La forza delle donne africane
Città della Spezia, 11 ottobre 2015 – La nostra “equipa” aveva bisogno di una segretaria: è stata fatta una selezione mediante avviso pubblico, e la scelta è caduta su Admila Pires, studentessa universitaria di 22 anni (la vedete nella foto in basso). La cosa che mi ha subito colpito è che Admila è di Rosa Lembà, il villaggio più povero e isolato del Distretto di Lembà, quello che mi ha procurato più dolore nel visitarlo. Che una ragazza di Rosa Lembà possa arrivare all’Università è la prova che, nonostante tutto, le cose a Sao Tomè e in Africa possono davvero cambiare. Admila, figlia di un agricoltore -coltiva cacao, cannella, manioca, matabala- e di una casalinga, ha sette fratelli, due femmine e cinque maschi. Ha frequentato la scuola di base a Rosa Lembà e quella secondaria a Neves, raggiungibile con un lungo viaggio. Ora frequenta l’Università pubblica nella capitale, studia turismo. Nel suo corso sono in trenta: venti maschi, dieci femmine. E’ stato veramente difficile, ma ce l’ha fatta. Difficile per le condizioni economiche della famiglia, e per ragioni culturali: nel villaggio predomina la mentalità maschilista e conservatrice, secondo cui una ragazza deve stare in famiglia e non deve studiare, tantomeno fuori casa, libera tra tanti uomini. Per fortuna il padre l’ha aiutata in tutti i modi, fatto molto raro.
Il ruolo della donna nella società saotomense è ancora di subalternità all’uomo, ma ci sono donne che hanno acquisito ruoli di primo piano. In questi giorni non vivo a Lembà, ma nella capitale, perché ho molti incontri con i Ministeri: tra i dirigenti e i funzionari ho trovato giovani donne molto in gamba. Cresce il numero delle donne che lavorano e che sono economicamente indipendenti. Le religioni, mi spiegano gli amici saotomensi, aiutano a far crescere la consapevolezza dell’eguaglianza tra i sessi. Anche quando le donne sono casalinghe, o per dir meglio impegnate nell’economia “informale”, svolgono un ruolo decisivo. E sempre meno se ne stanno silenti. A Diogo Vaz, un altro villaggio molto povero del Distretto, una casalinga mi ha fermato per raccontarmi tutto quello che non va dal punto di vista ambientale e igienico, poi mi ha invitato in casa, o meglio in baracca: è la donna della foto in alto. Nella baracca ci piove dentro, ma l’interno è pulito e decoroso, come potete vedere. Una prova di dignità, che è alla base di ogni riscatto. Ho scritto di due donne, potrei citarne altre: le donne, non c’è dubbio, sono la spina dorsale dell’Africa.
Ricordo che qualche anno fa mi impegnai nella campagna “L’Africa cammina con i piedi delle donne”, a sostegno dell’assegnazione del Premio Nobel per la Pace alle donne africane (si veda l’articolo “Il Nobel per la Pace alle donne africane”, Il Secolo XIX, 18 aprile 2010, leggibile su www.associazioneculturalemediterraneo.com).
La proposta era certamente atipica, ma aveva lo straordinario valore di lanciare una mobilitazione internazionale per far conoscere il protagonismo delle donne africane e per privilegiare nei rapporti di cooperazione proprio le donne e le loro organizzazioni. E’ un’idea ancora valida, che andrebbe ripresa. Mi viene spesso in mente qui a Sao Tomè, quando vedo le donne sempre in movimento, a lavorare i campi, a vendere i prodotti per strada, ad accudire i figli, a provvedere cibo, acqua, salute, cura. Il lavoro delle donne è l’attività umana maggiormente vitale, anche se un’economia patriarcale che definisce l’economia solo come mercato la tratta come non-lavoro. Ma questo “lavoro invisibile” delle donne mostra la via all’umana sopravvivenza e al benessere futuro.
Giorgio Pagano
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