Ce la faremo?
Città della Spezia, 8 novembre 2015 – Ormai siamo a buon punto nel nostro lavoro: il Piano Distrettuale Integrato di Sviluppo Sostenibile e Inclusivo di Lembà ha preso forma. Abbiamo tenuto decine di riunioni e assemblee, tanto che ormai per strada spesso ci riconoscono! Insomma, abbiamo ricercato -come voluto dall’Unione europea, ma io non saprei lavorare diversamente a un Piano- la partecipazione attiva della società civile e delle diverse comunità. E abbiamo letto una grande mole di documenti e di analisi. Tra i due lunghi periodi trascorsi a Sao Tomè ce n’è stato uno passato in Italia, interamente dedicato alla lettura di questi testi: migliaia di pagine in portoghese, qualche volta in inglese o in francese. Il 22 e il 23 ottobre, finalmente, abbiamo organizzato due Consulte pubbliche, una a livello distrettuale, cioè locale, l’altra a livello nazionale, con gli esponenti dei diversi Ministeri e degli enti e associazioni di carattere, appunto, nazionale. Nei due incontri, molto partecipati, abbiamo presentato e discusso le prime linee di lavoro del Piano.
Sulla base di una diagnosi dei problemi e delle potenzialità del Distretto, sono stati individuati i quattro assi strategici della “Visione” di “Lembà 2030”: istituzioni locali riformate e più forti, con un potere effettivo; uno sviluppo sostenibile e inclusivo basato su una pluralità di vocazioni produttive, con al centro il turismo sostenibile; un indice di sviluppo umano elevato, che combatta la povertà e le diseguaglianze e il degrado ambientale; una società unita sulla base di valori culturali ed etici di rispetto per il prossimo e per l’ambiente, che veda i cittadini attivi e protagonisti sempre, non solo al momento del voto. Alla “Visione” è coerente il “Piano di Azioni”, che propone dieci “Progetti bandiera”, considerati prioritari e “simbolici”, per ognuno dei quali sono stati individuati i soggetti attuatori.
Il primo tra questi è l’istituzione dello “Sportello del cittadino”, per decentrare e migliorare alcuni servizi e prestazioni oggi tutti forniti dallo Stato nella capitale e garantire ai Distretti, che riscuoterebbero le relative tasse e imposte, l’autonomia impositiva, della quale oggi sono privi. Il rafforzamento delle autonomie locali, strumenti fondamentali con cui lo Stato coinvolge e rende partecipe la società civile, è decisivo, e del tutto coerente con un Piano come il nostro, che insiste sulla necessità del protagonismo collettivo e del coinvolgimento dei cittadini nella visione e nel processo di sviluppo. Senza decentramento non c’è partecipazione, e non c’è sviluppo.
Del secondo, terzo e quarto progetto ho scritto in più occasioni in questa rubrica: la realizzazione della “Strada del cacao” e del “Museo del cacao”, per sviluppare il turismo rurale; la produzione di cioccolato e di farina di fruta-pao per il mercato interno e per l’export; una società pubblico-privata per la pesca e la trasformazione del pescato, anch’essa rivolta al mercato sia nazionale che estero.
Il quinto progetto è l’iniziativa “Foresta modello”, che affronta il tema, di non facile soluzione, della gestione razionale delle risorse naturali, con l’obbiettivo di promuovere contemporaneamente lo sviluppo economico, il miglioramento della qualità della vita delle popolazioni e la protezione dell’ambiente e della biodiversità. Il primo principio di fondo a cui ispirarsi è la partecipazione attiva nella gestione del Parco d’Obò di tutte le entità pubbliche e private e delle popolazioni residenti nelle “zone tampone (di confine)”: è la condizione essenziale per dare attuazione al secondo principio di fondo, cioè la definizione di regole e modelli che diano un ordine e una disciplina alle attività agroforestali, al fine di evitare danni alle risorse naturali. A Sao Tomè e Principe più del 95% della popolazione utilizza risorse provenienti dalla foresta per garantire la sua sopravvivenza. Questa dipendenza è ancora più accentuata nell’ambito rurale -come quello di Lembà- dove c’è carenza di occupazione per giovani e donne. Da qui fenomeni come il taglio della madeira, con l’uso crescente delle motoseghe, per la costruzione di case e imbarcazioni, per la fabbricazione di carbone, per il riscaldamento… Tutte attività che stanno alterando il ritmo climatico. Anche la concessione di terre forestali per l’agricoltura costituisce un pericolo serio: il degrado forestale causato da alcune pratiche dell’agricoltura è in molti casi evidente. L’iniziativa “Foresta Modello”, oltre ad azioni di riforestazione, propone di trasferire la responsabilizzazione della gestione delle foreste alle comunità locali, con la definizione di piani di gestione comunitaria che prevedano, oltre la riforestazione, quali alberi tagliare, ma non in modo indiscriminato, e quali alberi, invece, non tagliare.
Il sesto progetto riguarda la sanità. Il capoluogo del distretto, Neves, è dotato di un Centro di Salute, che ospita attualmente il Pronto Soccorso e i reparti di Maternità, Pediatria e Medicina Interna, per un totale di 42 posti letto. Ha bisogno di un blocco operatorio, della banca del sangue, di un centro di riabilitazione nutrizionale per l’infanzia, di un potenziamento dei laboratori di analisi e degli strumenti diagnostici, di un aumento del numero dei medici, di una riorganizzazione degli spazi dell’edificio, della realizzazione di un refettorio per i malati e per il personale, della risoluzione dei problemi relativi all’acqua potabile, all’elettricità e allo smaltimento dei rifiuti ospedalieri. Il Piano propone inoltre di migliorare, restaurare o ricostruire ex novo i Posti di Salute nei centri minori, e di potenziarli dal punto di vista della presenza dei medici.
Poi l’educazione: il settimo progetto interviene nei settori più critici, la scuola dell’infanzia e, soprattutto, la scuola secondaria (ne ho già scritto in “Una penna e un libro possono cambiare il mondo”, 20 settembre 2015). Aggiungo un dato che non conoscevo ancora: le scuole secondarie nel Distretto arrivano solo fino a un certo anno, poi gli alunni devono addirittura recarsi a Trindade, in un altro Distretto, sobbarcandosi un viaggio lunghissimo. Il Piano propone, quindi, di costruire una nuova scuola secondaria a Neves, e anche, sempre a Neves, nel quartiere di Rosema, una nuova scuola dell’infanzia. E poi c’è bisogno, dovunque, di cattedre, di banchi, di bagni. E di insegnanti preparati.
L’ottavo progetto riguarda l’ambiente. La situazione è molto grave in tutti i settori, si pensi all’acqua non potabile (ma in questo campo è già in corso di realizzazione un impianto che risolverà in buona parte il problema). Ci siamo allora concentrati sui rifiuti, che in gran parte vengono gettati nei terreni incolti. Il piano che proponiamo prevede la separazione dei rifiuti organici dai restanti rifiuti; il compostaggio domestico e comunitario; un centro di separazione, riciclaggio e riutilizzo dei rifiuti solidi; e, per i rifiuti residui, una discarica controllata con recupero del biogas.
Due, infine, i progetti per accrescere la partecipazione e la cittadinanza attiva: la creazione del Consiglio Distrettuale per l’attuazione del Piano di Sviluppo, organo consultivo presieduto dal Presidente della Camara Distrital, composto da rappresentanti dell’Assemblea Distrital, del Governo nazionale e della società civile delle comunità locali; e la creazione di strutture intercomunitarie (comitati di interzona) che si collochino in una posizione intermedia tra le autorità distrettuali e le diverse comunità del Distretto.
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Ce la faremo? Il progetto dura tre anni. Molto dipenderà dalla capacità della Camara Distrital di rafforzarsi e di guidare il processo di attuazione del Piano: la nostra equipa (io no) si fermerà a Neves, con il fine di sostenere la Camara, altri due anni e mezzo.
Dal punto di vista degli obbiettivi fondamentali del Piano, uno di questi dipende da decisioni del Governo nazionale. Mi riferisco alla scelta del turismo sostenibile come opzione chiave dello sviluppo. Un filone di ragionamento per l’economia del Paese -come ho ricordato in “Sviluppo a Sao Tomè, c’è spazio per le imprese italiane”, 16 agosto 2015- è quello della cooperazione economica e dell’integrazione regionale, della complementarietà di Sao Tomè e Principe con i Paesi vicini. Da qui l’idea di costruire un porto di acque profonde nella parte nord dell’isola, considerato essenziale per trasformare STP in un centro di prestazione di servizi per l’Africa Centrale: in sostanza un porto di transhipment, tipo Gioia Tauro in Calabria. Il porto attuale di Ana Chaves, nella capitale, non ha acque profonde: le navi si fermano al largo, poi ci si affida a chiatte. Per lungo tempo i Governi hanno individuato in Neves la sede di questa infrastruttura. Recentemente, invece, il riferimento è all’area di Fernao Dias, più a nord, tra Neves e Sao Tomè. A Neves permane Il porto combustibili, dove opera l’Empresa Nacional de Combustivel (ENCO). Nel Piano diciamo che si deve affrontare e risolvere il problema costituito dal grande rischio per l’ambiente e la sicurezza causato dall’ubicazione di questo impianto in un’area in cui, a causa di uno sviluppo edilizio incontrollato, sono fittissime le abitazioni in legno. A livello nazionale c’è chi pensa a un ampliamento e a uno spostamento del porto combustibili sempre nel Distretto di Lembà, a sud di Neves, a Ponta Prainha. Noi pensiamo che sia più razionale prevedere lo spostamento a nord, in un’area vicina a quella dove è previsto il porto di acque profonde. Ci pare una scelta nell’interesse del Paese, e non solo del Distretto di Lembà. Ovviamente a oggi mancano le risorse per fare ogni cosa. Ma, almeno a livello di previsione, la scelta di spostare il porto combustibili da Neves e di non realizzarlo a Ponta Prainha è decisiva per pensare a un futuro del Distretto non solo industriale, ma basato sull’”economia della varietà”: una pluralità di vocazioni, dall’industria attorno al capoluogo fino all’agricoltura e alla pesca, con una nuova vocazione fondamentale, quella del turismo sostenibile.
La risposta al quesito “ce la faremo?” dipende anche dalle risorse economiche, che, come dicevo, mancano. Sempre nell’articolo “Sviluppo a Sao Tomè, c’è spazio per le imprese italiane” ho scritto della scoperta di giacimenti off shore e della speranza nel petrolio. In un Paese poverissimo io non me la sento di dire: “rinunciate al petrolio”. E tuttavia l’effetto serra è vero, perdiana. Se ne accorgono anche a Sao Tomè (si veda “Papa Francesco e il clima come bene comune”, 23 agosto 2015). Bisogna fermare le emissioni di anidride carbonica, che vengono da carbone, petrolio e gas: se ne discuterà tra pochi giorni a Parigi. Le stesse grandi compagnie petrolifere se ne stanno convincendo e stanno cercando di correre ai ripari, studiando alternative. E poi va detto che la disponibilità di petrolio è troppo alta per poter essere assorbita in tempi brevi: da qui la diminuzione del prezzo di questa materia prima, con tanti Paesi produttori privati della principale fonte delle loro entrate e in difficoltà a mantenere il consenso sociale più o meno ampio “comprato” fino a ieri con i lauti proventi della vendita di un bene un tempo pregiato, oggi a prezzo di realizzo. Insomma, non è il momento, anche volendo, di puntare sul petrolio. Meglio progredire sulla linea suggerita dal Piano: il coinvolgimento delle istituzioni, locali e nazionali, e della società civile come condizione essenziale perché attorno al Piano cresca il “sentimento condiviso di una grande impresa comune”, che favorisca il partenariato tra una pluralità di soggetti attuatori, dallo Stato alla Camara Distrital, dal Parco d’Obò alle imprese private saotomensi e straniere, dalla società civile ai donatori e investitori internazionali. Certo, le imprese sono fondamentali per creare ricchezza e lavoro, ma non bastano. Anche lo Stato e le istituzioni pubbliche, i lavoratori, le organizzazioni della società civile creano ricchezza. La creazione di ricchezza è un processo collettivo e gli esiti di mercato sono il risultato dell’interazione tra tutti questi “creatori di ricchezza”. Pensiamo a Sao Tomè, alle sue scuole, ai suoi ospedali, alle sue infrastrutture ambientali: se non si interviene per risolvere questi problemi, è difficile pensare a imprese che si sviluppino o che arrivino da fuori. Insomma, le imprese hanno bisogno di istituzioni pubbliche rafforzate.
Circa le imprese straniere non riprendo considerazioni fatte più volte in questa rubrica: servono imprese responsabili dal punto di vista sociale e ambientale, non dei predatori. Credo che noi italiani, con il nostro passato coloniale vergognoso anche se rimosso, dovremmo sempre caratterizzarci per questa impostazione anticolonialista. Mi ha colpito, in un Paese come l’Italia che ha fatto degli anniversari il nuovo totem memoriale, i cui giornali nei giorni scorsi hanno dedicato pagine intere ai pur importanti cinquant’anni della trasmissione radiofonica “Bandiera gialla” e agli altrettanto importanti quarant’anni della Pimpa, la cagnolina a pois disegnata da Altan, il silenzio che ha avvolto nelle scorse settimane l’ottantesimo anniversario della guerra d’Etiopia. Abbiamo dimenticato che quello impiantato dall’Italia fascista negli anni Trenta in Africa Orientale fu l’impero più razzista e più vessatorio tra quasi tutti i regimi coloniali delle potenze europee. Le armi chimiche provocarono desolazione e morte di ogni forma di vita umana, animale e selvatica sul terreno, nei fiumi e nei laghi. Fu creata una vera e propria apartheid: gli italiani non potevano sposare le donne nere, ma prendersele sì. La canzone cantata da milioni di italiani euforici era del resto chiara: “Faccetta nera, bella abissina, aspetta e spera che già l’ora si avvicina…”.
Tornando al “ce la faremo?”, in fondo, ed è la conclusione, molto spetta ai saotomensi. L’idea che mi sono fatto è che loro ce la possano fare. Certo, esiste la “povertà spirituale” (“Fuggire dalle vecchie idee”, 26 luglio 2015), e c’è la necessità di una “maggiore coesione sociale” e di “una concezione della vita meno individualistica e più comunitaria” (”La leggenda dell’isola del libero amore”, 2 agosto 2015), ma restano le tracce dell’”umanesimo tollerante”, paradigma della spiritualità africana (“Suor Lucia e il Dio unico della giustizia” e ”Anche in Africa bisogna combattere contro il dio denaro”, 30 agosto e 27 settembre 2015). Il quadro è contraddittorio, ma esistono potenzialità.
Una domenica di luglio ero nella spiaggia della Lagoa Azur a leggere un libro, con me c’era Gildo, l’ex professore oggi autista, e pure lui leggeva un libro. Gli ho detto: “mi sa che siamo gli unici due in tutta l’isola!”. Lui ha sorriso e annuito. A STP esistevano fino a qualche anno fa dei settimanali di carta stampata, ora sono tutti chiusi: la gente si informa sui giornali on-line, alla radio e alla televisione. C’è una sola libreria nella capitale, con pochi libri di autori saotomensi: la poetessa Alda do Espirito Santo, autrice del testo dell’inno nazionale “Independencia total”, il romanziere Albertino Bragança, la poetessa e giornalista Conceiçao Lima… E poi c’è qualche biblioteca nei centri più importanti. Non c’è nemmeno un cinema, ma solo il locale che lo ospitava: funzionava in epoca coloniale, con l’indipendenza dava solo film russi, naturalmente fu chiuso. Tiziano Pisoni, di fatto “rappresentante dell’Italia a STP” (da buon bergamasco è riuscito a creare la nazionale di ciclismo di STP!), mi racconta che quando arrivò, nei primi anni Novanta, i bambini giocavano per strada con le pizze delle pellicole. Negli anni 2000 il cinema fu riaperto da un portoghese, ma richiuse subito, anche perché l’audio era pessimo. Però nei locali dell’ambasciata brasiliana c’è una piccola sala dove ogni tanto si proiettano film, con buona presenza di giovani. La riapertura del cinema, quindi, è un’idea da coltivare. La musica e la danza, invece, hanno una buona tradizione: molti sono i gruppi, “tradizionali” e “moderni”, che suonano all’aperto in locali chiamati “terraços”. La musica ha un’influenza africana, ma anche portoghese e brasiliana. C’è inoltre una buona presenza di pittori, scultori in legno, fotografi… Nella capitale c’è lo spazio CACAU, Casa das Artes, Criaçao, Ambiente, Utopias, un grande capannone, primo spazio di arte contemporanea a STP, dove espongono gli artisti e artigiani locali. Vi si svolge la Biennale di arte contemporanea, per iniziativa di Joao Carlos Silva, un saotomense che è stato giornalista in Portogallo e che ora gestisce la roça di Sao Joao das Angolares e il suo ottimo ristorante. E tra le vie della capitale ho scoperto un luogo autogestito da giovani artisti, una sorta di galleria e di spazio off. Poi c’è il teatro, con il “Tchiloli”, miscela di europeo e di africano: mette in scena la tragedia del Duca di Mantova alla Corte carolingia, mescolando satira, commedia dell’arte e teatro barocco. E naturalmente c’è il calcio: sono stato allo stadio della capitale a vedere la partita STP-Etiopia, vinta da STP uno a zero con un gol in zona Cesarini. Ero con Admila, la nostra giovanissima segretaria, che vedeva per la prima volta una partita: il vero spettacolo era lei, oltre ai tifosi entusiasti che per 90 minuti non hanno cantato o urlato slogan ma ininterrottamente suonato un’assordante cornetta. Non sono del tutto d’accordo con una dirigente della sanità che mi ha detto: “a Sao Tomè si pensa solo al sesso”. A parte il fatto che ci si pensa in tutto il mondo, ho citato qualche dato che dimostra una certa vitalità e creatività culturale del Paese e dei suoi giovani. Non c’è dubbio che non si possono fare così tanti figli a 13-14 anni, con gli uomini che poi se la svignano: questo va detto. Ma non possiamo nemmeno desiderare l’Africa che c’è nel Sudan e in tanti altri Paesi, dove si mutilano ancora i genitali femminili esterni per controllare le donne e impedire il loro piacere, e si cuce la vulva lasciando solo un piccolo foro, allargato parzialmente solo per la prima notte di nozze. Sono le donne che devono decidere se fare sesso o figli: e per farlo devono poter studiare e poi avere un lavoro retribuito. Vale quanto ha scritto Amartya Sen a proposito della Cina e dell’India: “Chi porta il peso maggiore delle gravidanze troppo frequenti e del crescere molti figli sono le giovani madri e la diffusione dell’istruzione e dell’attività retribuita consentono alle giovani donne di avere più voce in capitolo nelle decisioni familiari, voce che tendenzialmente va nella direzione di una limitazione della frequenza delle nascite”. Il futuro è nelle studentesse come Admila, che eserciteranno ogni tipo di professione e cambieranno la mentalità del loro Paese. Il futuro è quello che ho raccontato altre volte: le cooperative che fanno mutualismo, le associazioni e le imprese che vogliono gestire in forma comunitaria il Parco d’Obò, le comunità del volontariato, della solidarietà e della cultura. A STP ho visto l’individualismo e la sporcizia: ma anche quella che oggi si chiama la resilienza delle persone, la gentilezza, la voglia di vivere che supera tutto. Sì, STP e Lembà ce la possono fare.
Giorgio Pagano
Post scriptum: dopo venti puntate del “Diario do centro do mundo” domenica prossima ritornerà la rubrica “Luci della città”.
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