum:
Dedico questo articolo ad Antonio Franciosi, scomparso nei giorni scorsi. Ho collaborato molto con lui, nei suoi diversi ruoli: nell’ANPI, nella CGIL, nel PSI. Era un militante capace e una persona perbene, sempre in prima fila per la giustizia e la libertà. Fu anche un maestro, un “insegnante per passione”, formatosi nel Sessantotto. Ha ricordato questa sua esperienza in una bella testimonianza in “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”. Eccone un brano:
“Di quella scuola [le elementari di Fossitermi] ho il ricordo di un’esperienza entusiasmante, il Direttore era Pietro Cavallini. Al mattino c’erano gli insegnanti di ruolo, al pomeriggio gli sperimentatori, scelti dal Direttore. Facevamo le rotazioni tra noi: non c’era più il maestro unico. Cominciammo ad inserire gli handicappati, che allora erano a Gaggiola, nelle scuole differenziali. Si facevano i laboratori… Io seguivo il laboratorio di chimica. Andavo in giro per la città a cercare il materiale per il laboratorio: in Provincia, da un amico che lavorava alla Raffineria Shell, nelle falegnamerie… Cercavamo di fare una scuola diversa, una scuola viva, attiva, in cui anche il bambino imparava a sperimentare. Avevamo una tipografia, un laboratorio di fotografia, uno di teatro. Fu importante anche il ruolo di Luigia Rosaia, diventata Assessore alla Pubblica Istruzione, che ci appoggiò. I genitori si dividevano tra favorevoli e contrari. I conservatori volevano la scuola tradizionale: scrivere, fare i conti, il dettato, il riassunto. Noi insegnavamo anche a criticare, e questo faceva paura. C’era chi, tra i genitori, era contrario all’inserimento degli handicappati: temevano che impedisse ai loro figli di studiare, invece aveva un grande valore educativo, perché i bambini imparavano a convivere con la diversità”.
Una lezione contro il conformismo e l’autoritarismo che è più che mai attuale.
La fotografia in alto, scattata nel 2021, è della lapide in ricordo della tipografia clandestina della Rocchetta.
La fotografia in basso è di Lina Isoppo: fa parte dell’archivio della figlia Graziella Ghidoni.
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