Addio al Gabbiano, cinquant’anni di arte e libertà
Città della Spezia, 27 maggio 2018 – Era il 18 febbraio 1968. Nella nostra città, nell’anno della contestazione studentesca e della rivolta in tutto il mondo, nacque “Il Gabbiano”, circolo culturale e galleria espositiva, in via don Minzoni. L’attività iniziò con l’importante mostra del pittore livornese Corrado Carmassi, figura di rilievo dell’astrattismo italiano. I fondatori furono 12: Fernando Andolcetti, Ettore Bonessio di Terzet, Elia Brunetti, Cosimo Cimino, Giovanni Cosenza, Carlo Giovannoni, Mauro Manfredi, Ernestino Mezzani, Clara Milani, Giovanna Nuti, Giuseppe Saturno e Giuliano Tonelli. Dopo 4-5 anni qualcuno uscì, per molto tempo rimasero in sei: Andolcetti, Cimino, Giovannoni, Manfredi, Milani e Saturno, tutti esponenti dell’astrattismo o dell’arte concettuale. Dei fondatori due, Andolcetti e Cimino, sono ancora in vita e in ottima forma: sono loro, insieme a Mario Commone, a condurre il circolo e a organizzare le mostre.
Quella visitabile fino a ieri, “La Gabbia”, era la mostra numero 560: il che vuol dire 10-12 mostre all’anno per cinquant’anni. Un’attività che ha del prodigioso. “Il Gabbiano” ha ospitato grandi artisti da tutto il mondo e i talenti locali e ha dato un contributo importante alla sprovincializzazione della città. Peccato che la numero 560 sia stata l’ultima mostra: la sede attuale, in via Ricciardi, è stata infatti messa in vendita dal Comune, che ne è il proprietario.
“Nel ’68 c’era una grande vivacità e creatività in città -mi raccontano Andolcetti e Cimino- ora tutto è piatto… Con la nostra chiusura non ci saranno più gallerie in città, a parte l’Ucai”. Ha scritto il critico Valerio Cremolini, riferendosi a quel febbraio ’68: “È un tempo di grandi fermenti, e ‘Il Gabbiano’ si fa carico di una centralità di tutto rispetto nella divul¬gazione dell’arte e, soprattutto, nell’ag¬giornare su quanto emerge nella ricer¬ca artistica. La galleria rappresenta il luogo dove incontrarsi e discutere, la sede idonea per conoscere e giudicare l’attualità e le diverse proposte che es¬sa diffonde, l’ambito di verifica della creatività nazionale e di quella locale. Tutto, ma non il commercio dell’opera d’arte, né la dimensione mercantile del¬lo spazio”. I due fondatori confermano: “Se si vendeva lo si faceva per investire. Siamo stati più un circolo culturale che una galleria”.
Con la chiusura del “Gabbiano” un mondo se ne va, un’epoca scompare. In via don Minzoni si tenevano conferenze, presentazioni di libri, performance. Erano di casa Giorgio Cozzani, il collezionista donatore delle opere del CAMeC, i nostri grandi pittori, da Gino Bellani ad Angelo Prini, da Enzo Bartolozzi a Mauro Fabiani… “Una specie di cenacolo, un presidio di arte e libertà”, spiegano Andolcetti e Cimino. In mostre personali o collettive sono state esposte opere, cito a caso, di Fausto Melotti, Le Corbusier, Otto Dix, Lucio Fontana, Pablo Picasso, Paul Klee, Giuseppe Capogrossi, Remo Brindisi, Gillo Dorfles (che, racconta Andolcetti, suonò il pianoforte a casa sua per tutta la notte), Edo Murtic, Franz Ringel, Ugo Nespolo, Marino Marini, Enrico Baj, Mario Schifano, Karel Appel, Emilio Vedova, Oskar Kokoschka… E poi del gruppo Cobra, del gruppo Fluxus, degli artisti della poesia visiva…
Ho bellissimi ricordi della collaborazione del “Gabbiano” con il Comune. Con le loro mostre Spezia ha girato il mondo. L’ esposizione “Esercizi di Stile” viaggiò più di tutte. La mostra rimanda al testo di Raymond Queneau, “Esercizi di stile”, appunto: come nel libro uno stesso raccontino viene riproposto in 99 variazioni, così la mostra offre 99 rivisitazioni di un noto dipinto, Mademoiselle Rivière, di Jean A. Dominique Ingres. La mostra, dopo essere stata presentata alla Palazzina delle Arti, andò in Finlandia, Olanda, Cipro, Egitto, Canada, Francia e in molte città italiane. Altra iniziativa corale ospitata in musei e gallerie in Italia e all’estero fu la mostra “Ad Libitum”: 52 artisti contemporanei, italiani e stranieri, impegnati su “pagine-partiture” in prossimità dell’universo sonoro e musicale. Tutte queste opere sono state poi donate al Comune. “Siamo conosciuti più fuori città che a Spezia”, dicono Andolcetti e Cimino. Che sono anche due grandi artisti: i “Libri d’artista” di Andolcetti, per dirne una, sono anche al MOMA di New York.
La speranza è che tutto ciò non vada perduto. Che qualcuno, o il Comune o la Fondazione Carispezia, possa finanziare una pubblicazione su tutte le mostre del “Gabbiano”: diventerebbe un’opera imprescindibile per la storia della cultura spezzina.
La speranza, poi, è che si riprenda il filo della ricerca della partecipazione e del coinvolgimento di chi fa cultura in città nella gestione delle strutture culturali pubbliche. “Il Gabbiano” è anche un simbolo dell’alleanza che può instaurarsi tra i musei del Comune e gli artisti della città, affinché i musei siano sempre più luoghi sociali e inclusivi, aperti alla voglia di fare cultura degli artisti e di associazioni e gruppi. Ciò vale anche per i teatri e le biblioteche. Un banco di prova è il futuro del Centro Culturale Giovanile “Dialma Ruggiero”, vera e propria “casa delle associazioni”. Che si proceda alla gestione tramite bando è giusto, ma va evitata la privatizzazione di fatto, con l’affidamento a soggetti esterni alla città nel nome del “fare cassa”. Il “Dialma” deve essere uno spazio pubblico e non privato, affidato alla libera e autonoma gestione delle associazioni locali, con la supervisione e il controllo del Comune.
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