Presentazione di “Tra utopia e realismo. Appunti sul Sessantotto” – Venerdì 27 Settembre ore 18 – Massa – Biblioteca Diocesana, dialogo tra Giorgio Pagano e Carmine Mazzacappa
20 Settembre 2024 – 09:34

Presentazione di
“Tra utopia e realismo. Appunti sul Sessantotto”
Venerdì 27 Settembre ore 18
Massa – Biblioteca Diocesana
dialogo tra Giorgio Pagano e Carmine Mazzacappa
Presentazione di “Tra utopia e realismo. Appunti sul Sessantotto” – Venerdì 27 Settembre ore 18 …

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A Spezia e in Italia c’è ancora bisogno dell’industria

a cura di in data 19 Settembre 2024 – 20:42

Lavoratori della Ceramica Vaccari – anni Sessanta
(foto Archivio per una storia del lavoro in Val di Magra)

Città della Spezia 11 febbraio 2024

BUONE NOTIZIE PER L’EX CERAMICA VACCARI
Quando ho proposto, mesi fa, al Comune di Santo Stefano Magra un’iniziativa di riflessione storica e di omaggio ai lavoratori della Ceramica Vaccari – che si è tenuta sabato scorso – l’ho fatto a partire da due punti di vista. Il primo costituisce una delle ragioni del mio lavoro di storico: la scelta di reagire a quella che già nel 1986 gli storici Franco Andreucci e Gabriele Turi definivano “la progressiva emarginazione, quasi la scomparsa o la ghettizzazione della storia del movimento operaio e della classe operaia”. Il secondo, strettamente connesso al primo, è tutto proiettato sul futuro: sono convinto che senza il lavoro manifatturiero e senza la dignità dei lavoratori non ci sia futuro, per Spezia e per l’Italia.
Ho quindi apprezzato che il Comune abbia aderito alla proposta e che in questi mesi abbia costruito un progetto per il futuro dell’area industriale dismessa, che è stato presentato nel convegno di sabato. Nell’immediato si darà vita, in una piccola parte dell’area, a un Ecomuseo che ricorderà la produzione di piastrelle che ha reso la Vaccari famosa nel mondo: un museo sulla storia della fabbrica, con pannelli informativi e un laboratorio in cui riqualificare i mosaici esistenti in provincia e costruire un nuovo mosaico da realizzare in piazza Garibaldi a Santo Stefano. Già questa è una buona notizia. L’altra buona notizia è che un’impresa industriale ad alta tecnologia ha acquisito gran parte dell’area per bonificarla e utilizzarla per un progetto produttivo che dovrà essere condiviso con il Comune. Se il proposito si realizzasse, avrebbe finalmente un coronamento la lotta per il lavoro e per l’occupazione dei lavoratori della Ceramica, iniziata alla fine degli anni Cinquanta e culminata nelle due occupazioni della fabbrica – quella del 1965 e quella del 1972, durata otto mesi e mezzo – che ho raccontato in una relazione al convegno.
Il futuro di Spezia e dell’Italia non può infatti reggersi sul turismo e sulla logistica, che pure sono due componenti importanti del modello di sviluppo. Ero Sindaco quando Spezia, a cavallo del millennio, si dotò di un Piano Urbanistico e di un Piano Strategico che puntavano decisamente sul turismo e sul porto e la logistica. In quel periodo nacque il Parco nazionale delle Cinque Terre, quando non tutti ci credevano. Mi presero per matto quando realizzai l’ostello della gioventù a Biassa, o acquistai l’area degradata del Poggio, una vergogna in pieno centro storico, per rivenderla a un privato che offrisse di realizzare un hotel. Ma i fatti mi hanno dato ragione. Ho voluto unire il porto, senza più interruzioni interne, ma con confini netti: a ovest, per restituire Calata Paita alla città (e non solo ai turisti); e a est, per non costruire nuove banchine portuali – come molti volevano – in tutta l’area allora occupata dai cantieri in crisi, e per poterli riconvertire in moderni cantieri della nautica. A est del porto il piano si è compiuto, e Spezia è in questo modo rimasta città “anche” industriale. Non “solo” industriale, come prima della svolta, ma “anche” industriale. Perché è l’industria tecnologica che crea veri posti di lavoro: genera alta produttività e ha bisogno di lavoratori qualificati.

CONTRO IL CALO DEMOGRAFICO E LA FUGA DEI GIOVANI ALL’ESTERO
Quelle ascoltate nel capannone dell’ex Vaccari sono buone notizie perché rischiamo di ricordare questo inizio del 2024 per il contemporaneo smantellamento di due grandi fabbriche che hanno fatto la storia del dopoguerra italiano: Mirafiori a Torino e l’impianto siderurgico di Taranto. Ma che Paese è un Paese che non produce automobili e importa l’acciaio? E’ un Paese piccolo, caratterizzato dal nanismo imprenditoriale: da microaziende incapaci di crescere al di fuori dei mercati locali e bisognose di risorse pubbliche, molte delle quali obbligate per sopravvivere a uscire dalle regole, non pagando il fisco e sfruttando i lavoratori. Un Paese sempre più invecchiato. Non risolveremo mai l’enorme problema del calo demografico senza creare lavoro qualificato, dignitoso e ben pagato. Tutti i dati ci dicono che le donne fanno più figli dove lavorano di più. Nei Paesi più avanzati rispetto all’Italia. Da noi, in Trentino Alto Adige, dove i tassi di occupazione femminile sono vicini a quelli medi europei, i tassi di fecondità sono oltre 1,5; mentre in Calabria, dove i tassi di occupazione femminile sono sotto il 40%, i tassi di fecondità sono inferiori alla media italiana. Così come, senza creare lavoro qualificato, dignitoso e ben pagato, non risolveremo mai l’altro enorme problema: la fuga dei giovani all’estero. Il 13% della popolazione italiana risiede all’estero: un cambiamento epocale. Il 61% dei giovani, riferisce il Censis, dichiara che se ne avesse le possibilità se ne andrebbe dall’Italia. 82 mila l’anno espatriano e non tornano più, il 46% di loro ha la laurea. La verità è che i nostri giovani hanno voglia di lavorare e seguono le aziende, anche all’estero, che offrono migliori condizioni di lavoro.

COME SAREMO NEL 2053?
Guendalina Anzolin e Simone Gasperin, due giovani economisti autori del libro “30+1 cifre che raccontano l’Italia. L’economia nazionale alla prova dei numeri”, così descrivono Firenze nel 2053. Ma potrebbe essere anche Spezia:
“Siamo nella torrida estate del 2053. Un turista indonesiano in visita a Firenze si affretta a rientrare al fresco del suo appartamento affittato per 500 euro a notte. Giunto in prossimità dell’ingresso, inciampa su una buca del marciapiede e si ferisce a una gamba. Non è grave, ma non può camminare e ha bisogno di cure mediche. Due turisti italiani di passaggio, originari di Palermo ma emigrati in Germania, accolgono il malcapitato a bordo della loro Wolkswagen elettrica appena uscita dallo stabilimento di Zwickau e lo portano all’ospedale di Careggi, da anni proprietà del gruppo sanitario privato UnitedHealthcare. Al costo di 1000 euro, la ferita dell’infortunato viene guarita con dei punti applicati tramite un robot progettato e costruito in Giappone”.
E’ uno spaccato plausibile se si prosegue con le politiche di questi anni: austerity neoliberista, finanziarizzazione dell’economia, assenza di una politica industriale.
I giovani saranno disoccupati al 50%, la metà della popolazione avrà più di 65 anni.
Possiamo evitare questo scenario solo con una svolta profonda: una moderna economia della conoscenza trainata dagli investimenti, dalla ricerca e dai saperi tecnico-scientifici impiegati nella produzione di beni e servizi innovativi, attrattiva per i nuovi lavoratori, al posto della vecchia economia della rendita finanziaria e immobiliare, del turismo che spinge fuori città gli abitanti originari, dei lavoretti precari, dei bassi salari e dei tagli allo Stato sociale, fino alla privatizzazione di tutti i servizi. Sì, perché l’abbandono dell’industria e dei settori ad alto valore aggiunto sono andate di pari passo a un tracollo degli indicatori sociali: in Italia 2,9 milioni di persone lavorano irregolarmente, i salari – unico caso nei Paesi Ocse – sono diminuiti dal 1990, il 14% della popolazione vive in condizioni di povertà relativa. L’obiettivo è forse una popolazione stremata, che in quanto tale non potrà mai essere un soggetto politico che partecipa attivamente alla vita democratica.
Al bar si dice: “E’ la globalizzazione!”. Ma ciò non spiega perché in altri Paesi l’industria si sviluppi, crescano gli investimenti in ricerca, ci siano il salario minimo e il reddito di cittadinanza.

Lavoratori della Ceramica Vaccari – anni Sessanta
(foto Archivio per una storia del lavoro in Val di Magra)

L’OTTIMISMO DELLA VOLONTA’
Raddrizzare lo scenario è difficile. Per Spezia le possibilità, però, non mancano. Non ci sono solo le aree ex Vaccari. Ci sono anche le aree Enel. E c’è un Arsenale vuoto, in cui non ha alcun senso realizzare il progetto Basi Blu – nuovi moli per le navi della Nato, nessun posto di lavoro in più – mentre la demilitarizzazione-riconversione aprirebbe grandi prospettive.
E c’è ancora una sensibilità per la dignità del lavoro, che è la vera eredità morale e politica dei ceramisti della Vaccari e della classe operaia spezzina. Un operaio della Vaccari, Giuseppe Testa, mi ha raccontato: “Quando ti ammalavi, i primi tre giorni non ti davano niente. Se un compagno stava in malattia si faceva la colletta”.
E’ una sensibilità che viene dalla Resistenza e dalla Costituzione, nel cui testo il concetto di dignità è ancorato a una dimensione sociale attraverso principi innovativi che devono tornare a guidare la politica. La Costituzione sembra dirci: “Non abbiate paura, ci sono qui io a proteggervi”. Ma ci dice anche: “Partecipate, assumetevi le vostre responsabilità”. Come ha scritto il filosofo Mario Ricciardi per “gli orfani del comunismo e i delusi del riformismo, i fedeli che credono in un dio di amore e non di battaglie, e gli atei che non si rassegnano al nichilismo” è arrivato il momento di scegliere.
Ci resta l’ottimismo della volontà. Sappiamo che il presente è il risultato della politica di Berlusconi e della destra, ma anche della cosiddetta sinistra infatuata delle privatizzazioni. E se era Renzi a dire “Tra Landini e Marchionne, io sto con Marchionne senza se e senza ma”, dall’allora opposizione di destra non si levò neppure una voce critica. Tuttavia, anche se siamo stremati, le piazze non sono vuote e le coscienze non sono tutte assopite. Forse le condizioni per cambiare sono meno lontane di quanto si possa vedere dai palazzi della politica.

Le fotografie di oggi rappresentano lavoratori della Ceramica Vaccari negli anni Sessanta; provengono dall’Archivio per una storia del lavoro in Val di Magra.

lucidellacitta2011@gmail.com

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