Anche in Africa bisogna combattere contro il dio denaro
Città della Spezia, 27 settembre 2015 – L’Onu, attraverso il suo braccio politico Undp, su sollecitazione del Governo di Sao Tomè e Principe e con il coinvolgimento della società civile ha elaborato nei mesi scorsi il documento “Sao Tomè e Principe 2030. O Pais Que Queremos”, un Relatorio das Aspiraçoes, che si configura come un contributo aperto per la costruzione della Visao 2030 per Sao Tomè e Principe. Quattro sono, secondo il documento, i fattori che condizionano l’avanzata di Sao Tomè e Principe verso la concretizzazione di questa visione: la creazione di uno Stato di diritto, forte e democratico; la conquista di uno sviluppo economico sostenibile e inclusivo e la creazione di occupazione; la risposta alle sfide dello sviluppo umano, con particolare riferimento alla riforma del progetto educativo, che lo radichi nei valori e nella cultura nazionale, alla riorganizzazione del sistema sanitario, al miglioramento della qualità della vita e alla promozione dell’eguaglianza di opportunità tra i cittadini; la costruzione di politiche pubbliche capaci di sviluppare i comportamenti civici e la partecipazione dei cittadini come agenti propulsori dello sviluppo. Il documento, secondo Undp, dovrebbe essere la base per l’elaborazione del Piano di Sviluppo di Sao Tomè e Principe.
La nostra proposta di Piano di Sviluppo Sostenibile e Inclusivo del Distretto di Lembà non può che configurarsi come un contributo a questa discussione, nella consapevolezza che il futuro del Distretto non può prescindere da quello del Paese e che, a sua volta, il futuro del Paese ha una base decisiva nel futuro dei suoi territori e nello sviluppo locale. Stiamo quindi concependo il Piano di Lembà come contributo e parte integrante della Visao 2030 e del Piano di Sviluppo di Sao Tomè e Principe.
Colpisce, nel Relatorio das Aspiraçoes, l’attenzione ai temi dei valori e dei comportamenti dei cittadini, della cultura, del civismo e della partecipazione. Sono davvero temi chiave, senza affrontare i quali ogni Piano di Sviluppo, in qualsiasi Paese o regione o città, rischia di rimanere in un cassetto.
Lo scenario descritto è preoccupante: “Il denaro sta tornando a essere la misura di tutti i valori. Si constata una disgregazione della famiglia saotomense e un degrado dei valori etici, civili e morali in quasi tutti i settori sociali. La mancanza di patriottismo, lo scarso attaccamento al lavoro e l’egoismo si vanno diffondendo come caratteristiche dell’uomo saotomense”. Si pensi alla fragilità degli ecosistemi e alla necessità di superare i tanti comportamenti anti-ambientali delle persone. Non bastano, a tal fine, i pur indispensabili interventi repressivi. Servono valori e comportamenti ispirati al rispetto per il prossimo e per l’ambiente.
Nel Resumo do Relatorio Nacional de Desenvolvimento Humano em Sao Tomè e Principe, un precedente documento della stessa Undp(2014), si afferma: “Di fronte alla difficoltà della classe politica a trovare i consensi che garantiscano la stabilità e lo sviluppo umano, il contributo per raggiungere questi desiderata può passare per una comunicazione sociale più dinamica e una società civile più attiva, avendo il supporto culturale o la saotomensità come leva. E’ la principale piattaforma che è in condizione di servire come fattore di coesione sociale, promotore di fiducia tra i cittadini e di autostima collettiva. Ignorare il contesto culturale significa praticamente condannare all’insuccesso i progetti di sviluppo. Questo processo deve coinvolgere i giovani in età scolare, delle aree urbane e delle comunità rurali. Il campo per la scoperta è vasto. Abbraccia abitudini, costumi e tradizioni; la musica, la danza, le arti figurative, la gastronomia”. I giovani, senza punti di riferimento nel mondo globale, devono trovarli -questa la tesi- nei temi culturali e nell’identità saotomense. Contro l’individualismo imperante, dunque, serve il comunitarismo locale. Ma la dimensione comunitaria non va, a mio parere, radicalizzata. La vera risposta sta nella comunità che non si chiude in se stessa ma diventa solidale e responsabile, entra in relazione con l’altro, si preoccupa e si prende cura dell’altro e della natura.
Il Resumo di Undp così conclude: “Si può suggerire di consegnare alla società civile saotomense, e in modo particolare alla gioventù, il peso delle azioni per avere impatti positivi nella popolazione marginalizzata. Affinché questo diventi realtà è necessario, in primo luogo, che la gioventù saotomense smetta di sperare che lo Stato risolva molti dei problemi fondamentali e prenda la guida delle sfide urgenti che possono essere affrontate senza grandi difficoltà. In secondo luogo, il radicato individualismo saotomense deve lasciar spazio a forme di cooperazione in gruppo o in squadra, principalmente quando si tratta degli aspetti fondamentali dello sviluppo umano. In terzo luogo, si deve promuovere il volontariato, che offre grandi vantaggi non solo per coloro che ricevono direttamente l’aiuto e per l’insieme della società, ma anche per gli stessi volontari. In quarto luogo, c’è da creare una società-rete, la più ampia e diversa possibile. Quante più relazioni locali, nazionali e internazionali entreranno in connessione, più ci saranno opportunità di aprire un varco e meno vulnerabilità di fronte ai problemi complessi. In quinto luogo, è urgente e imprescindibile la creazione di una vita culturale interna, attiva, stimolante e aggregatrice di sforzi per un sentimento di appartenenza a una nazione, con una identità forte e valorizzatrice del patrimonio culturale saotomense. In sesto luogo, c’è da potenziare le organizzazioni della società civile perché esistano interlocutori visibili e con personalità giuridica capaci di sviluppare con efficacia tutti i punti precedenti. Nelle organizzazioni della società civile la gioventù deve trovare e aprire spazi per leader che spingano il Paese verso lo sviluppo umano sostenibile e contribuiscano alla stabilità della vita politica e sociale di Sao Tomè e Principe”.
E’ vero, non tutta la società è malata: la speranza è nelle comunità del volontariato, della solidarietà, della cultura, dell’associazionismo. Che possono contribuire a cambiare la politica. La grande discussione partecipata su Visao 2030 e sui Piani di Sviluppo di Sao Tomè e di Lembà deve servire innanzitutto a questo: a creare capitale sociale, “sentimento di appartenenza”, nuovo spirito civico, cittadinanza attiva, capacità di autogoverno. A stimolare i cittadini, in particolare i giovani, ad andare oltre i propri problemi personali, a esercitare un ruolo nella vita pubblica, a diventare nuovi leader comunitari per lo sviluppo umano e sostenibile. Colpisce che temi e problemi presenti nelle società occidentali siano così sentiti anche in una lontana piccola isola africana. Ogni cultura dà le sue risposte, che alla fine sembrano tutte convergere. In Europa mi viene in mente un intellettuale tra i più grandi, Edgar Morin, e il suo libro “La via. Per l’avvenire dell’umanità”, imperniato sui valori dell’umanesimo solidale. E negli Stati Uniti non c’è solo il mito solitario dell’eroe americano, c’è anche quello, altrettanto fondativo, della libera comunità che si prende cura di se stessa: altrimenti non avremmo un Bruce Springsteen, un autore che ha un fortissimo legame con la società e la cultura americana, che canta un inno al “noi” come “We Take Care of our Own”… E in Africa? C’è una parola nella lingua zulù che Nelson Mandela ha reso famosa nel mondo: “ubuntu”. E’ un termine difficile da tradurre, ma l’espressione che gli si avvicina di più è “l’insieme dell’umanità”, l’empatia. Il poeta e scrittore nigeriano Wole Soyinka spiega così l’”ubuntu”: “la solidarietà è obbligatoria, siamo tutti responsabili, altrimenti perdiamo la nostra umanità”.
Giorgio Pagano
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