Il cioccolato più buono del mondo
Città della Spezia, 25ottobre 2015 – Ho incontrato Claudio Corallo, il “re del cioccolato”, la domenica in cui ero a Principe. L’appuntamento era fissato per le 16,30 nella sua casa di Terreiro Velho, una ex piantagione coloniale nel sudest dell’isola. Sono arrivato puntualissimo, in pick up su una strada malridotta come poche. Sulla mia sinistra ho notato una vecchia casa senza porte e finestre, e ho pensato a uno dei tanti edifici ex coloniali abbandonati che punteggiano l’isola. Di fronte, sulla destra, ho visto subito dopo Corallo, seduto su una sedia bianca di plastica a leggere un libro e ad ammirare un panorama spettacolare (quello che vedete nella foto in alto).
Sono sceso, e dopo qualche convenevole e qualche foto, sono entrato in casa sua, cioè in quel vecchio edificio che credevo dismesso. Corallo intende ristrutturarlo, ma bene: come a lui piace fare le cose. Quindi ci metterà del tempo. Nel frattempo vive a lume di candela, come mi sono accorto quando, dopo un po’, è calato il buio (all’Equatore il sole tramonta presto, tra le 17 e le 17,30).
Claudio Corallo è fiorentino, e parla il fiorentino, anche se vive a Sao Tomè e Principe da trent’anni: arrivò nel 1992, possiede la piantagione di Terreiro Velho dal 1997, prima era stato in Zaire e in Bolivia. Specializzato in agronomia tropicale, si è sempre dedicato al cacao e al caffè. A Principe -e a Sao Tomè, nella piantagione Nova Moca- Corallo coltiva e produce anche caffè, da un pugno di piante da cui ricava il caffè arabica “libeira”: “la qualità del caffè è altissima, ma la produzione è poca perché non c’è lo stress termico”, mi spiega. Quello stress nella torrefazione -temperature alte e tempi corti- che è alla radice, dice lui, del successo del suo cioccolato, da tanti definito “the best chocolate in the world” (la rassegna stampa in cui si ritrova questo giudizio è amplissima: dalla BBC a New Statesman, dal National Geographic al Corriere della Sera) . Il cacao di Sao Tomè e Principe è “buono e nobile”, continua, “ma non è il più buono del mondo: lo è il mio cioccolato, ma ciò dipende dalle cure, dalle tecniche, dai metodi di lavoro”. Insomma, “il segreto sta nella trasformazione del cacao e nel suo processo di produzione”, e ovviamente solo lui lo conosce. Non lo conosce nemmeno chi lavora con lui, proprio perché è un “segreto”. Tutto conta: la potatura delle piante, la raccolta, il processo di fermentazione, l’essiccazione -in essiccatoi non solari ma termici, per produrre il famoso stress- e la torrefazione. Mentre mi racconta Corallo mi offre l’unico distillato al mondo estratto dalla polpa di cacao: straordinario, a 65 gradi! E pezzi del suo cioccolato: il 100%; quello che contiene il distillato; quello al 73%, con granelli di cacao, e poi quelli allo zenzero e alle scorze di arancio. Li avevo già assaggiati non solo a Sao Tomè, dove si comprano al supermercato, ma anche in Italia, nel ristorante “Fontanafredda” a Sorgnano di Carrara, gestito dalle sorelle Paola e Raffaella e dal fratello Francesco (nella foto in basso, di Enrico Amici, ammirate il cioccolato di Corallo abbinato al Luteraia, vino nobile di Montepulciano). A Fontanafredda “si mangia bene e si spende poco”, come si usa dire: significa che il cioccolato di Corallo arriva là dove, in tutto il mondo, ci sono consumatori critici e accorti. Naturalmente, e Corallo ne è fiero, arriva anche e soprattutto nei ristoranti più famosi: “a Parigi siamo nei primi sei ristoranti e a Londra nei templi del cioccolato”, mi spiega.
Che il “cioccolato più buono del mondo” derivi dalla capacità, quasi un’ossessione, di Corallo, non ho dubbi. Ma da profano, innamorato, come del resto lo è Corallo, di Sao Tomè e Principe, penso che un po’ di merito ce l’abbia anche il cacao di queste “isole al centro del mondo”. Del resto l’originalità del cioccolato di Corallo è che “sa di cacao”, un gusto e un aroma che sembrano ormai perduti. In questi mesi ho girato per tante piantagioni, ho visitato essiccatoi, nei giorni scorsi ho pure dormito a Monteforte in una casa a lume di candela come quella di Corallo, dove di notte senti solo l’odore del cacao e i grugniti dei maiali. Dovunque ho mangiato fave di cacao e devo dire che sono veramente buone. Per sbucciare una fava basta prenderla tra pollice e indice e comprimerla leggermente contro una superficie dura: la buccia si rompe e si assaggia il frutto divino (Theobroma cacao”, dal greco “bevanda divina”, è il nome scientifico della pianta). Corallo mi ha spiegato che le fave di Principe sono speciali. Quando arrivò a Terreiro Velho la foresta aveva completamente invaso la piantagione: lui ripulì il sottobosco e ripiantò gli alberi della “foresta d’ombra” che erano stati tagliati per fare legna, fino a ricreare l’ambiente ideale alla crescita del frutto di un tempo. In sostanza Corallo è riuscito a risalire ai vecchi semi, ormai praticamente scomparsi, e li ha trasformati, grazie a un processo di produzione speciale, nel cioccolato numero 1. Quindi -penso che Corallo sia d’accordo- l’onore va reso anche a queste vecchie fave.
Lo dico anche perché io vorrei che anche altri, a Sao Tomè e Principe, producessero il cioccolato. Vuole farlo la cooperativa di cacao biologico CECAB: spero ci riesca. Oggi il cacao viene venduto alle grandi aziende straniere che producono il cioccolato nei loro Paesi, lasciando poche briciole a Sao Tomè e Principe. Corallo, pur facendo un prodotto di nicchia, dà lavoro a 350 famiglie. Quanta ricchezza, quanto lavoro verrebbero nel Paese se si riuscisse a produrre cioccolato! Naturalmente bisognerebbe risolvere molti problemi, quello dei saperi e delle tecniche soprattutto, ma anche, e non sembri un dettaglio, quello dei trasporti per l’estero: gli aerei saotomensi non sono a norma, non fanno caricare le merci per l’export. Corallo si lamenta molto, e ha ragione: è costretto a tenere il cioccolato in frigorifero, perché non riesce a trasportarlo. Nel nostro Piano puntiamo a far sì che Sao Tomè e Principe esporti anche pesce e frutta, freschi o trasformati: ma senza aerei non si va da nessuna parte! Non a caso la questione del potenziamento dell’aeroporto di Sao Tomè è stato al centro del recentissimo incontro a Londra tra i Paesi donatori e il Governo di Sao Tomè e Principe.
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Qualche notizia, infine, sulla storia del cacao a Sao Tomè e Principe, la spiegazione di un celebre modo di dire e, anche questa settimana, una ricetta. Fu attorno al 1819 – 1822 che i brasiliani portarono dall’altro lato dell’Atlantico a Sao Tomè e Principe la pianta del cacao. Occupati allora con le loro redditizie piantagioni di caffè, i coloni agricoltori portoghesi, inizialmente, non apprezzarono molto la pianta, ma il cacao incontrò in un personaggio straordinario, Joao Maria de Sousa e Almeida, il Barone di Agua Izé, un difensore di quello che considerava l’”albero dei poveri”. Non per molto. Pochi anni dopo, la quotazione internazionale del cacao raggiunse prezzi impensabili e coloro che lo producevano facevano, in un istante, favolose fortune. Anche in Italia: si racconta che un ricco cioccolataio di Genova fu scambiato per il re quando si presentò all’inaugurazione del teatro Carlo Felice, nel 1828, su una carrozza molto lussuosa. Essendo la carrozza del re molto più piccola, si dice che la gente mormorò: “il re ha fatto una figura da cioccolataio”. Ecco, dunque, la spiegazione di un modo di dire rimasto fino ai nostri giorni. L’”albero dei ricchi” si sviluppava bene a Sao Tomè e Principe e il cacao delle piantagioni aveva, oltretutto, qualità impareggiabili. Nel 1881 le esportazioni erano di circa 500 tonnellate, nel 1898 raggiungevano le 10 mila tonnellate e, nel 1905, Sao Tomé e Principe era l’orgoglioso primo produttore mondiale di cacao. Più o meno in questo periodo iniziò la campagna degli inglesi, raccontata nel romanzo “Equatore”, contro il cacao “schiavo” e “con odore di carne” delle isole, svalutandolo. A questo si aggiunsero gli errori tecnici nelle piantagioni, con la soppressione della foresta d’ombra, un periodo prolungato di siccità e gli effetti della Prima Guerra Mondiale sul commercio internazionale, tre motivi che segnarono l’inizio del declino dell’era d’oro del cacao a Sao Tomé e Principe. Terminata la Seconda Guerra Mondiale, verso gli anni 50 del secolo scorso, erano ormai pochi gli agricoltori che vivevano di cacao e solo le grandi imprese sopravvivevano, nonostante il costo. Fino a che il Paese conquistò l’indipendenza (1975), gli agricoltori avevano regolato la capacità e la qualità della produzione alle esigenze del mercato internazionale, equilibrando i conti e approfittando della crescente democratizzazione mondiale del cibo degli dei. Con l’indipendenza subentrò lo Stato, e la sua burocrazia. Produzione, produttività ed esportazione diminuirono. La situazione non migliorò con la riforma fondiaria e la privatizzazione del 1992, anzi. Prima di questa data la superficie coltivata a cacao era di 24.000 ettari, da allora calò progressivamente. L’operaio agricolo non è diventato, nella gran parte dei casi, un piccolo agricoltore, ma un contadino che coltiva puntando all’autosussistenza. Il cacao è stato in molti casi sostituito dalle culture alimentari (frutta e orticultura), dal pepe e dalla vaniglia, e anche dall’urbanizzazione. Sono mancate l’assistenza tecnica, la formazione, le linee di credito… Ma il quadro non è tutto buio. Negli ultimi anni alcune roças sono state recuperate. Non ci sono solo Corallo e la CECAB, c’è anche la CECAQ (Cooperativa del Cacao di Qualità), che ha la certificazione internazionale della produzione biologica e del commercio equo e solidale. E tante altre piccole imprese, associazioni, cooperative. Spesso, ancora oggi, l’eccellente cacao delle “isole al centro del mondo” è prodotto con la qualità che gli ha dato fama internazionale. Il compito del nostro Piano di Sviluppo di Lembà è quello di sostenere queste piccole imprese, associazioni, cooperative, perché crescano produzione, produttività ed esportazione. A tal fine proponiamo infrastrutture, ricerca e formazione, accompagnamento scientifico e tecnico, microcredito… Per un prodotto che sia sempre più di qualità. Ed ecco, infine, una ricetta saotomense con il cioccolato di Claudio Corallo, tratta dal libro “Sapori della nostra terra” (si veda “Tutti i sapori di Sao Tomè”, 4 ottobre 2015). Ho scelto l’ananas cucinato nel vino con cioccolato: fate uno sciroppo con vino rosso e zucchero, poi inserite le rondelle di ananas e fate cuocere, profumando con un po’ di cannella in polvere. Tirate fuori l’ananas, mettetelo in un piatto e grattugiate il cioccolato mentre l’ananas è ancora caldo. Decorate, infine, il piatto con scaglie di cioccolato. Se non è la ricetta per la felicità, poco ci manca!
Giorgio Pagano
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