Alle urne vince la lotta alle oligarchie E’ una lezione per la sinistra
Città della Spezia, 26 giugno 2016 – Gli elettori Cinque Stelle non sono “nuovi barbari” ma cittadini che vogliono partecipare e decidere
Non sono un grillino. Non condivido il mito del web come “nuovo potere orizzontale”, credo al contrario che il web sia manipolabile e falsificabile quanto la nostra povera democrazia rappresentativa. Preferisco, inoltre, chi sa esprimere dubbi rispetto a chi urla e presume di avere ragione su tutto (su questo Grillo non è poi così diverso da Renzi e Berlusconi: tre casi di presunzione patologica). E tuttavia avrei votato, senza incertezze, per Raggi e Appendino a Roma e a Torino, come ho scritto su questo giornale(“Forse il Pd di Renzi ha ballato una sola estate”, 17 giugno 2016). Bisogna smettere di semplificare: siamo obbligati a capire sul serio il fenomeno dei Cinque Stelle, e a misurarci con una realtà in forte divenire. I grillini, contrariamente a quel che ci dicono tante interpretazioni superficiali, sono prevalentemente orientati a sinistra. Sono degli “indignati”, cresciuti all’ombra di una visione ecologista e post industriale, individualista e comunitarista al tempo stesso. Il loro programma elettorale del 2013 è stato giudicato dal “Comparative Manifesto Project”, un autorevole gruppo di ricerca internazionale che studia il profilo ideologico dei vari partiti sulla base dei loro documenti programmatici, il più a sinistra di tutti, molto più di quello di Sel.Eppure gli elettori dei Cinque Stelle si distribuiscono abbastanza uniformemente lungo tutto l’asse destra-sinistra: non sono concentrati a sinistra, tutt’altro. Il movimento vive quindi una “ambiguità”, come ha rilevato il politologo Piero Ignazi: “ha un elettorato trasversale ma un programma e, soprattutto, una classe parlamentare (e in parte locale) prevalentemente orientata a sinistra”. Una contraddizione che, finora, “è stata superata dall’indignazione nei confronti della politica italiana”, dall’insofferenza, spinta fino alla repulsione, per la politica e i partiti tradizionali, come dimostra anche il recente successo elettorale. Un altro schema interpretativo da cui bisogna liberarsi, come ci ha ricordato Stefano Rodotà, è quello dell’antipolitica: in realtà i pentastellati vanno alla ricerca di un’altra politica, a partire da un bisogno di rappresentanza, sovranità popolare, partecipazione e trasparenza non più soddisfatto dal “governo dall’alto” dei partiti esistenti, di cui si coglie l’ormai consolidata deriva oligarchica.La ricerca di un’altra politica riguarda inoltre la questione sociale e la “dignità” del lavoratore e della persona: perché le oligarchie producono l’esclusione non solo dai diritti politici di partecipazione ma anche dai diritti sociali. Io sono cresciuto all’ombra della cultura socialista dell’eguaglianza, della solidarietà, della redistribuzione del reddito, e sono fortemente preoccupato perché trent’anni di egemonia neoliberista hanno creato molte generazioni quasi ignare di questa cultura, tant’è che il cambiamento di valori riguarda in pieno anche la leadership dei partiti cosiddetti di sinistra. Ebbene: si può e si deve discutere della proposta del M5S sul reddito minimo garantito, ma non c’è dubbio che si tratti di un elemento essenziale per la ricostruzione delle basi materiali della dignità umana e sociale.Piantiamola, dunque, con i vecchi slogan, che sono il segno di una classe dirigente cieca che non capisce nulla di movimenti sociali così rilevanti. Qualche settimana fa Jean-Claude Juncker, Presidente della Commissione europea, ha attaccato i populisti mettendo sullo stesso piano Donald Trump e Beppe Grillo. E’ lo stesso pensiero di Renzi, ma per fortuna non è quello della maggioranza degli italiani. L’ora della politica dello struzzo, in particolare per il Pd, è finita. Lo ha spiegato bene Lucia Annunziata: “Con sufficiente sicurezza si può dire che con gli umori che attraversano oggi le urne, il referendum sulle riforme di ottobre è destinato a sicuro insuccesso. E con sicurezza maggiore si può anche azzardare a dire che se si votasse oggi per le politiche, sulla base dei risultati delle amministrative, Palazzo Chigi sarebbe perso per Renzi”.
La sfida che attende i Cinque Stelle
Per i Cinque Stelle è arrivatoil tempo delle scelte. Il primo ad accorgersene è stato Beppe Grillo: il suo passo di lato era la conditio sine qua non per consentire la istituzionalizzazione della sua creatura.Anche se resta ferma l’idea di non trasformarsi in un partito, il M5S non può non procedere sulla via di una almeno relativa istituzionalizzazione.Far vivere la tensione “rivoluzionaria” iniziale nella nuova fase dell’impegno riformatore di governo, coniugare la vecchia carica anti-sistema con il “buongoverno” senza che ciò comporti l’omologazione con gli altri partiti: è questa la grande sfida che attende il movimento. Una sfida che si può vincere a patto chesovranità popolare e partecipazione non si esprimano solamente nel momento del voto ma siano un processo continuo. Il M5S, per farcela, deve cioè avere un legame forte con i cittadini e la società civile, e puntare sempre a ridurre l’enorme distanza tra governanti e governati.
Tutto nasce dal fallimento di destra e sinistra
Ma cosa c’è all’origine del fenomeno grillino? Il fallimento parallelo di destra e sinistra. Oggi possiamo tirare un bilancio dell’ultimo ventennio: dopo Tangentopoli, la scomparsa dei grandi partiti e l’era berlusconiana durata vent’anni, con il breve intermezzo dei due Governi Prodi, ci siamo impantanati nella palude. C’è stata l’alternanza, ma nessuno ha saputo risolvere i problemi del Paese.Destra e sinistra sono due campi di macerie: la destra non ha un leader, ed è divisa tra lepenismo e moderatismo improvvisato; la sinistra ha un leader, ma non hapiù un partito e ha perduto un’identità storico-politica e un patrimonio di popolo. E’ evidente che il M5S si è trovato davanti un vuoto, e che l’ha riempito. Leggiamo, per ciò che riguarda la sinistra, l’analisi dello storico Leonardo Paggi: “Si dovrà prima o poi passare al setaccio, per ricostruire una cultura della sinistra degna di questo nome, le mille ambiguità e incongruenze che hanno segnato i Governi di centrosinistra. Ossia trovare le ragioni politiche e programmatiche della loro incapacità di costruire nel corso di un ventennio una vera alternativa a Berlusconi che perderà la sua centralità non perché battuto politicamente, ma perché incastrato dal potere giudiziario che ha infamato per un ventennio. Il progetto di un riformismo di governo nato dalla temperie del 1989 è fallito miseramente, mettendo in piena luce la inservibilità della cultura del movimento operaio come di quella di ispirazione liberaldemocratica, secondo un copione che viene recitato del resto in tutta Europa. In questo processo si consuma la credibilità non solo di culture politiche, ma di interi gruppi dirigenti, e si determina il successo della (finta) rottamazione”.
Decisivi sono gli anni tra 2011 e 2013. Caduto Berlusconi, non si segue la via maestra delle elezioni. Il Governo Monti adotta la politica di austerity e avvia l’”unità nazionale”, fortemente voluta dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Ma in questo modo il sistema politico italiano si decompone definitivamente. Le elezioni del 2013 rappresentano il primo rigetto di una classe politica sistematicamente inadempiente e segnano il successo del M5S. Comincia allora un’isterica campagna contro il populismo, il rischio di ingovernabilità, il danno per l’Europa, e così via. Ci sono due forzature: prima il Governo Letta, poi il GovernoRenzi. Si vuole contenere il M5S, ma si arriva al risultato opposto: l’agonia del Pd. Il voto d domenica ci dice con chiarezza che un disegno è clamorosamente fallito: vince ancora il M5S, tutti i partiti hanno perso peso e forza, e non riesce il tentativo di Renzidi appropriarsi di alcuni temi grillini per affossare il tripolarismo italiano e svuotare il sentimento antipartitico e anti-casta. Anzi, Renzi stanca sempre più una larga fetta dell’elettorato, in particolare quella giovanile e popolare. Il Rottamatore è diventato il Leader del Sistema: la difesa delle consorterie familistiche che hanno spolpato le banche popolari, e non dei risparmiatori ingannati, è emblematica di questa rapida trasformazione del giovane politico di Rignano sull’Arno.
La domanda strategica che sta davanti alla sinistra
Le forze a sinistra del Pd hanno avuto un risultato elettorale negativo. Chi non vota più Pd vota M5S o si astiene, non vota per la sinistra. Il filosofo Michele Prospero ha così espresso la domanda strategica che pesa sul destino della sinistra: “E’ più semplice la conversione del movimento di Grillo in un equivalente italiano di Podemos o la riconquista delPd da parte della minoranza di sinistra?”. Molto dipenderà, scrive Prospero, dall’esito del referendum di ottobre: se Renzi dovesse essere nuovamente sconfitto, comincerà un’altra stagione politica. Io non sono molto ottimista sulla possibilità di rilanciare i valori del socialismo. Ho conosciuto il Pd e la sinistra radicale, e ho perso molte speranze. Sono convinto che serva un approccio gramsciano: la sfida culturale, delle idee, deve cioè precedere la sfida politica. E questo è un lavoro di lunga lena. Ma intanto non sono per arricciare il naso davanti ai populismi. Bisogna prendere atto che il popolo italiano, e quello lavoratore in particolare, sta cercando una strada, oltre il fallimento di tutta la sinistra, sia quella di governo che quella di opposizione. Come scrive Paggi, occorre “cercare il contatto con le esplosioni di questa spontaneità, che ancora una volta non deve essere ignorata ma compresa e rischiarata nelle sue radici profonde”. Aggiungo una considerazione: è giusto dire che molto dipenderà dal referendum di ottobre, ma va detto anche che solo se l’elettorato si convince che esiste un’alternativa a Renzi può davvero bocciare il suo referendum. E oggi l’alternativa a Renzi è il M5S.
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